Giovanna Lo Presti, Invalsi. Non è una cosa seria

by gabriella

noinvalsiTraggo da La poesia e lo spirito, questo bell’articolo di Giovanna Lo Presti sulla resistibile operazione INVALSI e le molte ragioni che spingono una didattica seria a rifiutare questi test. 

Collegi Docenti che si rifiutano di somministrare le prove (qui, qui, qui, qui), sindacati che protestano perché si tratta di un incarico aggiuntivo (qui e qui), case editrici che sfornano pubblicazioni per le esercitazioni (qui e qui), scuole che addestrano gli studenti a rispondere ai quiz degli anni precedenti (qui, qui), il Ministero che vuole fare dell’Invalsi un’articolazione del sistema di valutazione per scuole e dirigenti (qui e qui)… Energie e tempo della scuola da mesi rivolte alle prove che si terranno a maggio…

Perché dire “no” alle prove Invalsi? Un buon numero di ragioni ce le fornisce un documento del dicembre 2008, la proposta preparata per l’Invalsi da Ichino, Checchi, Vittadini. Nel documento si mettono in evidenza quali siano le condizioni necessarie per un buon funzionamento del sistema nazionale di valutazione.

Naturalmente, nessuna di queste condizioni è, in questo momento, rispettata. Ad iniziare dal fatto che la premessa indispensabile (anzi, per citare gli estensori della proposta “imprescindibile“) affinché i test Invalsi possano essere attendibili è quella di “istituire un corpo di somministratori esterni. Quindi, se vi chiedono perché non volete collaborare ai test Invalsi, citate pure Ichino, Checchi e Vittadini. E chiarite che il compito dell’insegnante è, appunto, insegnare, che questa delirante attenzione alla valutazione è il segno certo della caduta di tensione civile e culturale della nostra scuola.

Poi aggiungete che la scuola non è un mondo a parte, in cui vengono sospese le regole logiche elementari: perciò misurare le prestazioni di un atleta, dopo averlo malnutrito per mesi e costretto ad allenarsi poco è una stupidaggine evidente. Le nostre classi troppo numerose, le nostre scuole fatiscenti ed inadeguate, il nostro lavoro, sempre più precario da ogni punto di vista chiedono urgenti e concreti miglioramenti, non “misurazioni” delle performance, che qualcuno (ad esempio Gelmini e il suo maître à penser Abravanel) è pronto a sfruttare per costruire l’elenco dei “buoni” e dei “cattivi“.

L’acronimo INVALSI sta per “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione”. I molti e nobili scopi cui si dovrebbe dedicare sono chiariti nel sito dell’ente; la costruzione di un sistema nazionale di valutazione è fra gli obiettivi primari, anche se, sinora, per raggiungere questo traguardo ci sono state soltanto contestate, “prove tecniche” che non hanno spostato di un “ette” la malandata situazione della scuola italiana. Chiariamo subito che l’Invalsi non è una perversa invenzione del centro-destra e che è anzi un buon esempio di quanto sia stata bipartisan la politica scolastica dei governi che si sono succeduti dagli anni Novanta ai nostri giorni.

Parte integrante del progetto della “scuola dell’autonomia, il sistema di valutazione, non ha sinora dato alcun risultato positivo. D’altra parte neppure la “scuola dell’autonomia” ne ha dati: nei più di dieci anni di cosiddetta “scuola dell’autonomia” il sistema scolastico italiano è sceso nelle classifiche internazionali. Parallelamente, sono diminuiti i fondi che lo Stato ha investito per l’autonomia; basta questo dato concreto per dimostrare quanto lo stesso Ministero creda alla validità della tanta lodata “autonomia scolastica“.

Quando le cose vanno maluccio ed i risultati sperati tardano ad arrivare, bisognerebbe fermarsi, riflettere, correggere il tiro. Infatti il MIUR, nel dicembre 2008, commissiona un interessante documento, a firma di tre illustri accademici: Andrea Ichino (fratello del più noto Pietro e poi membro del Comitato tecnico-scientifico che ha realizzato la recente proposta per la valutazione del merito degli insegnanti), Daniele Checchi (che è stato, fra le molte altre cose, consulente per il governo Prodi sui temi di scuola e università e consulente per i Ministeri dell’Economia e della Pubblica Istruzione nella stesura del Libro Bianco di Fioroni), Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, c’est à dire Compagnia delle Opere, c’est à direComunione e Liberazione”). I brevi e quanto mai incompleti cenni biografici stanno a sottolineare, ancora una volta, il carattere strettamente bipartisan dell’impresa.

