La lezione è dedicata ai primi protagonisti della paideia filosofica e alla scoperta di questi maestri che «eccellenti si diventa», perché l’areté non una qualità posseduta grazie alla nascita nobile, ma qualcosa che può essere educato.
È il superamento della paideia dei poeti e della visione di Omero: la prima, vera, rivoluzione pedagogica.
Indice
1. Il sophistés 2.Da Solone ai sofisti 3. La rivoluzione pedagogica sofista
Anticamente il termine sophistés era sinonimo di sophós (saggio) ed era riferito a chi possedeva attivamente una vasta e poliedrica conoscenza. Sophistés erano detti ad esempio i Sette Savi che Platone elenca nel Protagora.
Nel V secolo a. C. si chiamarono invece “sofisti” quegli intellettuali stranieri che della sapienza facevano una professione, insegnandola scandalosamente dietro compenso, così che Senofonte poteva definirli «prostituti del sapere».
Platone e l’Accademia rappresentano per il pensiero filosofico qualcosa di più della fondazione di un atteggiamento di ricerca o di una scuola filosofica. Sono, in realtà, la più profonda ricognizione dei problemi della vita umana, individuale e collettiva, mai tentata nel mondo antico e forse nella storia occidentale.
In otto lezioni [e dodici videolezioni] tentiamo di presentare questa immensa elaborazione culturale e l’itinerario filosofico di un autore segnato in gioventù dalla morte ingiusta del maestro, la cui vita successiva è stata dedicata alla costruzione delle condizioni di una città giusta, i cui cittadini fossero liberi ed uguali [la versione stampabile della lezione è in coda al testo].
L’intera storia della filosofia non è che note a margine al pensiero di Platone.
3.1.1 È possibile insegnare la virtù politica come si insegna un sapere tecnico? 3.1.2La risposta di Protagora: Prometeo ed Epimeteo 3.1.3 La virtù è unica o molteplice?
4.1.1 Il filo narrativo 4.1.2 L’ipotesi sofista di Teeteto: la conoscenza viene dalla sensazione 4.1.3 La conoscenza è la capacità di cogliere ciò che «è lo stesso in tutti i casi» 4.1.4 La verità non è una cosa, ma un compito
Socrate rappresenta l’atteggiamento filosofico più rigoroso di critica della tradizione e di rifiuto della credenza identificati con l’ignoranza delle ragioni per cui l’opinione si è formata in noi.
La sua insistenza sulla ricerca e sul domandare centrano la filosofia su quel lavoro etico e conoscitivo che chiamò dialettica, dopo averne rovesciato il significato sofista. Se la dialettica sofista era infatti l’arte di vincere un duello verbale, quella socratica è piuttosto il combattimento contro tutto ciò che in noi e nella vita in società è assunto senza intelligenza e senza esame per effetto dell’educazione e dell’influenza.
La clamorosa condanna per empietà inflittagli da Atene, accomuna la sua sorte a quella di Anassagora di Clazomene e di Protagora di Abdera che subirono condanna ed esilio trentatré e dodici anni prima di lui, per aver sostenuto che «sole e luna non sono dèi», e che «è impossibile sapere se gli dèi esistono».
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1.Introduzione
1.1Cornelius Castoriadis e la filosofia come critica delle rappresentazioni della tribù 1.2La figura spiazzante di Socrate
2. Anime libere e anime di schiavi
3. Sapere di non sapere
3.1 La virtù è il libero esercizio della ragione 3.2 Sapere di non sapere
4.Il «metodo» socratico
4.1 Gli strumenti della ricerca del sapere: dialettica, ironia, confutazione, definizione 4.2 Educazione e autoeducazione: la maieutica
1.1 Cornelius Castoridis e la filosofia come critica delle rappresentazioni della tribù
Cornelius Castoridis (1922 – 1997)
Se si dice “fine della filosofia”, bisogna dire in uno, “fine della libertà”. Perché la filosofia è questo: è precisamente che sono libero di pensare e che sono libero di interrogarmi. Non sono bloccato dal fatto che la verità è già stata detta. [Nel discorso religioso] c’è strutturalmente un grande blocco: bisogna che in qualche modo tu giustifichi che ciò che dici è compatibile con ciò che nostro padre che è lassù ha detto e che è consegnato nei testi canonici.
