Carolina e Rosa Agazzi

by gabriella

1. Pietro Pasquali

Pietro Pasquali (1847-1921) può essere considerato l’anticipatore dell’educazione nuova in Italia . Come direttore didattico a Brescia, l’educatore avvia una riforma degli asili infantili per creare spazi e metodi “a misura di bambino” ispirati ai Kindergarten di Fröbel. I nuovi asili devono avere aule adatte e un giardino, devono eliminare le attività di scolarità precoce a vantaggio di quelle che si presentano come «ponti fra il lavoro e il gioco».

I “lavori” svolti nell’asilo devono perciò essere utili, ordinati in serie su base geometrica, con criteri estetici e con aderenza a un modello.

Tutti siamo convinti che l’ordine materiale influisce potentemente sull’ordine morale, perché agisce direttamente sulla intelligenza, sull’igiene, sui costumi, sulla condotta, sul carattere. Il disordine è causa di deplorevoli conseguenze; la vita disordinata sparge intorno miserie, guai, dolori. Lo sappiamo tutti ma non tutti sappiamo quali mezzi si devono mettere in opera

Partiamo da un principio pedagogico: per far acquistare delle abitudini all’educando, bisogna farlo agire: per farlo agire occorrono cose e condizioni favorevoli. Questa è norma di scuola nuova, in sostituzione del vecchio sistema, tutto precetti e massime [Il nuovo spirito dell’asilo, in R. Agazzi, Guida delle educatrici dell’infanzia, 1961].

L’azione riformatrice di Pasquali si prefigge così di archiviare l’indirizzo dato agli asili da Ferrante Aporti (1791-1858) che aveva tentato di combattere l’analfabetismo popolare e di sottrarre i bambini più poveri al microcrimine e al carcere anticipando gli obiettivi della scolarità elementare alla scuola dell’infanzia. 

Oltre a promuovere questa concezione ludica e laboriosa della scuola per la prima infanzia, Pasquali offre supporto e  stimolo all’opera di Rosa e Carolina Agazzi.

 

2. L’educazione infantile e materna

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nostro secolo nascono in Italia due esperienze educative fondamentali: la «Scuola materna» delle sorelle Agazzi e la «casa dei bambini» di Maria Montessori, la prima frutto di una sperimentazione sul campo delle due educatrici, la seconda da una accurata ricerca scientifica.

In un’Italia contadina, religiosa e caratterizzata da una cultura educativa familiare centrata sul ruolo  materno, le sorelle Agazzi propongono una trasformazione dell’asilo infantile che lo renda «a misura di bambino», per formare «bambini, non scolari» secondo le indicazioni di Fröbel e Pasquali.

Dalla scuola materna deve, quindi, essere eliminata la precocizzazione istruttiva propria degli asili di Aporti. Il bambino deve crescere in un ambiente che stimoli la sua creatività in un un dialogo costante con l’adulto. L’educazione deve essere caratterizzata dall’atmosfera familiare e affettiva a cui il bambino è abituato, segnata dalla presenza “materna” delle educatrici, nella quale si possono intuire spunti pestalozziani.

Viene posta al centro l’attività del bambino, in ambienti e con materiali semplici e quotidiani, utilizzati non per l’istruzione, ma per la formazione pratica, sociale e spirituale dei bimbi, orientata secondo la religiosità cattolica.

 

2.1 La nuova educatrice e il «fare da sé»

Alla vigilante o all’assistente delle sale d’asilo e alla maestra giardiniera dei Kindergarten fröbeliani le Agazzi sostituiscono un nuovo tipo di docente: l’educatrice, una figura caratterizzata da capacità organizzative e da una profonda sensibilità umano-religiosa che ne richiede l’adesione a un vero e proprio apostolato.

Il bambino delle sorelle Agazzi è un bambino che «fa» , sia nella dimensione del gioco, sia in quella della vita pratica. Le lezioni e le occupazioni collettive, specialmente se sedentarie, devono essere ridotte al minimo e sostituite con attività individuali libere, sorvegliate a distanza dall’educatrice. Il bambino «deve poter da sé», pur rispettando il criterio dell’ordine ed essendo capace di cooperare con gli altri, secondo il metodo del «mutuo insegnamento» . Il «metodo intuitivo», diviene la via principale dell’apprendimento, supportato dall’azione indiretta dell’educatrice, la quale, pur rispettando la spontaneità del bambino, organizza e predispone ambienti c situazioni.

