Luigia Milani, Il disturbo aspecifico d’apprendimento, Gabriella Maggi, I disturbi dell’apprendimento

by gabriella

Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile
Dipartimento di Neuroscienze
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – ROMA

Il disturbo aspecifico dell’apprendimento è correlato a capacità cognitive al di sotto della media e/o a diverse patologie. Vediamo come si manifesta e come è possibile affrontarlo.

Cos’è il Disturbo Aspecifico di Apprendimento?

Il Disturbo Aspecifico (o non Specifico) di Apprendimento riguarda difficoltà di apprendimento in relazione a capacità cognitive al di sotto della media e/o a patologie di vario tipo: sensoriali, come per esempio la sordità o forti difficoltà visive, neurologiche, come per esempio l’epilessia, genetiche, come alcune sindromi genetiche, organiche in genere, come per esempio l’ipotiroidismo, psicologiche (disturbi psicopatologici primari).

In queste situazioni le difficoltà sono spesso generalizzate, quindi non solo nelle competenze “di base”, cioè nella lettura, scrittura, matematica, ma anche nei processi logici.

Siamo, infatti, a volte, in presenza di capacità cognitive non adeguate alla media, anche se non in ritardo: collocabili cioè, nella cosiddetta “fascia inferiore” della media o “ai limiti” del ritardo cognitivo.

Anche nel ritardo cognitivo sono presenti difficoltà di apprendimento: esse sono però più conseguenti al ritardo stesso, anche se in questo campo, vi è comunque una grande variabiltà tra una  situazione e l’altra, con differenti profili neuropsicologici.Quali sono le cause del Disturbo?

Il Disturbo Aspecifico di Apprendimento può essere secondario a patologie di vario tipo (sensoriali, neurologiche, etc…); quindi possono esserci compromissioni nelle varie funzioni neuropsicologiche relativamente alle varie cause del Disturbo o ai vari quadri patologici.

Può anche essere relativo ad una scarsa stimolazione socio-ambientale (si veda DSA, troppi bambini sono considerati dislessici, ma hanno solo problemi comuni).

Quali difficoltà di lettura sono presenti?  Quali difficoltà di scrittura sono presenti?

Per quanto riguarda la lettura, le difficoltà nella “decodifica” del testo sono spesso minori, o comunque coesistono con difficoltà nella comprensione del testo, perché il bambino spesso non è sufficientemente sostenuto, in questo compito, dalle sue capacità cognitive. Nella scrittura di questi bambini di solito prevalgono errori di tipo non fonologico: h, grafema omofono, fusione-separazione illegale (es: squola, l’aradio per la radio, una rancia per un’arancia), accenti, doppie, oltre ad una coesione ideativa non buona.

Quali difficoltà di matematica sono presenti? Come può essere aiutato il bambino con Disturbo Aspecifico di Apprendimento?

Nella matematica le difficoltà possono riguardare prevalentemente aspetti numerici, in particolare la cosiddetta “codifica semantica”, cioè identificare la grandezza dei numeri, metterli correttamente in relazione ad altri, secondo la grandezza, ecc…, piuttosto che aspetti di calcolo, soprattutto quelli che richiedono automatizzazione, come le tabelline e il calcolo mentale rapido. Anche la soluzione dei problemi è comunque spesso alterata, per la debolezza dei processi logici.

Le indicazioni terapeutiche anche per questi Disturbi possono prevedere, a seconda del caso:

– una terapia di linguaggio, orientata però anche in senso cognitivo, cioè sui processi logici,

un intervento di tipo pedagogico, orientato sulle strategie di studio e sulle autonomie personali, per i ragazzi più grandi,

– un adattamento della didattica, che deve essere modulata sulle difficoltà del bambino

– un intervento di tipo psicologico/psicoterapeutico.

I disturbi di apprendimento scolastico – Dispensa di neuropsichiatria tratto dal blog degli insegnanti di sostegno

 

Gabriella Maggi, Il disturbo aspecifico d’apprendimento

I disturbi dell’apprendimento

Con il termine Disturbo di Apprendimento sono indicate tutte quelle condizioni in cui un bambino non apprende in maniera adeguata alla sua età.

