Venticinque anni dopo, il web è sempre meno libero e stupido (stupid network) – la regola è che se resta stupido ci rende intelligenti, mentre se diventa “intelligente” abilita comportamenti stupidi. Tim Berners Lee lancia un appello per la Net Neutrality, ma suona debole e senza interlocutori, anche considerando la sorte di Julian Assange ed Edward Snowden perseguitati da quel nobel per la pace che è anche stato il primo Presidente “eletto dal web“.
Lascia poi abbastanza perplessi che in un appello per la salvaguardia del più grande bene pubblico mai creato, oggi sfidato da governi e mercati, ci si chieda di cosa il web abbia bisogno per sostenere attività educative, di commercio (sic), d’intrattenimento e interazione sociale, come se fossero pratiche equivalenti e come se queste aggressioni non avessero dei responsabili e una storia.
13 Marzo 2014 at 11:45
Non so abbastanza inglese per l’intervista, però sono reduce da una serie di letture di blog con commenti di 40-50 utenti: ciascuno dice la sua, ma chi tiene il blog non indirizza la discussione, non tira le somme e, il giorno dopo, via con un altro argomento (come immagino siano i talk show televisivi).
Saremo anche liberi di dire sciocchezze, ma questo ci rende meno stupidi o più stupidi?
13 Marzo 2014 at 15:28
Qualche anno fa Geert Lovink, uno dei protagonisti della network culture, scrisse Zero comments, un saggio che metteva in dubbio l’opinione corrente che navigare e tenere un blog alimentasse un dibattito e contribuisse alla costruzione di una comunicazione intelligente. La sua tesi era che la maggior parte dei contenuti aveva ricevuto zero commenti, perciò o aveva stimolato una ricezione passiva (di tipo televisivo, per intenderci) o aveva semplicemente alimentato il solipsismo narcisistico dell’autore, il tutto peraltro ammantato della retorica dell’interattività.
Si rivolgeva, con questo argomento, ai cosiddetti “tecnoentusiasti”, persone convinte che passare del tempo davanti a uno schermo sia di per sé un’esperienza intelligente. Ce n’erano in abbondanza, un tempo, perché internet era davvero stata un’esperienza di crescita intellettuale e di condivisione del sapere, quando i suoi (pochi) utenti la usavano per fare insieme delle cose (tipicamente: costruire regole tecnologiche e condividere capacità di calcolo per analisi di grandi dati), così come lo è anche oggi quando la si usa per prolungare discussioni o per lavorare insieme a distanza.
Il punto è però che internet non funziona come la TV (dove qualcuno modera il dibattito) e nemmeno come a scuola (dove chi lancia la discussione sa anche orientarla e concluderla con un risultato): internet è orizzontale e funziona solo se ognuno dà un contributo intelligente, parla solo se ha qualcosa da dire, rispetta le massime di Grice, pensa e non solo scrive. Se è visto come un posto dove scrivere sciocchezze (ma internet è un universo: ci sono posti dove si scrivono solo sciocchezze e posti dove si progettano gli esperimenti degli accelleratori di particelle) diventa “democraticamente” ciò che si vuole che sia: una discarica.
Il discorso di Berners Lee è diverso: a distanza di venticinque anni dall’invenzione del web, il suo creatore vede che la rete “stupida” (stupid network) dei primordi che sosteneva conversazioni e pratiche intelligenti, sta diventando sempre più “sapiente” così da rendere NOI passivi e stupidi. E anche meno liberi. Ciò perché il web diventa friendly, veloce, usabile anche da chi non sa niente di dov’è e come funziona (vantaggioso ma pericoloso perchè ci mette nelle mani di una élite di tecnici che decide cosa possiamo o non possiamo fare con le macchine) ma soprattutto perché è diventato un posto che sa cosa facciamo, cosa diciamo, quando e con chi (cioè un luogo sottoposto ad alta sorveglianza) e perché è diventato un luogo in cui i comportamenti degli utenti sono sempre più modellati da vincoli e percorsi obbligati, ciò che sta significando la pietra tombale per la sua (passata) creatività.