Posts tagged ‘giusnaturalismo’

12 Novembre, 2013

Roberto Lolli, Il contrattualismo

by gabriella

Pacta sunt servanda

Cielo

La nozione politica di “Contratto” nelle forme del pensiero antico è connessa al rapporto tra sfera religiosa e mondo umano. Il Patto – lo si chiami “Alleanza” nell’Antico Testamento, Eusébeia in Grecia o Pax Deorum a Roma – si prospetta come una relazione di potere nella quale l’ordine politico discende originariamente dalla volontà divina ed è mantenuto in virtù del rispetto da parte degli uomini di regole e rituali di origine sacra. A fondamento del potere era assunto un mito o una narrazione religiosa, in grado di conferire legittimazione a una casa regnante o al governo libero delle città. In ogni caso, era come se le istituzioni politiche sgorgassero dalla volontà di un dio, dalla natura o da se stesse, venendo a oscurarsi così l’idea che fossero gli uomini e non gli Dèi o il Fato a plasmare le leggi della città.

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28 Luglio, 2012

Florence Gauthier, Robespierre théoricien du droit naturel à l’existence (Robespierre teorico del diritto naturale all’esistenza)

by gabriella

Traduco uno stralcio del volume che Florence Gauthier [Triomphe et mort du droit naturel en Révolution 1789-1795-1802, Paris, Presses Universitaires de France, 1992], docente all’Università di Paris VII, ha dedicato alla formazione del pensiero robespierriano e alla sua concezione della contraddizione tra libertà politica e potere economico. La traduzione è in coda all’originale.

 Io sfido il più scrupoloso difensore della proprietà a contestare questi principi, a meno di dichiarare apertamente che con questa parola (diritto illimitato di proprietà) intende il diritto di spogliare e d’assassinare i suoi simili. Come dunque si può pretendere che ogni regola sulla vendita del grano sia un attacco alla proprietà e rubricare questo sistema barbaro sotto il nome grazioso di libertà di commercio ? Perché le leggi non fermano la mano omicida del monopolista come quella dell’assassino ordinario? 

Robespierre, 2 dicembre 1792

La déclaration du droit à l’existence devint l’enjeu des luttes politiques de 1792 à 1795, mettant aux prises deux conceptions du droit naturel, deux projets de société, deux conceptions de la liberté, liberté politique ou liberté économique, deux conceptions du libéralisme de droit naturel. Robespierre fut un des principaux théoriciens du droit à l’existence à l’époque de la Révolution des droits de l’homme. Partant des principes du droit naturel d’une part, de l’expérience de la révolution d’autre part, il va peu à peu préciser son analyse de la contradiction entre le pouvoir économique et la liberté politique. Nous allons suivre son analyse à travers trois de ses interventions principales à ce sujet.

Avril 1791. « Sur la nécessité de révoquer les décrets qui attachent l’exercice des droits du citoyen à la contribution du marc d’argent ou d’un nombre déterminé de journées d’ouvrier ».

À la suite de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789, l’Assemblée constituante allait à plusieurs reprises violer sa propre constitution en refusant de reconnaître la citoyennetéou l’appartenance au genre humain, selon la conception de la philosophie du droit naturel – aux femmes, aux esclaves des colonies, et enfin à ceux qui vivaient du travail de leurs mains, en détachant, ici, la citoyenneté de la personne pour l’attacher à la richesse.

Robespierre intervenait une nouvelle fois, pour défendre le droit naturel attaché à la personne contre le système censitaire qui faisait dériver la citoyenneté des fortunes :

Pourquoi sommes-nous rassemblés dans ce temple des lois ? Sans doute pour rendre à la nation française l’exercice des droits imprescriptibles qui appartiennent à tous les hommes. Tel est l’objet de toute constitution politique. Elle est juste, elle est libre si elle le remplit, elle n’est qu’un attentat contre l’humanité, si elle le contrarie. [Robespierre, Œuvres complètes, Paris, t. VII, 1950, p. 161]

Robespierre s’appuyant sur les principes déclarés, fait la critique du suffrage censitaire d’un double point de vue : anticonstitutionnel, étant donné que la Déclaration des droits de 1789 est violée par ces dispositions qui renient la conception de la liberté en société ou la citoyenneté ; et antisocial. Il va de ce point vue donner une définition du peuple et de l’intérêt général, et caractériser la nature particulière du système censitaire, et celle universelle de la révolution des droits de l’homme. Les adversaires du droit naturel désignent le peuple par les termes méprisants suivants :

Le peuple ! des gens qui n’ont rien… des gens qui n’ont rien à perdre.

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21 Luglio, 2012

La fondazione del diritto di proprietà. Storia di un’idea dai padri della Chiesa a Locke

by gabriella

Locke1Tra ‘500 e ‘600, la difesa della proprietà privata assume un’importanza fondamentale per giungere ad una giustificazione del moderno processo di accumulazione delle ricchezze. Non era più sufficiente, infatti, riesumare le vecchie argomentazioni aristotelico-tomistiche: lo sviluppo concreto della proprietà superava ormai i limiti posti da questa concezione ed entrava in conflitto diretto con il diritto d’uso tradizionale. Si trattava di conferire alla stessa proprietà privata lo status di diritto naturale in modo da garantirne il carattere esclusivo e l’estensione illimitata. Un’esigenza a cui dà risposta John Locke.