In questa accezione i Disturbi di Apprendimento costituiscono un sintomo di molte condizioni patologiche, spesso molto diverse tra loro.

Esistono cause di ordine neurologico, psicologico, sociale, culturale che possono compromettere il processo di apprendimento. I disturbi di apprendimento possono essere legati a definite sindromi neurologiche o psicopatologiche, o costituire un quadro clinico a se stante come i Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Disturbi dell’Apprendimento legati a Sindromi Neurologiche:

– Kinesipatie encefaliche in cui al disturbo motorio sono associati deficit psichico, sensoriale e crisi epilettiche, che compromettono le capacità di apprendimento;

 – Epilessia in cui il Disturbo di Apprendimento è determinato sia dalla ricorrenza delle crisi che interferiscono con i processi mentali, sia dalla terapia anticonvulsiva che generalmente diminuisce il livello di vigilanza e i processi attentivi.

Disturbi dell’Apprendimento legati a Sindromi Psicopatologiche:

–  insufficienza mentale

–  nevrosi

–  psicosi

 – depressione.

Disturbi Evolutivi Specifici dell’Apprendimento

Si tratta di alcuni disturbi che presentano specificatamente compromessa la capacità di lettura, di scrittura e di calcolo, in assenza di compromissioni o alterazioni psicopatologiche o sensoriali, di deficit cognitivo, o di situazioni carenziali che possano spiegarne l’origine. Questi quadri generalmente denominati “disturbo specifico dell’apprendimento” sono pure definiti da altri Autori “disturbi evolutivi” in relazione alla loro tendenza ad attenuarsi nel corso dell’età evolutiva.

Il Disturbo Specifico dell’Apprendimento viene definito come difficoltà nell’apprendimento della lettura e della scrittura in assenza di una compromissione dello sviluppo cognitivo globale, ed indica, implicitamente, una alterazione selettiva “verticale” di alcuni meccanismi neuropsicologici di base con atipie a carico prevalentemente delle abilità metalinguistiche, sequenziali e della memoria a breve termine.

E’ possibile che queste atipie nel funzionamento cognitivo globale costituiscono un effetto negativo dello scarso controllo e uso della lingua, sulle conoscenze e sulle competenze sviluppate da questi individui, ma è, nello stesso tempo ipotizzabile, che queste difficoltà siano anch’esse secondarie a fattori neuropsicologici (metalinguistici, mnestici, attentivi) in questo caso da considerarsi come competenze “trasversali”.

In ogni caso, ci troviamo di fronte ad un problema di integrazione tra competenze diverse ad un alto livello di complessità e di astrazione e ad una difficoltà ad “automatizzare” alcune funzioni, per lasciare il posto ad un controllo consapevole (metacognitivo e strategico) di funzioni più complesse.

In termini di strategie i bambini con D.S.A. sembrano possedere molte strategie, ma le sottoutilizzano a causa di una difficoltà a selezionare gli obiettivi e le strategie più adeguate.

Nel programmare un percorso rieducativo con bambini con D.S.A. è importante tener conto del modo atipico con cui questi bambini gestiscono le informazioni, spostando l’attenzione da ciò che il bambino “non sa fare” a come, invece, affronta i problemi. Nella sequenza che segue è rappresentato il processo attraverso il quale si verifica l’apprendimento:

STIMOLO    →        ANALISI     →     CONFRONTO      →          CODIFICA

NUOVO       →                    MODIFICA NOTO                   →           RISPOSTA

Nella maggior parte dei casi solo il primo e l’ultimo di questi passaggi sono visibili dall’esterno, sono quindi lo stimolo e la risposta a costituire gli indicatori più utilizzati per osservare e valutare i processi di apprendimento. E’ dunque il concetto di prestazione ad essere segnale dell’apprendimento, ciò che interessa analizzare è in che modo vengono affrontati compiti con caratteristiche di “problemi”, compiti, cioè, nuovi non automatizzati, che richiedono l’ideazione e la messa in atto di un progetto di soluzione, in altri termini ci interessano le strategie, in particolare i bambini con D.S.A. mostrano soprattutto atipie nell’uso di strategie e pertanto hanno bisogno di interventi mirati. In questo senso il supporto informatico deve essere rivolto al bambino non in modo da proporre esercizi ripetitivi, con il rischio di perpetuare strategie rigide, ma aiutandolo a potenziare strategie alternative. Parlando di questi bambini sembra abbastanza corretto descriverli non come bambini che non apprendono, ma come bambini che non sanno utilizzare ciò che sembra abbiano appreso.

DISTURBI ASPECIFICI DI APPRENDIMENTO

Sindrome non verbale

Nell’ambito dei disturbi aspecifici dell’apprendimento sono considerati:

Il disturbo della memoria e della rappresentazione visuo – spaziale

Si tratta di un problema che investe dapprima lo sviluppo di competenze percettive (tattili – visive), di abilità motorie complesse e interessa aspetti della memoria e dell’attenzione. La “sindrome non verbale” non trova riscontro nei sistemi internazionali di classificazione, può pertanto essere presente all’interno di altre categorie diagnostiche come disturbo del calcolo o della coordinazione. Il bambino con disturbo visuo – spaziale può manifestare goffaggine, difficoltà nel disegno, specie quello geometrico, nell’incolonnamento, nella rappresentazione dei problemi e dei contenuti, nel capire figure o parole rispettandone i rapporti spaziali.

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (D.D.A.I.)

E’ considerato dalla decima Classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali ICD-10, (OMS 1992) e dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM IV, all’interno dei disturbi comportamentali ed emotivi con esordio nell’infanzia e nell’adolescenza. Se da una parte, la natura del disturbo è dibattuta tra coloro che sostengono una possibile responsabilità neurologica, e coloro che considerano, invece, il disturbo come disordine relativo alla sfera emotiva e/o relazionale; sufficiente consenso esiste, dall’altra, nel considerare che le difficoltà incontrate dai bambini con D.D.A.I. possono essere spiegate ipotizzando un deficit dei processi di autoregolazione nella modulazione del comportamento e dell’attenzione con conseguente deficit di produzione.

Il disturbo emotivo – relazionale

Sebbene non ci siano dati che dimostrino il collegamento tra il disturbo emotivo – relazionale e i disturbi specifici dell’apprendimento, tuttavia ci sono diverse evidenze che dimostrano come, forme diverse di disturbo emotivo – relazionale possono comparire in associazione ad alcuni disturbi specifici dell’apprendimento. All’interno di questa categoria si pongono casi di demotivazione scolastica, nei quali i fallimenti, cui i bambini con disturbo emotivo – relazionale andrebbero incontro determinerebbero un senso di impotenza appresa, o di illimitata capacità ad affrontare le situazioni. Nel primo caso, bassi livelli di autostima e falsa convinzione che il successo dipende dalla fortuna, favorisce l’acquisizione di atteggiamenti di inibizione e di passività. Nel secondo, l’illimitata capacità ad affrontare i compiti, inducendo il bisogno di ricerca immediata di gratificazione, determina incapacità a tollerare situazioni frustrazioni.

Un altro caso potrebbe essere quello relativo all’aggressività. Anche se non è possibile determinare una relazione causale di tipo lineare tra difficoltà di apprendimento e aggressività, pure è intuibile come la condizione di difficoltà di apprendimento può determinare complicazioni a livello emotivo – relazionale e quindi provocare un aumento del comportamento aggressivo.

Il ritardo mentale

Lo sviluppo intellettivo della maggior parte delle persone con R.M. non va oltre la “preoperatorietà” del pensiero; presentano notevoli difficoltà a comprendere le interconnessioni causa ed effetto, e ad anticipare le conseguenze delle azioni. Alla base dei loro deficit sembrano risiedere problemi relativi ad una scarsa capacità di esplorazione.