La scuola in cui opera questa figura deve essere simile a una casa, con le sue attività domestiche e artigianali che devono essere riproposte a misura di bambino. Oltre alle frobeliane piante e animali, ha una stanza che raccoglie le “umili cose” manipolate dai bambini: le “cianfrusaglie senza brevetto” .

Una volta quando il maestro sorprendeva un ragazzo a giocare colle sue cianfrusaglie mentre egli stava insegnando l’alfabeto, era autorizzato, dopo averle buttate dalla finestra, o sul tetto delle case vicine, a castigarlo.

Poi venne l’uso di sottoporre i bambini a una visita giornaliera delle loro tasche per sollevarle di tutto quanto non aveva attinenza con la scuola. Appartenni io pure al ciclo innovatore della disciplina scolastica; però le mie ispezioni borsaiuole tramontarono fino dai primi giorni in cui venni chiamata a dirigere una piccola scuola materna. Rammento un fatto.

Le tasche dei miei trenta bambini rovistate, avevano dato un discreto contingente di chiodi, castagne crude, sassolini, gusci di noce. L’ultimo della schiera, un povero bambino che malamente si reggeva sulle gambe arcuate, con insolita sveltezza tolse di tasca una cosa, coll’intenzione di sottrarla alla mia revisione. Ma la piccola mano non la conteneva, talché, vistosi scoperto, il bambino non seppe nascondere la propria confusione. Ho tuttora presenti le piccole labbra di cera uscire tremanti in una espressione dialettale che voleva dire: «E così bello!…», accompagnata da uno sguardo che pareva preghiera. Guardai … era il coccio di una scodella orlata d’oro.

Sorridendo, per non infrangere la regola posai il coccio accanto alle altre cose requisite, ma un nodo d’angoscia mi serrò la gola.

Un coccio poteva fare per un giorno la felicità di quel piccolo infelice e la scuola glielo rapiva… Mi sovvenni di quando la mia infantile immaginazione aveva sovente avuto per oggetto cocci dal labbro d’oro; mi sovvenni come ne andassi gelosa…

Da quel giorno cominciai a guardare in me stessa per scoprirvi cose che sui libri nonavevo mai imparato. E capii che per meritare la confidenza e la sincerità dei bambini anziché sottrarre quelle minute cose dovevo invogliare loro stessi a mostrarle a me come fossi una compagna di giuoco. Io avrei ammirato dove l’ammirazione non poteva essere menzogna; avrei dati opportuni suggerimenti, avrei tenuto in consegna questa e quella cosa, come usa fare un buon amico, per poi procedere ogni sera alla restituzione.

E così fu fatto. Salvo che la merce andava crescendo a vista d’occhio, per modo che gli apprezzamenti richiedevano un margine di tempo sempre più largo.

Mi venne un’idea. E sc quelle cose, molte delle quali andavano e tornavano da casa a scuola, divenissero patrimonio comune? Se si potessero associare al museo didattico? [R. Agazzi, Guida delle Educatrici dell’infanzia].

 

La programmazione

Le mie giovani colleghe non si aspettino da me un programma, tanto meno un programma particolareggiato.

L’educatrice dell’infanzia che cosa può particolareggiare e graduare? Ciò che richiede un insegnamento metodico: la lingua parlata, il lavoro manuale, le norme che regolano l’educazione della voce, gli esercizi ritmici, il disegno quando non è spontaneo, certi esercizi di pratica. Vi pare che si possa anche stabilire mese per mese, settimana per settimana quanto si può dare di educazione e togliere di rozzezza, a una società di piccoli individui in formazione? Io non ho mai potuto ammettere, per darvi un esempio, che il primo mese sia riservato all’insegnamento dell’obbedienza; il secondo all’amore verso i parenti; il terzo all’ammirazione delle cose divine.

Segniamo dunque sulla carta ciò che può avere concretezza, con punti di partenza e di arrivo, anche qui, però, senza legarci- rigidamente alla stesura. Il programma, più che un contratto con noi stessi, devesi considerare come una guida preparata allo scopo di dare al nostro lavoro il senso della misura. Questo programma diremo così “corporeo” posto a indicare una parte della nostra attività, è, a suo tempo, mezzo all’educatrice per attuare un altro programma a larghe linee tracciato nella mente e nel cuore, intorno al quale, a tempo indeterminato, la sua perizia sa attirare i sensi dell’educando per allacciare lo spirito a sentimenti di bontà, di benevolenza, di rispetto, di dignità…

La lingua, le abilità in genere possono avere un’ora fissa per nascere; il sentimento, un lato qualsiasi della vita dello spirito, possono invece sorgere anche occasionalmente da una causa impreveduta [Ivi].

 

 

 

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