Archive for ‘Antropologia’

22 Dicembre, 2017

La giornata dell’Australia

by gabriella

L’articolo che il giornalista John Pilger ha dedicato alla Giornata dell’Australia, la manifestazione commemorativa della colonizzazione dell’isola, iniziata il 26 gennaio 1788. Tratto dal blog di Mauro Poggi.

Il 26 gennaio in Australia si celebra uno dei più tristi giorni nella storia dell’umanità. È “un giorno per le famiglie”, dice il magnate dell’editoria Rupert Murdoch. Vengono distribuite bandiere nelle strade, si indossano buffi cappelli. La gente manifesta il proprio orgoglio di comunità, la propria gratitudine.

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25 Settembre, 2017

Margaret Mead, La prima educazione e la formazione del carattere presso gli Arapesh

by gabriella

Tratto da Margaret Mead, Sesso e temperamento, 1935.

Come viene modellato il bambino arapesh in quella persona accomodante, gentile, ricettiva che è l’Arapesh adulto? Quali sono i fattori determi­nanti della prima educazione infantile, cui si deve se il ragazzo crescerà tranquillo e soddisfatto, non aggressivo e non incline a prendere l’iniziativa, incapace di sentire lo stimolo della concorrenza e invece pronto a capire e a corrispondere, ricco di calore umano, docile e fiducioso? È vero che io in qualsiasi società semplice e omogenea i bam­bini riveleranno da adulti gli stessi tratti generali di carattere di cui i genitori avranno dato loro il modello. Però non si tratta di imitazione. C’è un rapporto più sottile e preciso fra il modo in cui il bambino viene nutrito, messo a dormire, discipli­nato, educato all’autocontrollo, vezzeggiato, puni­to e incoraggiato, e la formazione del suo caratte­re di adulto.

In qualsiasi società, presso qualsiasi popolo, il modo come uomini e donne trattano i loro bambini è una delle cose più significative nella formazione della personalità dell’adulto, ed è anche uno dei punti sui quali si manifestano più acutamente i contrasti tra i sessi. Possiamo com­prendere gli Arapesh, e il temperamento caldo e materno tanto degli uomini quanto delle donne, soltanto se ci rendiamo conto della loro esperien­za infantile e di quella che a loro volta fanno vivere ai figli.

Nei primi mesi il bambino non è mai lontano dalle braccia di qualcuno. Andando in giro, la ma­dre lo porta o sul dorso, in un sacco di rete specia­le sostenuto dalla fronte, o sospeso sotto uno dei due seni in una specie di bilancia di scorza d’albe­ro intrecciata. Il secondo è il costume delle popolazioni della costa, il primo delle popolazioni delle pianure; le donne della montagna usano l’uno o l’altro, generalmente a seconda delle condizioni di salute del bambino. […] Allattato ogni volta che piange, tenuto sempre vicino a qualche donna che possa, all’occorrenza, dargli il suo seno, messo a dormire di solito a contatto con il corpo materno, portato col sacco di rete sul dorso o tenuto ran­nicchiato fra le braccia oppure in grembo, se la madre siede a cucinare o a fare lavori di intreccio, il bambino gode costantemente di una sensazione di calore e di sicurezza. […]

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7 Settembre, 2017

Susan Moller Okin, Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?

by gabriella

Un classico illuminista del conflitto tra diritti delle donne e multiculturalismo, pubblicato in Boston Review nell’ottobre/novembre 1997 e tradotto da Maria Chiara Pievatolo per Swif. Okin vi argomenta, da un punto di vista liberale, contro il riconoscimento di diritti speciali per un diverso gruppo culturale, alla luce delle disuguaglianze interne, particolarmente di genere, del gruppo stesso.

Proprio in virtù di questa struttura di diseguaglianza, le richieste dei componenti maschi non andrebbero infatti considerate rappresentative dell’intero gruppo, né volte ad assicurarne universalmente il benessere.

