Joseph Needham, Il Fa Chia, la scuola dei legisti

by gabriella
Joseph Needham

Joseph Needham

needhNel capitolo di Scienza e civiltà in Cina dedicato ai legisti [contenuto nel secondo volume dell’opera], Needham analizza in profondità l’indirizzo di pensiero autoritario che contribuì all’unificazione imperiale della Cina: il Fa Chia, la scuola dei legisti.

Significative le loro dispute sul conflitto tra legge positiva (fa) e legge di natura e non meno celebri le convinzioni della scuola sulla funzione del diritto penale e della crudeltà delle sanzioni nella conservazione dello stato.

L’amore legista per i numerico e il quantitativo a scapito del “qualitativo” e la capacità di rovesciamento delle tesi antagoniste di cui diedero prova i suoi esponenti ne fanno una lettura di straordinario interesse per chi si interessi dei topoi e del funzionamento del pensiero autoritario di ogni epoca.

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No Comments to “Joseph Needham, Il Fa Chia, la scuola dei legisti”

  1. Mi sono letto il capitolo, anche se mi aspettavo qualcosa più vicino allo “stato di emergenza” piuttosto che ad una teoria del diritto e dello Stato.
    Comunque è molto interessante.
    Da una prima, rapida, analisi, mi sembra quasi che i legisti abbiano condensato nel loro pensiero elaborazioni che invece in Europa hanno richiesto dei secoli: l`oggettivismo (quasi meccanico) della legge ricalca il tardo giuspositivismo (non a caso, “amorale”) -direi schmittiano: il conflitto fra “mos” e “lex” riecheggia ne l` “Antigone”; le scienze naturali prese a modello delle scienze umane possono facilmente ritrovarsi nel processo di modernizzazione culminato con la Rivoluzione Francese; la concezione della storia prefeudale potrebbe essere hobbesiana…
    Insomma, direi che i parallelismi siano più di quanti l`autore veda (per inciso, nella sua conclusione ritrovo molto della distinzione di von Hyaek fra “cosmos” -ordine naturale – e “taxis”- ordine comando).
    Infine, mi pare che la tendenza dei legisti abbia avuto un immenso revival “a sinistra” con il maoismo della Rivoluzione Culturale, la quale -non a caso- fu altrettanto frenetica quanto effimera. Mi domando se questa tendenza non potrebbe avere maggior successo nella Cina di oggi, in seguito all`immenso sviluppo economico che ha avuto luogo.
    E, d`altro canto, è curioso vedere con quale saggezza al contrario il Partito Comunista cerchi di mantener vivi alcuni ideali confuciani (riadattati) per garantire un certo ordine sociale….

    Grazie per aver caricato i files!

    • Mi fa piacere che la lettura ti sia stata gradita, quanto al tuo commento è troppo denso per risponderti davvero: direi sinteticamente che per quanto mi riguarda il pensiero cinese colpisce non solo per il sincronismo di alcune tesi (il V° secolo), ma anche per la millenaria anticipazione di altre (vedi il diritto al rovesciamento del sovrano o la tesi della non-divinità del monarca, l’identità degli opposti) fatte salve le debite differenze. Quanto a Rivoluzione culturale e ruolo pedagogico del Partito comunista la penso diversamente (e credo emerga da diversi articoli dedicati alla Cina, anche se non mi sono occupata specificamente del maoismo), potremo approfondire ..

      • Concordo con te sulla straordinaria profondità del pensiero cinese.

        Quanto al “ruolo pedagogico” del PCC, solo una precisazione -più che una vera risposta-: in generale, direi che ogni partito che come quello comunista mira a trasformare radicalmente la società ha un ruolo pedagogico. Non necessariamente posivito, ne` necessariamente efficace.
        Di fatti, non direi proprio che la Rivoluzione Culturale ha raggiunto il suo obiettivo (anzi, potrei piuttosto condividere le parole del mio prof di diritto cinese secondo il quale ha avuto maggior successo Deng Xiaoping con “arricchirsi è glorioso” e le sue riforme).
        Piuttosto, se accettiamo l`affermazione di Needham dei legisti come “destra” del pensiero cinese antico, colpisce che alcune delle loro tesi più radicali siano state riprese da un leader comunista.

        • A parte Deng e l’arricchimento glorioso che non mi ha mai suscitato pensieri amorevoli, non so se Needham usi il termine “destra” (dovrei rivederlo), ma senz’altro usa le nozioni più salde di “pensiero autoritario” e “fascismo” che preferisco.

          • Needham usa l`espressione “in quanto il loro [dei legisti] orientamento politico rappresenta l`estrema “destra”….” in apertura del capitolo ad un terzo, circa del primo paragrafo: affermazione che mi ha colpito molto ed un pò anche “indignato”.

            Quanto a Deng, pragmaticamente direi che è stato un politico di immenso spessore, ma mi riservo il giudizio sugli effetti della sua politica.

            • Posso dirti che tutto il volume dedicato al pensiero antico è scritto guardando al rapporto filosofia/società: nella lettura che Needham propone, i taoisti si prefiggono di contrastare la verticalizzazione sociale e la nascita delle prime gerarchie feudali, i confuciani mediano paternalisticamente tra una realtà feudale accettata (malvolentieri) e una relativa armonia sociale, i legisti costruiscono l’impero con l’autorità e l’oppressione. Estrema destra (à mon avis) non pare fuori luogo.. quanto ai politici di “estremo spessore” giudico sempre quardando gli effetti.

              • No, alla luce della lettura complessiva che Needham fa del contesto culturale, la definizione è più che accettabile. Anzi, direi che è corretta.
                Ma, sai, la mia è anche indignazione da giurista occidentale contemporaneo, ben improntato al giuspositivismo e restio ad ogni legge naturale qualsivoglia….

                • Suppongo che tu ti riferisca alla concezione legista della natura umana e hai ragione, ma le filosofie politiche sprovviste di visione antropologica sono rare (una è proprio la taoista, a ben vedere).

                • Se con ciò intendi un approccio al diritto che nega l`esistenza di fonti giuridiche trascendenti la società stessa (insomma, qualche forma di “diritto naturale” o “diritto divino” o di altra metafisica cui il diritto debba conformarsi), sì.
                  In definitiva, più che di natura umana, parlerei di “natura del diritto” (se il concetto avesse senso).
                  Per questo, mi sono istintivamente indignato alla definizione di “destra”: trovo infatti che un diritto slegato da (pretese) metafisiche sia più liberatorio per l`uomo di qualsivoglia diritto naturale…. (pur conscio dei rischi che tale approcio implica).

  2. capisco (e approvo, vista la mia scarsa simpatia per i naturalismi) ma cercare spunti liberatori nel pensiero di Han Feizi e discepoli mi sembra azzardato 😉

    • scusa, mi ero perso il tuo ultimo commento.

      capisco la preoccupazione, e la condivido. dal mio punto di vista, tuttavia, non si tratta tanto di trovare tali spunti nel pensiero dei legisti, quanto in una complessiva tendenza delle scienze socio-giuridiche. tendenza della quale anche i legisti possono essere un`espressione.
      espressione, d`altro canto altrettanto pericolosa in certi sviluppi prettamente occidentali (tanto per fare un nome, Carl Schmitt).

      • Ora che mi ci fai pensare, credo di studiare Han Feizi e Carl Schmitt in modo diverso: nel primo cerco la fenomenologia di un pensiero autoritario che tende a replicarsi nelle forme moderne, nel secondo (purtroppo geniale ;-)) tendo a cercare “leggi” universali della politica e non del solo fascismo.

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