Quando ho letto (27 agosto 2012) che i trecentomila preziosi volumi dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – tra i quali edizioni originali di Benedetto Croce, Giordano Bruno e molti altri – non saranno più consultabili e finiranno in un magazzino, il pensiero è corso alla chiusura del Centre for Contemporary Cultural Studies di Birmingham decisa da Blair nel 2002. Monti sarà ricordato per lo stesso scempio, così come Letta e Bray che oggi (27 ottobre 2013) non stanno intervenendo per impedire il compimento del disastro: lo sfratto anche dal magazzino di Casoria e la definitiva dispersione del patrimonio librario.


L’Istituto italiano di studi filosofici deve smobilitare perché, tra Tremonti e Monti, in pochi anni i contributi statali sono stati praticamente azzerati. I lanzichenecchi insediati alla Regione Campania hanno provveduto al resto, lasciando cadere nel dimenticatoio una vecchia delibera che prevedeva l’istituzione di una biblioteca per accogliere le migliaia di libri dell’Istituto e consentire a studenti e ricercatori di poterli consultare.
Quando si lascia sfiorire un’istituzione culturale di rilevanza internazionale e si condannano i libri all’ammasso in un capannone di periferia come un raccolto di grano qualsiasi, siamo a una forma più moderna degli antichi roghi ma dal sapore analogo. Giordano Bruno, che immaginiamo accatastato in ordine casuale tra migliaia di altri tomi più o meno antichi, non è nuovo a un trattamento del genere.
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