Fabrizio Marcucci, Se i cani poliziotto entrano a scuola

by gabriella

antidrogaDue settimane fa un amico e collega ternano non ha permesso che la polizia interrompesse la sua lezione all’Istituto per Geometri per perquisire l’aula in cui si trovava. Nella mia, il reparto antidroga si è presentato a ricreazione, limitandosi a far perlustrare corridoi e bagni ai propri cani. Il nostro collega è stato censurato e sarà chiamato a rispondere del suo gesto, ma le sue ragioni sono inattaccabili: se a scuola entra la polizia, non possiamo che uscirne noi. Soltanto una scuola, una famiglia, una società che sentono estranei i propri figli e si considerano incapaci di guidarli possono abdicare al proprio ruolo e affidarlo ai cani poliziotto. Questo il senso del commento di Fabrizio Marcucci [Giornale dell’Umbria] che sottolinea come l’eventuale legalità dell’ingresso della polizia a scuola non ne assicuri la legittimità.

Chi commissiona e mette in atto la perquisizione delle scuole con cani poliziotto avrà le sue leggi di riferimento che dimostreranno che l’azione è legittima. L’ultima, a Terni pochi giorni fa, ha avuto un’eco nazionale perché un professore ha negato la perquisizione all’interno della classe rifiutandosi di interrompere la lezione. Ora su di lui pende l’ipotesi di un’azione disciplinare. Ma il punto è che se anche la perquisizione fosse legittima, le manca comunque il conforto del buon senso.

Partiamo dal livello più basso. L’ultima operazione – come le altre nel resto della regione – ha dato luogo al rinvenimento di pochi grammi di hashish. Tenuto conto che ad essere perquisite sono state centinaia di persone, non si può certo parlare di un bilancio scintillante. Insomma: se all’interno delle aule perquisite si fosse scovato il nipote di Al Capone dedito a spacciare un carico di cocaina appena arrivato dal Sudamerica, un senso a questa storia lo si sarebbe potuto al limite trovare. Invece, a fronte di un dispiegamento di forze da retata, i risultati sono stati del tutto trascurabili. E per di più hanno riguardato il sequestro di una sostanza che la Corte costituzionale – il massimo organo giurisdizionale – ha di recente nettamente distinto dalle droghe pesanti, che infestano le nostre città in ambienti spesso insospettabili.

Fin qui siamo al livello di base. Ora proviamo a salire un po’. Perché il fallimento di quella perquisizione non è nel bilancio operativo, ma nell’inconsapevole dichiarazione di impotenza di chi l’ha voluta, chiunque esso sia. Nel ricorso all’utilizzo delle forze dell’ordine all’interno di una scuola  per un motivo del genere, c’è la negazione in radice della vocazione stessa di quel luogo. Laddove un docente, un preside o chiunque altro al loro posto avessero la percezione che c’è qualcosa che non va nei ragazzi con i quali lavorano, rientrerebbe nel loro ruolo di educatori parlarne con i singoli, con il gruppo, con i genitori. Al limite, ricorrere a incontri con personale specializzato. Consentire di farli annusare da cani poliziotto in un luogo in cui si va per conoscere il mondo, è abdicare al ruolo stesso di educatori. È negare la complessità, le articolazioni, le fragilità di ragazze e ragazzi che sono materia plastica in cerca di forma. Una forma che dipenderà anche dagli educatori che si hanno. Benché questi a volte non se ne rendano conto.

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