Fino a pochi decenni fa, ci si aspettava tipicamente dai gruppi minoritari che si assimilassero nelle culture di maggioranza. Ora questa attesa di assimilazione è spesso considerata oppressiva e molti paesi occidentali cercano di escogitare nuove linee di condotta politica, più sensibili alla persistenza delle differenze culturali. Paesi che, come l’Inghilterra, hanno chiese nazionali o una educazione religiosa patrocinata dallo stato, trovano difficile resistere alla richiesta di estendere il sostegno statale alle scuole religiose minoritarie; paesi che, come la Francia, hanno una tradizione di istruzione pubblica laica, sono lacerati da dispute sul permesso di vestire, nelle scuole pubbliche, gli abiti richiesti da religioni minoritarie. Ma una questione è ricorrente in tutti i contesti, sebbene non sia quasi stata notata nel dibattito attuale: che fare quando le pretese di culture o religioni minoritarie collidono col principio dell’uguaglianza di genere che è per lo meno formalmente sottoscritta dagli stati liberal-democratici – per quanto continuino a violarla nella pratica?

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5 Settembre, 2017

Cultura, diversità, culturale, inculturazione

by gabriella

Clyde Kluckhohn, Cultura e diversità culturale

In questo frammento de Lo specchio dell’uomo, l’antropologo americano si sofferma sull’apparente stranezza dei costumi degli Altri.

Kamikaze giapponese

L’antropologia fornisce una base scientifica per trattare il cruciale dilemma del mondo attuale: come possono popoli di aspetto diverso, di lingue reciprocamente inintellegibili o di diversi sistemi di vita coesistere pacificamente? […] Perché il latte e i latticini non piacciono ai cine­si? Perché i giapponesi accettano volentieri di mo­rire in una «carica della morte» che sembra senza senso agli americani?

Perché alcuni popoli calco­lano la discendenza attraverso il padre, altri attra­verso la madre e altri ancora attraverso ambedue i genitori? Non perché popoli diversi abbiano istinti diversi, non perché fossero destinati da dio o dal fato a diverse consuetudini, non perché il clima sia diverso in Cina, in Giappone e negli Stati Uniti. Tal­volta il perspicace senso comune ha una risposta che è vicina a quella dell’antropologo: «perché sono stati allevati così». Per «cultura» l’antropologia in­tende il complesso del modo di vivere di un popolo, il patrimonio sociale che l’individuo riceve dal suo gruppo. Oppure la cultura può essere considerata quella parte dell’ambiente che è creata dall’uomo.

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5 Settembre, 2017

Elena Giorza, Il problema dell’identità

by gabriella

La riflessione dell’autrice sul tema dell’identità, prende le mosse da due fondamentali contributi: Contro il fanatismo [Feltrinelli, Milano 2010] di Amos Oz e Intervista sull’identità [Editori Laterza, Roma-Bari 2003] di Zygmunt Bauman.

Obiettivo di Elena Giorza è cercare di fornire un quadro delle principali posizioni attualmente diffuse sull’identità personale e mostrarne i limiti in relazione alla fondamentali sfide storiche, politiche e culturali della contemporaneità.

Le concezioni esaminate sono:
1. la concezione degli individui come isole separate e autonome e in uno stato neutrale rispetto alle persone
2. la prospettiva che fonda l’appartenenza su un’identità comunitaria forte e omogenea
3. la concezione che rifiuta la costruzione di identità personali forti in quanto ostacolo alla tolleranza e anche alla libertà individuale vista come avere tutto e subito.

Seguendo Bauman, l’autrice sostiene la tesi che di fronte agli attuali problemi rappresentati da multiculturalismo, globalizzazione, inclusione digitale, l’identità debole sia una soluzione inefficace e pericolosa, perché produce intolleranza, esclusione, fondamentalismo, conflitto. Assumendo come meta ideale la comunità universale kantiana, inclusiva dell’intero genere umano, la sola soluzione sembra essere quella di una “identità forte”, capace di non “dissolversi” nella società liquida e di non sentirsi minacciata dall’altro.

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5 Settembre, 2017

Ugo Fabietti, L’identità etnica come costruzione

by gabriella
Un giovane nativo appresenta se stesso per i bianchi

Un giovane nativo rappresenta se stesso per i bianchi

In questo brano tratto da L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco [Roma, Carocci, 1995, pp. 129-132] l’antropologo illustra, attraverso il caso degli indiani Uroni, le modalità dell’etnogenesi, cioè il modo in cui un gruppo costruisce la propria identità e si prepari a farne uso politico. 