E’ stata opinione diffusa che le persone con R.M. avessero carenze in termini di plasticità cerebrale, tali da impedire l’integrazione di nuove informazioni nelle strutture già esistenti. B. Inhelder, ritenne che lo sviluppo intellettivo fosse caratterizzato da un fenomeno di “fissazione” che ostacola l’accesso ai processi operatori. Altri studi condotti da Grubar (1985) hanno sottolineato come, (partendo dal fatto che l’intelligenza può essere considerata come capacità di ricevere, organizzare e utilizzare le informazioni), le persone con ritardo mentale registrano meno informazioni provenienti dall’ambiente e presentano notevoli difficoltà ad organizzare le poche informazioni che riescono a filtrare. D’altro canto filtrare le informazioni significa che gli stimoli sensoriali assumono significato quando l’individuo ha la motivazione ad imparare. Nel R.M. questa motivazione è carente, è come se non fosse possibile cogliere nell’ambiente gli stimoli che provocano la motivazione e di conseguenza danno vita ai comportamenti esploratori.

Anche carenti risultano le abilità di organizzazione e di classificazione degli stimoli in categorie. Il pensiero logico implica la continua coordinazione dei concetti appartenenti a diverse categorie, esso si basa sulle continue trasformazioni della realtà, trasformazioni che richiedono spostamenti repentini all’interno del sistema di classificazione e la coordinazione di concetti appartenenti alle diverse categorie. Se si analizzano le verbalizzazioni di persone con R.M. si nota che non utilizzano mai termini come “più”, “meno” proprio perché non disponendo di sistemi di classificazione non sono in grado di effettuare operazioni di comparazione, e quindi, di orientamento in sequenze. Si potrebbe dire che essi hanno un modo assolutistico di pensare, che li porta ad esibire condotte stereotipate.

Di fronte al R.M. si ha spesso l’impressione di affrontare una serie di problemi singoli senza che si riesca ad individuare una gerarchia di difficoltà e/o di nodi cruciali che permettano di affrontare i diversi problemi in modo efficace.

Sul piano teorico un dato ormai acquisito è che il R.M. non va affrontato in termini di deficit: non si tratta di persone a cui manca qualcosa, ma di persone che funzionano in modo diverso dagli altri. Pertanto, non solo sul piano teorico, ma anche su quello operativo è più corretto definire il R.M. in termini di funzionamento, osservare come affrontano, con gli strumenti e con l’intelligenza che hanno, i problemi.

I bambini con R.M. hanno da un lato difficoltà a maturare in modo compiuto numerose abilità; dall’altro anche quando si sono specializzati in una singola abilità mostrano una notevole difficoltà nell’utilizzarla in modo duttile ed interattivo rispetto alle altre abilità. Sono bambini che hanno inizialmente molta difficoltà ad acquisire una nuova competenza e che quando la hanno acquisita tendono ad utilizzarla in modo indiscriminato. In termini di strategie controllano poche e povere strategie globali, dalla difficoltà a generalizzare ciò che hanno appreso a situazioni anche di poco diverse da quelle di partenza, alla difficoltà ad automatizzare nuovi apprendimenti, alla difficoltà a sganciarsi da strategie apprese anche quando esse risultano inefficaci. Con queste persone è, dunque, importante che il lavoro terapeutico non venga centrato sull’apprendimento di una tecnica, ma deve cercare di fornire al bambino con R.M. degli strumenti che gli permettano di riflettere su ciò che sta facendo e lo aiutino nell’individuare modalità e strategie diverse per affrontare situazioni problematiche. In particolare, per questi soggetti apprendere procedure con un personal computer (che chiede di riflettere e aiuta a riflettere) può aiutarli a stimolare capacità metacognitive, di identificazione del problema, di previsione della strategia, di generalizzazione. Come già sottolineato non si tratta di insegnare dei comportamenti o di addestrare all’uso di particolari strategie, ma di modificare le modalità di comprensione e di organizzazione del mondo. L’obiettivo, secondo l’approccio piagettiano allo studio e all’analisi dell’intelligenza e della sua evoluzione, con la possibilità di organizzare strutture cognitive qualitativamente distinte e via via sempre più evolute, è quello di sviluppare strutture mentali di tipo operatorio in soggetti con R.M. che si trovano di solito nello stadio di pensiero intuitivo-preoperatorio.

