In morte di Umberto Eco

by gabriella

La verità è un fatto di giustizia, non solo di forma logica.

Michel Foucault

UmbertoEcoGrande studioso e raffinato scrittore, Umberto Eco ha lavorato sulla linea di confine del significato e della verità, incarnando il modello dell’intellettuale postmoderno, dimenticando che la verità è un compito, non solo una definizione.

L’Università e la scuola, che non difese, lo ricorderanno per la parte migliore del suo disincanto: l’ironia di Industria e repressione sessuale in una società padana, la decostruzione dell’Elogio di Franti. Nonostante la sua lontananza dall’impegno pubblico, si sente già la sua mancanza. Non lascia nessuno dietro di sé.

Leggo dal necrologio dedicatogli da Repubblica che in Numero zero, il suo ultimo giallo sulle falsificazioni giornalistiche, fa dire a uno dei protagonisti:

I giornali mentono, gli storici mentono, “la televisione oggi mente” e anche “la scienza mente”,

un banale slittamento (in cui inciampava il tipo di relativismo che si impose negli anni ’80 e che lui interpretò con intelligenza incomparabile) che gli impedì di comprendere che non la scienza, ma gli scienziati mentono quando scelgono il silenzio o la collaborazione.

Ne fu esempio il cameo incluso in uno dei suoi testi più belli e famosi: la spassosa Fenomenologia di Mike Bongiorno (in Diario minimo), mediocrità televisiva di culto alla quale non si sottrasse:

Leggo ancora dal necrologio dedicatogli da Repubblica:

Proprio in “Diario Minimo“, Eco affronta in un saggio la fenomenologia “Mike Bongiorno”, il famoso presentatore televisivo italoamericano che all’epoca aveva conquistato la televisione nazionale italiana. Il saggio uscì nel momento di massima popolarità del presentatore, in cui il semiologo lo consacrava al rango di fenomeno di massa. Mike Bongiorno

”non provoca complessi di inferiorità, pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello”,

scriveva infatti Eco all’inizio degli anni ’60, all’epoca in cui la gente si ritrovava ad affollare i bar la sera per seguire la prima grande trasmissione di culto della televisione, Lascia o raddoppia.

Il semiologo, non ancora autore di romanzi di successo, fece del popolarissimo presentatore, sulla scia dei ‘miti d’oggi’ di Roland Barthes, un’icona dell’Italia del boom, che

”convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità”.

Un ritratto che ovviamente non piacque a Bongiorno, il quale, teneva a ricordare che Eco era stato tra i collaboratori di Lascia o raddoppia:

“Arrivava anche lui il giovedì con la sua busta di domande… ma non lo dice mai: forse è un ragazzo un po’ timido’.

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