Un tipico caso problematico di definizione dell’indianità è costituito dalla comunità degli Uroni del Québec, la provincia di lingua francese dello Sta­to canadese. […] Gli Uroni hanno un passato tragico. Stanziati lungo le sponde del lago che oggi porta il loro nome – il lago Huron – essi prosperarono fino a quando, alla metà del XVII secolo, si incontrarono con i francesi. Questi li chiamarono Uron, da hure, che nel francese del tempo voleva anche dire “selvaggio”. Gli Uroni invece chiamavano se stessi Wendat, probabilmente “coloro che parlano la stessa lingua”.

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5 Settembre, 2017

Clyde Kluckhohn, Strani costumi

by gabriella

Uno stralcio da Lo specchio dell’uomo sulla diversità culturale, suggerito da Marco Aime, Ciò che noi siamo [Loescher, 2012], con esercitazione. Lavorando a coppie, rispondi alle domande e pubblica il testo nel padlet di classe (non dimenticare di indicare i propri nomi).

5 Settembre, 2017

Ralph Linton, Americano al cento per cento

by gabriella

Lezione numero uno: l’identità culturale è una costruzione le cui componenti sono il risultato di prestiti, innesti, acquisti da altre storie e culture. L’idea della purezza delle origini, della linearità di una tradizione è dunque un’aspirazione ingenua, un errore.

Il brano è tratto da Marco Aime, Ciò che noi siamo [Loescher, 2012].


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5 Maggio, 2017

L’unità della specie umana

by gabriella

Lezione suol’unità e la diversità della specie umana.

Indice

1. Ciò che ci distingue e ciò che ci accomuna

1.1 L’apetto fisico e il DNA

2. Le origini dell’uomo “anatomicamente moderno”

2.1 Distanza e vicinanza genetica
2.2
Le razze umane non esistono
2.3 La razza come costruzione culturale

 

1. Ciò che ci distingue e ciò che ci accomuna

HomoSapiensSapiensNonostante l’intensità crescente dei contatti tra le popolazioni del pianeta, la varietà che caratterizza l’umanità attuale resta assai grande.

Questa varietà si manifesta a più livelli: sul piano fisico è attestata dalle differenze del colore della pelle, degli occhi e dei capelli, della statura, dei tratti somatici; su quello linguistico, la varietà umana si esprime in almeno cinquemila lingue parlate oggi nel mondo e in un numero infinitamente superiore di lingue “locali” chiamate “dialetti”; su quello culturale, infine,esiste una grande varietà di comportamenti e di idee. Una varietà che riguarda persino quanti condividono gli stessi modelli culturali.

Accanto a questa grande varietà abbiamo però elementi di forte unità.

Alla metà de XVIII secolo, uno scienziato francese, il conte di Buffon (1707-1788), stabilì che i gruppi umani fanno tutti parte di un’unica specie.

Nella seconda metà dell’Ottocento gli antropologi dimostrarono che tutti i gruppi umani sono capaci di produrre cultu­ra, mentre nello stesso periodo i linguisti conclusero che le lingue parlate dalle diverse popolazioni del pianeta possiedono, al di là delle enormi differenze, strutture interne (grammatica, sintassi) ugualmente complesse.

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27 Aprile, 2017

Antonio Gramsci, L’intellettuale organico

by gabriella
Antonio Gramsci

Antonio Gramsci (1891 – 1937)

Un passo dei Quaderni dal carcere, in cui Gramsci delinea l’identità e il ruolo dell’intellettuale organico, in opposizione a quello dell’intellettuale tradizionale. Gramsci precisa preliminarmente che non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens – lasciando implicito che questa distinzione è una delle tante distorsioni operate dal capitalismo – e propone l’idea di un’intellettualità diffusa, un intellettuale di tipo nuovo non separato per mestiere e appartenenza di classe dal resto della società, ma proveniente da questa e legato alla classe lavoratrice dal compito di costruire attivamente la sua emancipazione. A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, vol. III, pp. 1550-1551. Per ricordarlo a ottant’anni dalla morte [Escludere manualmente l’audio della Grande Storia di RadioRai3 che si avvia automaticamente].

Quando si distingue tra intellettuali e non-intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare-nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale. Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.

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