Raffaello, I sofisti allontanati dal gruppo dei socratici [La scuola di Atene, 1509, particolare]
I sofisti furono i protagonisti dell’Illuminismo greco, critici di un sapere dogmatico su cui si fondava una precisa gerarchia sociale e attori della prima rivoluzione pedagogica.
Demonizzati da Platone e dagli antichi e rivalutati solo con il pensiero contemporaneo a partire da Hegel e Nietzsche, produssero l’insegnamento di Protagora di Abdera e Gorgia di Lentini.
La filosofia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 – Berlino, 1831) nasce dall’aspirazione, condivisa con il movimento romantico, di veder conciliate le contraddizioni tra soggetto e oggetto, sentimento e ragione, individuo e società, finito e infinito, umano e divino, termini che la cultura moderna e illuministica aveva invece contrapposto.
Hegel accusa i filosofi moderni e, particolarmente Kant, di restare ancorati alle rigidità dell’intelletto (definirà seccamente il modo di pensare moderno, o kantiano, frutto di un «intelletto tabellesco»Pref. Fenom., pp. 40-41) e mantenere la loro riflessione sul livello astrattodella distinzione uomo/natura – per quanto riguarda il piano conoscitivo – e dell’opposizione di essere/dover essere su quello etico, senza cogliere il nesso razionale e necessario che lega i singoli aspetti della realtà.
Hegel sarà infatti il sistematore di quella linea di pensiero che, a partire da Fichte, rifiuta la concezione dogmatica dell’essere, inteso come realtà oggettiva e indipendente dal soggetto e la riconduce all’attività creativa dello spirito.
Raccolgo i passi più significativi dell’Esortazione alla filosofia di Aristotele – nell’edizione curata da Diego Fusaro – con uno stralcio del saggio introduttivo dedicato all’opera da Enrico Berti [E. Berti, Protreptico, Torino, UTET, 2008, pp. XXIII-XVIII].
Se si deve filosofare, si deve filosofare e se non si deve filosofare, si deve filosofare; in ogni caso dunque si deve filosofare. Se infatti la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia.
Aristotele, Protreptico
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1. L’Accademia contro i retori: la risposta del Protreptikos all’Antidosis 2. Il Protrettico
Nell’anno 353 a.C. Isocrate scrisse un’orazione intitolata Antidosis, che significa “scambio”, perché in essa, a riprova della sua innocenza dall’accusa di essersi arricchito illecitamente, il famoso retore si dichiarava disposto a scambiare tutti i suoi beni con quelli dei suoi accusatori.
In essa egli fece l’apologia di tutta la propria vita, rispondendo anche alla polemica condotta contro di lui dagli Accademici [Antidosis, 258]. A costoro si riferiscono infatti inequivocabilmente alcuni paragrafi dell’Antidosis, in cui Isocrate allude a certi ferventi dell’eristica che calunniavano i discorsi comuni e utili, non ignorando il valore di essi né quanto rapidamente essi giovino a chi li usa, ma sperando così di rendere più stimabili i propri [Antidosis, 258].
Nella denominazione di eristi, Isocrate accomuna tutti i socratici, noti per le loro discussioni dialettiche, ma tra essi distingue i platonici, che disprezzano il valore dei discorsi utili e tuttavia conoscono il valore della retorica. Da questi Isocrate dichiara di essere stato attaccato aspramente [Antidosis, 259-60] – accennando sicuramente all’esordio del corso di retorica tenuto da Aristotele:
«è turpe tacere e lasciare che parli Isocrate».
[Aristotele aveva peraltro tacciato di servilismo lo scritto isocrateo dedicato a Grillo, figlio di Senofonte, in occasione della morte in battaglia del giovane nel 362. NDR.] e a lui risponde mediante una valutazione critica della paideia accademica.
Stralcio alcuni passi da questa introduzione al materialismo storico e alla dialettica di Area globale.
Molto raramente si ricorda che una delle conclusioni teoriche di Marx è quella del superamento della divisione disciplinare della conoscenza (si potrebbe dire, della divisione del lavoro nel campo della conoscenza) e l’adozione di un approccio olistico – diciamo, interdisciplinare – ai problemi che in genere vengono catalogati come “filosofici”, “economici”, “storici”, “sociali”, “psicologici”, ecc…
il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso… un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro» [K. Korsch, Marxismo e filosofia, Sugar, Milano, 1968, p. 87. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol.3, Cap.10 “Marx”].
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