Stralcio la parte relativa a disoccupazione e riforme di un articolo più ampio di Domenico Moro consultabile su Economia e Politica.
La Bce di Mario Draghi ritiene che la principale causa della disoccupazione strutturale non sia la crisi ma l’eccessiva rigidità salariale. La soluzione, quindi, sarebbe garantire maggiore flessibilità salariale proseguendo con le “riforme del mercato del lavoro”, come quelle che si stanno portando avanti in Italia (riforma Fornero), Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna.
Peccato, che ad oggi, il potere d’acquisto dei lavoratori si sia ridotto senza che la disoccupazione abbia smesso di crescere. Il punto è che oggi in Europa, come negli Usa, si tende a ricostituire un ampio “esercito industriale di riserva”, che consiste di lavoratori a tempo che possano essere agevolmente inseriti e dismessi a seconda dei cicli di una economia che è destinata a mantenersi per chissà quanto tempo a un bassissimo tasso di crescita e molto lontana dalla piena occupazione.
Visto che le riduzioni salariali e del costo del lavoro non hanno mai creato maggiore occupazione, l’obiettivo reale delle riforme del mercato del lavoro è quello di contrastare la sempre più agguerrita concorrenza mondiale comprimendo i salari di milioni di lavoratori a livelli di sussistenza o addirittura al di sotto di tale livello. Archiviata la società del benessere e dei consumi, con buona pace dei teorici della “decrescita felice”, fa ritorno sulla scena sociale la figura del working poor o “povero che lavora”, ricattabile e disposto ad accettare condizioni e ritmi di lavoro peggiori. Del resto, che importa se il salario reale cala? Non è il mercato interno che interessa alle grandi imprese multinazionali ma quello mondiale. È il modello tedesco ad affermarsi. Peccato che, se tutti fanno così, sarà il mercato mondiale a crollare, così come sta crollando quello dell’area euro. Uno scenario che potrebbe diventare presto realtà, specialmente se gli Usa, dopo le elezioni presidenziali, rinunciassero allo strumento dello stimolo fiscale per affrontare il fiscal cliff.
28 Novembre 2012 at 22:34
Gentilissimo Moro,
non sono per nulla d’accordo con Lei.
Se è vero, come è vero (per fortuna) che la crescita economica (cioè la produzione) è destinata ad essere bassa in futuro e se è vero come è vero (per fortuna) che la produttività è destinata a restare alta, l’unica soluzione, se si vuole che non ci siano disoccupati, è che il poco lavoro necessario per produrre in modo stazionario con produttività sempre crescente, si riduca drasticamente il tempo dedicato da ciascuno al lavoro retribuito, dividendosi il poco lavoro necessario fra i tanti lavoratori disponibili. Ovviamente si tratta di ridistribuirsi anche il reddito: ciascuno lavora la metà ed è pagato la metà. Nel tempo resosi disponibile si svolgono altre attività (si può chiamarle lavoro anche quelle, ma è un lavoro ben diverso da quello “salariato”) che riducono la necessità di reddito (autoproduzione) e la necessità di servizi pubblici che, riducendosi, richiedono minori flussi di danaro verso la PA che così riduce il debito, ecc…. Insomma andiamo verso una società dello stato stazionario di benessere diffuso, purchè si ridistribuisca la ricchezza. E questo è Decrescita Felice. Quella che stiamo vivendo si chiama recessione. La differenza? La decrescita felice si ha quando un obeso decide consapevolmente di mettersi a dieta (e non si può dire che l’occidente non sia un obeso) la recessione è quando ad un obeso togli il piatto in cui mangia (e questo è quello che stanno tentando di fare, come Lei dice) i liberisti!!!
28 Novembre 2012 at 23:22
Caro Nello,
purtroppo le tocca ricevere una risposta da me e non da Moro (e la differenza è notevole visto che non sono economista). Credo che in questo brano (che ho stralciato dall’articolo apparso su Economia e politica) abbia solo sfiorato il tema della decrescita, muovendole una delle critiche tradizionali: enunciare un buon modello (e concordo con lei che uscire dall’attuale è più che necessario) non vuol dire essere capaci di imporlo. Le parla di redistribuzione come di un aspetto che farebbe quadrare il cerchio, infatti, risolverebbe ogni problema anche senza decrescere ..
28 Novembre 2012 at 22:39
Gabriella, tante risposte alle domande che, giustamente, ti poni qui, le trovi in un libro fondamentale per comprendere con estrema chiarezza cosa ci attende nell’immediato futuro:
“I nuovi limiti dello sviluppo” di Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers.
Sottotitolo: “La salute del pianeta nel terzo millennio”.
Oscar Mondadori (prima edizione italiana 2006)
28 Novembre 2012 at 23:24
Non conosco questi autori, mi documento. Grazie della segnalazione 🙂
29 Novembre 2012 at 11:44
…ti sei documentata?
Attenta che sarai interrogata…. 🙂
A parte gli scherzi, penso che sia un libro che ti apporterà notevole materiale su cui riflettere.
Abbiamo bisogno di persone che sanno pensare.
Grazie per il tuo blog.
Ciao.
29 Novembre 2012 at 12:00
Sono ancora inadempiente, ma è in memoria 🙂
28 Novembre 2012 at 23:18
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.