Posts tagged ‘arte della guerra’

4 Giugno, 2013

Yamamoto Tsunemoto, Hagakure

by gabriella

hagakure

Hagakure, I, 46

Tra le massime scolpite sul muro del daimio Naoshige ce n’era una che diceva:

le questioni più gravi vanno trattate con leggerezza.

Il maestro Ittei commentò:

quelle meno gravi vanno trattate con serietà.

Non esistono più di due o tre problemi da considerare seriamente e, se sono esaminati in tempi ordinari, possono essere compresi. Per risolverli immediatamente è necessario solo pensarci in anticipo, e poi trattarli con leggerezza quando giunge il momento. Tuttavia non è facile fronteggiare un evento e risolverlo con leggerezza se no ci si è preparati prima, perché non si sa prendere la decisione giusta. Quindi la massima

le questioni più gravi vanno trattate con leggerezzahagakure

può essere pensata come fondamento dell’agire.

Hagakure, I, 91

Il modo appropriato di applicarsi nell’arte della calligrafia è quello di scrivere gli ideogrammi con accuratezza, ma ciò non è sufficiente, perché così la scrittura sarà semplicemente fiacca e rigida.

E’ necessario andare oltre la forma pura e allontanarsi dalla regola. Questo principio di applica a tutte le arti.

4 Giugno, 2013

Miyamoto Musashi, Go Rin no Sho. Yagyu Munenori, Libro della tradizione familiare dell’arte della guerra

by gabriella

Miyamoto MusashiColoro che sono ignoranti non mostrano il proprio genio perché pare che non ne abbiano affatto. Allo stesso modo l’intelligenza altamente sviluppata non appare perché viene celata. E’ solo la pseudo-erudizione che si manifesta apertamente.

Yagyu Munenori

 

Miyamoto Musashi (1584-1645). Dal Go Rin no Sho

Alcuni a tutt’oggi si mantengono con l’arte della spada (kendo) tuttavia si limitano a insegnare le “tecniche” della scherma. Recentemente i monaci shintoisti ispirati dagli dei hanno fondato le loro scuole di scherma e girano per il paese insegnando l’arte.

Da sempre si considera l’arte del vantaggio come una delle arti tradizionali, ma quando parliamo di essa non dovremmo limitarci alla sola tecnica della spada.

Se ci guardiamo attorno ci rendiamo conto che tante arti sono venali. Persino gli uomini si vendono; inventano marchingegni per trafficare meglio invece di di mettere a disposizione la propria competenza. E’ un po’ come separare il seme dal fiore e attribuire maggior valore al fiore. Questo comportamento li spinge a vantarsi delle proprie capacità per sbalordire il prossimo. Avendo una generica familiarità con le tecniche di scherma insegnate nelle diverse scuole, cercano il loro tornaconto insegnando o apprendendo solo queste. Purtroppo la conoscenza superficiale della materia è spesso più nociva dell’ignoranza assoluta.

Mi piace paragonare l’arte della guerra all’attività dell’artigiano e più esattamente a quella del carpentiere, che costruisce le case. L’ideogramma del carpentiere significa “grande abilità” e lo stesso vale per i principi dell’arte della guerra. Se volete apprendere l’arte della guerra leggete questo mio libro e meditate.

Il maestro è l’ago il discepolo il filo. Per conoscere a fondo è necessario esercitarsi con grande abilità.

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22 Aprile, 2013

L’oplita e la nascita dell’arte occidentale della guerra

by gabriella
elmo di tipo corinzio, 500-490 a.c.ca, Staatliche Antikensammlungen-di Monaco

elmo di tipo corinzio, 500-490 a.c.ca, Staatliche Antikensammlungen-di Monaco

Da Studia Humanitatis, una rielaborazione della ricognizione di Frediani [Le grandi battaglie dell’Antica Grecia, Roma 2005 (pp. 37 sgg.)] della nascita della falange oplita e dell’arte occidentale della guerra.

Risulta difficile individuare il momento in cui gli atti di eroismo individuale e i duelli «a singolar tenzone» iniziarono ad essere visti non più come l’obiettivo primario di un’azione militare sul campo di battaglia, bensì come ciò che lo comprometteva, ovvero la potenza scaturita da un assalto compatto e coeso di ampie unità tattiche.

Il poeta spartano Tirteo afferma che ai suoi tempi, nel VII secolo a.C., si era compiuto il processo in base al quale ogni guerriero era tenuto a combattere spalla a spalla con il proprio commilitone e ad evitare qualunque gesto, per quanto valoroso, che potesse compromettere la coesione della formazione. Ed è a questo concetto che dobbiamo legare l’inizio dell’arte occidentale della guerra, con tutte le sue implicazioni etiche, politiche e sociali. L’invenzione, d’altronde, fu così devastante da suscitare l’interesse dei governi dell’intero bacino mediterraneo, che diedero allora avvio alla pratica, assai diffusa nei secoli successivi, di valersi di guerrieri greci come mercenari: «uomini di bronzo che provenivano dal mare», ad esempio, prestarono servizio sotto il faraone Psammetico I, nel corso del suo lungo regno, nella seconda metà del VII secolo a.C.

Doveva essersi trattato di un processo piuttosto lungo. Non bastava, infatti, che un clan agrario prima, una città-stato (pólis) poi, orientassero la loro tattica sul campo di battaglia verso azioni più coordinate tra uomini e tra unità, imbrigliando l’aggressività di guerrieri solitamente portati a partire all’attacco da soli o a piccoli gruppi; era anche necessario concepire delle formazioni che obbligassero i combattenti a contare l’uno sull’altro, ed equipaggiarli con armi diverse da quelle di cui avevano fruito fino ad allora, più maneggevoli e compatte. Possiamo asserire, pertanto, che la tattica precedette le nuove tecnologie, piuttosto che il contrario, e che le nuove armi resero più efficace e portarono a un maggior grado di evoluzione un consolidato modo di combattere. Probabilmente nel corso dell’VIII secolo a.C., dunque, fu istituzionalizzata la pratica di schierare le truppe in file; grazie ad essa, ciascun armato poteva prendere prontamente il posto di chi lo precedeva quando questi cadeva, o creare dei ranghi serrati con l’avanzamento negli interstizi tra i commilitoni schierati nella fila precedente, per imprimere una potente forza d’impatto nel momento dell’attacco e contenere qualsiasi spinta in difesa. Per ottenere la coesione auspicata, ci volevano uno scudo più maneggevole e nello stesso tempo sufficientemente grande da coprire il lato scoperto dell’uomo al proprio fianco sinistro, e una lancia con cui affondare i colpi al momento dell’impatto stesso, in luogo del leggero giavellotto da lanciare prima del cozzare degli schieramenti.
Nasceva così l’«oplita» (hoplítēs), ovvero l’«uomo corazzato» anche grazie alla collaborazione dei suoi commilitoni, tutti componenti di una formazione che doveva agire sempre all’unisono e combattere come una singola unità: la «falange» (phálagx), ovvero – nel significato attribuitole dai Greci antichi – la «formazione da battaglia»– anche se noi moderni tendiamo a riferirla solo alle formazioni di fanteria pesante. L’invenzione avrebbe profondamente influenzato l’arte della guerra nei secoli a venire, se si eccettua l’evoluzione manipolare e coortale delle legioni romane e l’avanzamento in ordine sparso delle orde barbariche all’alba del Medioevo: secoli e secoli dopo l’epoca della Grecia classica, i picchieri delle armate europee dal XIII ad almeno il XVII secolo avrebbero seguito i canoni adottati dagli antichi opliti.

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