Il documento in questione si intitola Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici ed è un bell’esempio di come, partendo da affermazioni vere, si possa giungere a conclusioni false.

Esempio:

  • la scuola dell’autonomia non ha i soldi necessari per funzionare bene;
  • il sistema di valutazione è necessario per la scuola dell’autonomia;
  • quindi, anche senza soldi, dobbiamo sperimentare il sistema di valutazione.

La conclusione logicamente corretta di questo impuro sillogismo dovrebbe essere: “Finché non ci sono i fondi necessari è inutile riempirsi la bocca con espressioni senza senso come scuola dell’autonomia e sistema di valutazione”. Poiché la formazione dei tre luminari è di tipo economico, quello ci aspettavamo che dicessero. Ma, essendo probabilmente stati pagati anch’essi per produrre il documento, hanno comunque redatto le loro brave 22 pagine, fitte fitte di verità e menzogne, costruendo ragionamenti a partire dal “facciamo finta che…”. Metodo discutibile ma non privo di capacità di persuasione. Eccone un passaggio significativo:

Le prove standardizzate aggiuntive dovranno essere somministrate agli studenti da personale esterno, diverso dagli insegnanti di ciascuna scuola. È naturale, infatti, che gli insegnanti locali abbiano un incentivo ad aiutare i loro studenti o a lasciare che si aiutino gli uni con gli altri copiando, e questo evidentemente falserebbe i risultati della valutazione. L’analisi dei risultati della prova nazionale del 2008, nell’esame di Stato al termine del primo ciclo, ha purtroppo messo in luce che questo rischio è reale e va tenuto presente.”

Quindi, nel 2008, ed i nostri esperti lo mettono nero su bianco, i risultati delle prove vennero falsati dal fatto che gli studenti copiarono o ebbero suggerimenti dai loro insegnanti! Ma a tutto c’è rimedio.

Istituire un corpo di somministratori esterni per le prove aggiuntive è costoso, ma strettamente necessario perché la valutazione sia attendibile. Si noti che queste persone non dovranno correggere le prove, ma solo riceverle dall’INVALSI, somministrarle agli studenti verificando che tutto si svolga senza irregolarità e riconsegnare all’INVALSI gli elaborati. Pur essendo consci del fatto che questo requisito costituisce un onere aggiuntivo per il Ministero dell’Istruzione, riteniamo che esso sia una condizione imprescindibile perché il sistema possa funzionare. Ai fini della costituzione di questo corpo di somministratori esterni proponiamo i seguenti passi:

a) Costituzione di un albo di persone disponibili a somministrare le prove in province diverse da quella di residenza, ma con essa confinanti.

b) I requisiti per far parte di questo albo saranno gli stessi che consentono di essere scrutatori o presidenti di seggio nelle elezioni nazionali; è auspicabile, in particolare, che vengano invitati a rendersi disponibili per questo albo i numerosi pensionati di cui il paese dispone.

(…) Le persone che si saranno rese disponibili dovranno essere opportunamente addestrate dall’INVALSI.

Quanto costerà tutto questo a regime? Dai 31 agli 81 milioni di euro all’anno, a seconda che si abbia prevalenza di domande a risposta chiusa o aperta. Ma saranno soldi ben spesi, dicono i nostri, perché permetteranno di migliorare la scuola italiana. In che modo?

“Nei primi anni di sperimentazione, è necessario che il Ministro dell’Istruzione annunci in modo chiaro e autorevole che i risultati di queste prove, presi da soli, non costituiscono elemento di valutazione delle scuole con conseguenze retributive o di budget, fino a che il sistema non sia portato a pieno regime. Questo affinché tutti gli operatori interessati abbiano tempo di capirne il funzionamento, verificarne l’affidabilità e suggerire le necessarie modifiche migliorative”.

