La paideia filosofica, i sofisti

by gabriella

La lezione è dedicata ai primi protagonisti della paideia filosofica e alla scoperta di questi maestri che «eccellenti si diventa», perché l’areté non una qualità posseduta grazie alla nascita nobile, ma qualcosa che può essere educato.

È il superamento della paideia dei poeti e della visione di Omero: la prima, vera, rivoluzione pedagogica.

Indice

1. Il sophistés
2. Da Solone ai sofisti
3. La rivoluzione pedagogica sofista

1. Il sophistés

Anticamente il termine sophistés era sinonimo di sophós (saggio) ed era riferito a chi possedeva attivamente una vasta e poliedrica conoscenza. Sophistés erano detti ad esempio i Sette Savi che Platone elenca nel Protagora.

Nel V secolo a. C. si chiamarono invece “sofisti” quegli intellettuali stranieri che della sapienza facevano una professione, insegnandola scandalosamente dietro compenso, così che Senofonte poteva definirli «prostituti del sapere».

Ciò che caratterizza i sofisti è appunto sofistiil loro proporsi come maestri di virtù, che essi intendono nel modo dei poeti della tradizione greca, da Omero a Solone, nei termini della formazione politica del cittadino.

L’areté omerica

 

2. Da Solone ai sofisti

Solone aveva dedicato a se stesso, quale costruttore di giustizia (eunomie, vita civile), la lode del poeta. L’arconte era stato, infatti, l’artefice della buona legge che i cittadini di Atene dovevano rispettare.

Solone, l’areté civile

Anche i sofisti lavoreranno alla costruzione della virtù dei cittadini, sviluppando in loro la capacità politica, cioè l’arte di parlare in modo persuasivo (retorica) e di difendere le proprie tesi nell’agorà (dialettica).

Per loro, quindi, somma areté é il sapere, cioè quel particolare tipo di formazione spirituale che sviluppa le capacità richieste al cittadino nella polis del V secolo, una città democratica che non si regge più su norme divine e principi immutabili, ma su leggi e decisioni prese nell’agorà e nella boulé.

È quindi diventato indispensabile per l’uomo libero che partecipa alla vita pubblica, il possesso di tecniche retoriche e dialettiche capaci di rendere persuasiva la parola.

 

3. La rivoluzione pedagogica sofista

Ad Atene, gli uomini liberi – cioè i proprietari maschi – ricevevano l’educazione che competeva al loro rango nella casa paterna, attraverso la trasmissione diretta del padre stesso o degli schiavi formati come pedagoghi.

Il sapere era dunque un privilegio di casta e consisteva essenzialmente in una formazione psico-fisica ed etica ottenuta attraverso la poesia, la musica e la giDiscobulusnnastica. Si trattava di una formazione unitaria basata sull’idea che lo sforzo di perfezionamento dell’atleta rendesse bello il corpo temprando, allo stesso tempo, lo spirito.

È questa la concezione della cosiddetta kalogathìa (καλὸς καὶ ἀγαθός, kalòs kai agathòs), l’idea che il bello è (anche) buono, cioè che la perfezione fisica e la bellezza morale siano inseparabili.

Nel V secolo a. C., l’educazione fisica si era però estesa a un numero crescente di cittadini che prendevano parte alle Olimpiadi (nate nel 776 a.C.) [qui Eva Cantarella spiega il rapporto tra la kalogathìa e le Olimpiadi e il legame antico tra sport e politica].

Di qui l’intuizione dei sofisti che se era possibile insegnare l’areté fisica anche a coloro che non erano eccellenti per nascita (aristos significa eccellente), doveva essere possibile farlo anche con l’areté intellettuale, cioè con quel tipo di sapere spendibile nella vita pubblica per conquistare il riconoscimento sociale della propria saggezza nel contribuire alle decisioni politiche della polis. Con questa tesi, i sofisti si fanno, dunque, sostenitori dell’educabilità (o emancipazione) di tutti gli uomini attraverso il sapere.

I sofisti si prefiggono quindi di fornire le tecniche e il sapere che rendono eccellenti, convinti appunto che la partecipazione democratica alla gestione del potere possa diventare accessibile ai più, a condizione che i cittadini liberi siano in grado di primeggiare nell’agorà, mediante un abile uso della parola e di argomenti persuasivi (retorica) e la capacità di prevalere nello scontro verbale (dialettica), tecniche insegnabili attraverso il patrimonio complessivo della sapienza greca.

Il concetto greco di paideia (παιδεία) viene così completamente ridefinito – nel V secolo significava ancora “allevamento e cura dei fanciulli” – riferendosi in modo esplicito all’educazione attraverso la cultura greca classica – poesia, musica, aritmetica, geometria, educazione fisica; un sapere enciclopedico, vasto ma non approfondito, vale a dire una polymàtheia, come base valida per un discorso efficace – nel quadro di una precisa teorizzazione pedagogica ricca, come vedremo, di una teoria dell’educabilità universale e di precisi obiettivi educativi.

Si assiste quindi ad una democratizzazione del sapere e della politica a causa della quale i sofisti entrano in conflitto con l’ordine della polis, negando il valore della sua tradizione e di un’educazione concepita come privilegio aristocratico.

D‘ora in poi, l’areté non è più la nobiltà dello spirito di una parte sola della società – come dice il termine, i nobili sono spontaneamente aristoi, salvo tradire il valore della stirpe, come spiega Mentore-Athena a Telemaco, omettendo di educarsi per svilupparlo e nemmeno la sfera morale o un sistema di valori assoluto, ma il sapere, la paideia, la formazione spirituale dell’individuo attraverso la cultura.

Esercitazione

1. Spiega il legame tra la nuova areté sofista e l’idea di eccellenza maturata nell’opera di Solone e ben viva nell’Atene del V secolo.

2. Di quale virtù i sofisti si definivano maestri e a chi rivolgevano il loro insegnamento? Perché i loro allievi erano disposti a pagare per riceverlo?

3. Spiega in dieci righe in cosa consiste la rivoluzione pedagogica sofista e come pervengono i sofisti alla sua elaborazione.

4. Confronta la nuova idea di eccellenza con quella omerica e spiega in dieci righe perché con la loro attività i sofisti democratizzano l’areté e il sapere.

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