Georg Simmel, La diade e la triade

by gabriella
Georg Simmel (

Georg Simmel (1858 – 1918)

Simmel è stato il primo ad intuire che le dimensioni del gruppo influenzano le sue dinamiche. Nel testo seguente la sua analisi delle proprietà della coppia e del trio e la straordinaria analisi filosofica del loro significato.

La diade deriva le sue proprietà da un fatto fondamentale: la sua sopravvivenza in quanto insieme è legata al consenso dei due sottoinsiemi che la compongono. Basta che A o B per qualche motivo escano dall’insieme e la diade non esiste più. Da questo derivano alcune sue proprietà strutturali.

Ad esempio, la diade è costretta alla intimità e alla vicinanza, consente solo i sentimenti che legano (l’amore, l’odio), non tollera l’indifferenza, non conosce la trascendenza, è ossessionata dall’orizzonte della propria fine, e deriva dalla sua mortalità costitutiva la sua tonalità tragica ed estrema («il vero e proprio luogo di una genuina tragedia sociologica»).

L’ingresso di un terzo elemento modifica radicalmente le proprietà della diade. Alla sua ineluttabilità – stare con l’altro, o separarsi da lui – si sostituisce una gamma di possibilità complesse: l’alleanza di A con C contro B, C come capro espiatorio e pharmakos, C come tertius gaudens che massimizza in modo calcolato i propri benefici ‘vendendo’ il proprio sostegno talvolta ad A talvolta a B, C come gate keeper delle comunicazioni indirette tra A e B ormai incapaci di comunicazione diretta (quanti figli nascono per questo), C come ‘giudice’, ecc.

Con l’arrivo del Terzo, la diade perde la sua tragicità – in quanto elemento individuale, nessuno dei membri della triade ha più un potere di vita o di morte sull’insieme. In cambio essa conquista una gamma estesa di nuove potenzialità cognitive e interattive. Al pathos e alla qualità pura della diade si sostituiscono il logos, la quantità, il calcolo. La sua assolutezza cede spazio al compromesso, alle alleanze e alla utilità marginale. Con il Terzo entrano nella diade la strategia, la manipolazione delle emozioni, la possibilità della relazione ‘fredda’, dell’oggettività, e dell’astuzia come logos che agisce (la metis).

symbolon

symbolon

denaro

denaro

Queste proprietà del Terzo lo avvicinano al segno e al denaro. II poeta e il malato di linguaggio sognano un segno che sia la cosa, e indulgono nella nostalgia dell’essere sfuggito al segno. Stoico senza saperlo, il Terzo vive la rappresentazione triadica del segno come semainon, semainomenon e pragma. Sente che il significante si collega al referente solo attraverso la zona d’ombra terza del significato. In questo scarto e distanza sta il suo luogo, che è poi luogo in cui si rende possibile il segno. Nel gioco del rocchetto del nipotino, Freud aveva colto la connessione tra la nascita del segno e la separazione dalla madre, figura di tutte le separazioni.

Anni dopo Bion avrebbe osservato che il bambino può piangere – il suo flatus vocis primario – solo se stacca la bocca dal seno. Sia trado che prodo – le radici del traditor e del proditor – significano anche narrare e raccontare. II traditor è anche chi narra o insegna. Nel traditore come forma idealtipica del Terzo sta la funzione segnica, e le sue valenze di separazione. Colui che nel gruppo gestisce o manipola i segni – il chierico – è anche colui che produce la pensabilità della separazione, della rottura del vincolo sociale, della dis-sociazione. La «trahison des clercs» non è solo un titolo fortunato, essa coglie il legame intrinseco che esiste tra il chierico e il tradimento, ai confini dell’appartenenza sociale.