Cosa accadrà quando il sistema sarà portato a regime? Sveliamo l’arcano:

“Oltre a conoscere con chiarezza gli obiettivi su cui saranno valutati, Dirigenti scolastici, insegnanti e altri operatori della scuola dovranno poter disporre degli strumenti adeguati per ottenere i risultati desiderati, avendo a disposizione un periodo di sperimentazione per comprendere il funzionamento del sistema. Esula dagli scopi di questo documento definire nei dettagli in cosa questi strumenti debbano consistere, ma certamente alle scuole deve essere data autonomia nella definizione dell’offerta formativa e nella gestione delle risorse umane e finanziarie: senza questa autonomia non è pensabile che gli operatori della scuola possano accettare un sistema di premi e penalità legato a obiettivi che essi non possono raggiungere”.

Innegabilmente, se le condizioni lavorative non sono tali da garantire il conseguimento di un risultato, ogni sistema premiale risulta una vera stupidaggine. Come garantire adeguato apprendimento? In classi numerose, problematiche, costrette a lavorare in ambienti inadeguati e magari insicuri, senza poter disporre di laboratori e strutture che facilitino il lavoro di studenti e insegnanti? Proseguendo la lettura, però, capiamo che la via per il miglioramento della scuola passa anche da un’altra parte:

“È quindi opportuno evidenziare qui i nodi che il Ministero dovrà affrontare per assicurare alle scuole la necessaria autonomia:

a) Reclutamento e rimozione dei presidi sulla base della performance ottenuta.

b) Reclutamento e rimozione degli insegnanti.

c) Formazione e aggiornamento.

d) Governance delle scuole.

Va inoltre osservato che una quota significativa degli attuali dirigenti scolastici non è stata selezionata nel ruolo per merito individuale, ma immessa ope legis, creando così problemi di legittimazione all’esercizio effettivo di una funzione dirigente. A parziale e temporaneo rimedio può allora immaginarsi che parte delle responsabilità decisionali su questi temi venga invece attribuita al corpo insegnante nelle sue diverse articolazioni (consiglio di classe e/o collegio docenti), fornendo a questi organi poteri non solo di conferma (accettazione dei nuovi docenti) ma anche di rimozione (nel caso di insegnanti che abbiano dato cattiva prova di sé per un certo numero di anni).

A parte la verità scomoda sui Dirigenti scolastici tutto il resto è puro delirio, soprattutto se si tiene conto che i punti precedenti vengono dati come passaggi che garantiranno alla scuola la “necessaria autonomia. La quale consisterebbe più che in un “sistema premiale” in un sistema sanzionatorio. E’ evidente che chi si è espresso in tali termini, fra le altre cose, ignora (forse volontariamente) come davvero funzioni oggi la scuola. Ignora anche (senz’altro volontariamente) che attribuire ad una sorta di “tribunale del popolo” formato da insegnanti la conferma o la rimozione dei propri colleghi certo non garantirebbe l’equità del giudizio: nel migliore dei casi romperebbe quel patto già così fragile di solidarietà tra colleghi che è il solo, invece, che possa assicurare una buona azione didattica comune.

Con ciò non si vuole affermare che situazioni in cui l’insegnante sia, per i motivi più vari, in seria difficoltà con le proprie classi vadano ignorate. Queste situazioni devono, invece, essere adeguatamente valutate, tenendo però conto, in primo luogo, che il logoramento che il docente subisce nell’esercizio del proprio lavoro (è noto fenomeno del burn out) è insieme l’effetto e la causa più frequente del “mal di scuola. In casi come questi le sanzioni sono ingiuste e non auspicabili.

Nella conclusione, il documento Invalsi, comunque, ritorna alla ragionevolezza:

“È ragionevole ipotizzare che il sistema di valutazione delle scuole fin qui descritto non possa funzionare immediatamente a pieno regime per almeno tre motivi:

  • disponibilità dei fondi necessari al suo finanziamento;
  • necessità di tempi tecnici per la realizzazione dell’Anagrafe degli studenti;
  • necessità di un’adeguata sperimentazione (…).