Proprio questo passaggio dalla “pre” alla “operatività” del pensiero è estremamente importante: il fatto di poter compiere delle operazioni mentali reversibili consente al soggetto di poter trasformare nella sua mente “uno stato A in uno stato B, lasciando nel corso della trasformazione almeno una proprietà invariata, con la possibilità di tornare da B ad A annullando la trasformazione” (Piaget, Inhelder, 1977).

L’ausilio informatico

In considerazione di quanto finora esposto, vediamo di quali parametri un prodotto informatico dovrebbe essere dotato perché possa considerarsi un ausilio. La proposta informatica rivolta a persone con D.A. e /o con R.M. deve tenere in considerazione alcuni aspetti:

Da un punto di vista cognitivo richiede che ogni concetto sia proposto attraverso una opportuna sequenza di passaggi, che ne aumentino la comprensibilità, ed un approccio concreto e operativo. Da un punto di vista affettivo-relazionale, vanno privilegiate modalità e situazioni coinvolgenti, rassicuranti, che aiutino la persona ad avere fiducia nelle sue capacità e ad esprimere in tal modo il meglio di sé, si sa bene, infatti, quanto gli aspetti legati all’emotività influiscano sulla prestazione, e come spesso accade che la persona in situazioni emozionalmente diverse fornisca risultati anche molto diversi. Un’attenzione quindi agli aspetti emotivi e di coinvolgimento permetterà di migliorare l’apprendimento.

D’altra parte le potenzialità dell’elaboratore consentono una serie di opportunità:

– Una personalizzazione del compito, grazie alla possibilità di poter programmare compiti con la frequenza, i ritmi, le facilitazioni opportune.

– Lo sviluppo dell’autonomia nell’apprendere attraverso il monitoraggio dei risultati e la possibilità di feedback immediato.

 – Una ottimizzazione del conflitto cognitivo mediante la proposta di esercizi che presentino diversi gradi di difficoltà secondo un criterio di sfida ottimale, il cui scopo è incrementare l’autonomia cognitiva: si tratta di intervenire innescando il conflitto cognitivo, con proposte appena al di sopra del livello in cui sembra trovarsi l’individuo, difficili quel tanto da stimolare la curiosità senza mettere in gioco il senso di frustrazione che potrebbe derivare.

 – La suddivisione degli apprendimenti su livelli successivi, cosicché ci sia una progressione graduale nell’apprendimento e al tempo stesso la possibilità di inserirsi ad un certo livello di difficoltà quando alcune competenze sono già acquisite.

– Il coinvolgimento ad eseguire il compito, che questo strumento crea proponendosi con una veste sostanzialmente ludica.

L’uso del computer, dunque, offre di adattare l’ambiente di apprendimento alle necessità, ai livelli di conoscenza e ai ritmi d’apprendimento di questi individui. Infine, accanto alla possibilità di migliorare l’iter riabilitativo, l’informatica risulta innovativa anche su un piano teorico. Creare un compito (diagnostico e/o riabilitativo) da utilizzare con un personal computer implica una riflessione sulle componenti percettive, la temporizzazione delle risposte, la complessità delle azioni da compiere, che normalmente non vengono considerate con tanta precisione. Attraverso l’uso del mezzo informatico a livello di diagnosi è più puntuale la comprensione dei meccanismi sottostanti al disturbo, e dunque, più precisi gli interventi da programmare all’interno dell’iter rieducativo.

http://www.asphi.it/Notizie/Tico%20CD/Tico/maggi.htm

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