Come il segno, il denaro è ‘astratto’, merce delle merci, non appartiene a nessuno in modo definitivo e non si vincola ad alcun oggetto, prescinde dalle emozioni e dai corpi, non olet, circola con sovrana libertà, non è mai ineffabile, traduce ogni qualità in una quantica, misura ciò che è proibito misurare. Come il Terzo, trascende potenzialmente ogni fides, introduce la distanza e la separabilità in qualsiasi rapporto, regola le transazioni tra l’interno – noi – e l’esterno, preferisce il contratto al patto. Denaro e Terzo si intrecciano in una omologia che li vincola l’uno all’altro. Non meraviglia che il denaro stia al cuore del Traditore in quanto figura estrema del Terzo, e nelle narrazioni di molti tradimenti. II paradigma di Giuda: tesoriere del gruppo, diafano alla sua funzione sociale, plasmato dalle proprietà di ciò che doveva amministrare, al centro e ai margini del noi, il più amato e dunque il più bisognoso di separazione, il gestore del segno come tradimento: il bacio, quasi un flatus vocis, il nummus nomen che salda denaro, segno e tradimento alle origini dell’immaginario occidentale. […]

Laddove entra il Terzo, si delinea la possibilità del conflitto controllato, opposto al conflitto totale della diade. A e B potevano solo stringersi in un vincolo illimitato, o distruggersi in un distacco che annientava la diede e mirava ad annientare l’altro. C introduce tra A e B uno spazio intermedio, uno scarto. A e B vivono il dramma di una identità sempre minacciata dallo «sprofondare nell’omogeneo» (Freud) della fusione, e dunque tentata dalla scorciatoia della eterogeneità assoluta e della rappresentazione dell’altro come un Nemico radicalmente diverso da noi. C segna un confine e un limite tra A e B, traduce la diversità in differenza, consente ad A e B individualmente una identità autonoma sancita dall’esistenza stessa di C; dunque una identità pacata, e placata da C.

Il Terzo come garante dell’esistenza del limite e del confine, figura della possibilità del nomos della terra e del nomos tout court. Questa funzione è per il Terzo un dono danaico. Poiché sancisce lo scarto tra A e B, C si definisce come béance, luogo di non essere che consente ad A e B di essere pienamente. La sua identità consiste nello stare tra, nella terra di nessuno, tra cielo e terra (Giuda impiccato, Ezra Pound in una gabbia al centro del cortile della caserma di Pisa). Ma in questo modo il Terzo ripete come paradosso euristico il gioco verbale di Odisseo: non-A, non-B, è nessuno. Condizione intollerabile, sul piano sociale come sul piano psicologico. II Terzo vi reagisce mobilitando contro l’angoscia l’onnipotenza maniacale: è nessuno perché può essere tutti. Né A né B, è però virtualmente sia A che B: l’unico a poter assumere sulla realtà il punto di vista dell’uno come dell’altro, l’unico a vivere come A vede B e B vede A, l’unico che – sulla frontiera – gode di una doppia appartenenza e identità che per A e B è impossibile. L’unico che, essendo il confine, è indifferente ai confini e li trasgredisce a volontà; individuo assoluto, disancorato dalla povertà e dal limite di una identità univoca, capace di essere contemporaneamente uno e molteplice.

Il traditore come Terzo e l’hypohrifes per eccellenza, colui che più di ogni altro invera la concezione teatrale dell’attore sociale come sistema di ruoli. Tra i topoi del traditore nelle narrazioni popolari stanno la capacità di mascherarsi, il trasformismo mimetico, il plurilinguismo, il meticciato, la bisessualità, la propensione a trascendere i confini dei generi e delle specie. II traditore come mediatore esistenziale e cognitivo, simile in questo all’apostolo tramite tra Dio e gli uomini. Paolo lo scrive con la superba arroganza con cui il traditore si vive:

«pur essendo libero di fronte a tutti, mi son fatto servo di tutti, per guadagnarne a Cristo il numero più grande possibile. Con i Giudei mi son fatto Giudeo per guadagnare i Giudei; con i soggetti alla Legge mi sono comportato come fossi soggetto alla Legge […]; per quelli che non hanno Legge, mi sono fatto come fossi senza Legge […] per guadagnare quelli che erano senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti […] » 12.

 

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