Ciò non toglie che:

“… anche nella fase di avviamento del sistema, gli apprendimenti degli studenti possono essere utilizzati per valutare le scuole solo se opportunamente depurati dalle componenti che dipendono dal contesto in cui le scuole operano e gli studenti vivono (…)

Per questo motivo, anche nella fase di avviamento sarà necessario raccogliere informazioni di contesto sulle scuole e gli studenti, mediante appositi questionari distribuiti alle scuole, alle famiglie e agli studenti stessi, in occasione di ciascuna prova (come ad esempio accade per i test PISA e TIMSS”).

Siamo arrivati alla conclusione: la fase di “sperimentazione” dovrebbe essere di lungo periodo, come dicono i tre intellettuali prestati alla misurazione delle performance scolastiche. I test Invalsi dovrebbero prevedere l’istituzione di “un corpo di somministratori esterni“, “costoso, ma strettamente necessario perché la valutazione sia attendibile“; non dovrebbero costituire, nella fase sperimentale, “elemento di valutazione delle scuole con conseguenze retributive o di budget.

strong>Tutto questo mal si confà ad una politica governativa decisionista, che fonda gran parte del suo appeal nel raggiungimento del risultato in tempi brevi, qualunque sia la natura del risultato. Sappiamo, per esempio, che il PQM (Piano qualità e merito) presentato lo scorso anno da Gelmini e Abravanel prevede l’estensione dell’esperienza dei test oggettivi standard predisposti dall’INVALSI” al fine di studiare un “sistema per assegnare le borse di studio solo in base al merito, dopo aver sostenuto un test di valutazione che premi i migliori per ogni Regione”. Laddove “solo in base al merito” è da intendersi “indipendentemente dal reddito. Ecco come intendono usare le indagini Invalsi i nostri governanti. Ed è facile prevedere quali scuole otterranno i risultati migliori: quelle collocate nelle aree geografiche più ricche del Paese e quelle frequentate da studenti provenienti da famiglie più abbienti e più colte.

Per confermare questa banalità, e per gettare le fondamenta di un traballante edificio meritocratico (sappiamo che il progetto del Ministro dell’Istruzione per la valutazione dei docenti ha ottenuto un fermo rifiuto,  e allora le prove Invalsi potrebbero essere il grimaldello per sperimentare una forma alternativa di valutazione degli insegnanti) non è il caso di spendere, quest’anno, più di 8 milioni di euro e di disturbare la programmazione didattica. Perché, di certo, sarà più d’uno l’insegnante “zelante” che “preparerà” la sua classe alla “prova”, come conferma il fiorire di un nuovo ramo editoriale dedicato a manuali per la preparazione alle prove Invalsi; e se esiste l’offerta è probabile che esista anche la domanda.

Di fronte a tanta confusione di intenti, di fronte alla preoccupante discordanza tra ciò che affermano gli “esperti” ministeriali e ciò che il Ministero fa, tutti dovrebbero rifiutarsi di prender parte ai test Invalsi – non foss’altro per una elementare forma di prudenza.

Sia ben chiaro: non perché non si accetti il giudizio sul proprio lavoro, ma perché non si vuole collaborare ad una valutazione inutile, che confermi, ancora una volta, che le scuole del centro-Nord vanno meglio di quelle del centro-Sud, che gli studenti dei licei vanno meglio di quelli dei tecnici e dei professionali etc. A cosa serve un sistema di valutazione nel momento in cui la scuola statale viene dissanguata? A cosa serve individuare zone di sofferenza nel nostro sistema scolastico se poi i correttivi non esistono – se anzi l’intenzione è quella di penalizzare ulteriormente gli “ultimi, in nome di una meritocrazia ispirata al darwinismo sociale, come affermano congiuntamente Gelmini e Abravanel?

E’ ora di denunciare la “sindrome da valutazionecome un effetto della cattiva coscienza dei nostri governanti. Lo Stato dia agli studenti, alle famiglie, agli insegnanti una scuola decorosa, consideri finalmente la scuola la prima “grande opera” da portare a compimento nel Paese, restituisca ed integri le risorse tolte – poi, se sarà necessario, si potrà anche parlare di un onesto sistema di valutazione. Al momento i test Invalsi non sono che una truffa che ha sottratto parecchi milioni di euro ai contribuenti italiani.

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