Il pensiero politico di Locke si colloca infatti nell’ambito delle profonde trasformazioni economico-sociali proprie dell’affermazione dell’economia industriale e manifatturiera dell’Inghilterra seicentesca, nella quale lo sviluppo crescente delle forme di produzione protocapitalistiche necessitava di una precisa fondazione ideologica. La dissoluzione del mondo feudale e dei rapporti di produzione legati alle forme assunte dall’economia d’uso a vantaggio di un’economia di scambio esigeva, in effetti, da un lato il ripensamento dei fondamenti del diritto di proprietà e dall’altro la sua collocazione in un sistema politico-istituzionale che ne garantisse lo sviluppo e la conservazione.

 

Lo sviluppo del concetto di proprietà da san Tommaso al pensiero borghese

«Loro [Cicerone e i moralisti pagani] fanno consistere la giustizia nell’usare ciascuno, come beni comuni, quei beni che sono comuni, e come beni propri i beni privati. Ma nemmeno questo è secondo natura. La natura infatti profuse a tutti i suoi doni. Perché Dio comandò che tutto si producesse a comune beneficio di tutti e che la terra fosse in certo qual modo comune possesso di tutti. La natura ha dunque generato il diritto comune, l’usurpazione ha generato il diritto privato [Natura igitur ius commune generavit, usurpatio ius fecit privatum].

Sant’Ambrogio, De officiis, 1, 28

«L’erba che il mio cavallo ha mangiato, la zolla che il mio servo ha scavato, il minerale che io ho estratto in un luogo […] diventano mia proprietà […] E’ il lavoro che è stato mio, cioè a dire il rimuovere quelle cose dallo stato comune in cui si trovavano, quello che ha determinato la mia proprietà su di esse»

John Locke, Second Treatise, § 28

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31 Dicembre, 2011

Thomas Hobbes, Il Leviatano

by gabriella

Whatsoever therefore is consequent to a time of Warre, where every man is Enemy to every man; the same is consequent to the time, wherein men live without other security, than what their own strength, and their own invention shall furnish them withall. In such condition, there is no place for Industry; because the fruit thereof is uncertain; and consequently no Culture of the Earth; no Navigation, nor use of the commodities that may be imported by Sea; no commodious Building; no Instruments of moving, and removing such things as require much force; no Knowledge of the face of the Earth; no account of Time; no Arts; no Letters; no Society; and which is worst of all, continuall feare, and danger of violent death; And the life of man, solitary, poore, nasty, brutish, and short.

T. Hobbes, Leviathan, I

Dall’Introduzione di Tito Magri a Leviatano, Editori Riuniti, 1976.

Hobbes è il massimo teorico dell’assolutismo, cioè della forma storica in cui si è sviluppato tra ‘500 e ‘600, lo stato moderno. Il concetto di sovranità legibus soluta, vale a dire dell’unità del potere dello stato e della sua superiorità e indipendenza rispetto a ogni altra specie di potere, è posto dal filosofo al centro della sua teoria politica come condizione essenziale del buon ordinamento del governo degli uomini e carattere specifico del potere politico rispetto, ad esempio, al potere ecclesiastico o alla patria postestas.

La filosofia politica di Hobbes va considerata come la prima teoria in cui lo stato sovrano e indipendente viene analizzato secondo i principi del pensiero filosofico moderno e in relazione ai fenomeni fondamentali della società moderna (industriale o borghese). Hobbes visse infatti nel periodo culminante del processo di formazione degli stati europei: la pubblicazione del Leviathan (1651) segue di poco la pace di Vestfalia (1648) che concluse la guerra dei trent’anni. Sul piano del pensiero politico, la formazione degli stati si connette all’idea dello stato come creazione cosciente e volontaria degli individui, anzichè come ordine sopraumano – cosicché «il punto di partenza della ricerca cessò di essere il genere umano e divenne lo stato sovrano, individuale e autosufficiente» (Gierke, 1958) – che si considerò fondato su un unione stretta tra gli individui in ottemperanza alla legge di natura per formare una società armata del potere sovrano (contrattualismo).

Al centro del pensiero di Hobbes sono i concetti di individuo e stato: lo stato è per lui il Deus mortalis, la forma unitaria e suprema di direzione morale, giuridica, religiosa, fornita di poteri assoluti e rispetto alla quale l’individuo si trova in condizione di totale dipendenza. Nello stesso tempo, esso viene costruito a partire dai nuovi principi individualistici della società borghese, a partire dall’indipendenza, dalla libertà e dall’eguaglianza naturale degli uomini che istituiscono lo stato sulla base di un calcolo razionale e in vista della conservazione della vita e del benessere.

Il corpo politico viene pensato da Hobbes come corpo artificiale e non come realtà immediata e naturale – la società cioè non esiste in natura, ma è preceduta dall’individuo che è la sola realtà naturale -, il suo fondamento non è una norma trascendente o un istinto, ma le convenzioni e gli accordi tra gli uomini. Corrispondentemente muta anche il metodo della filosofia politica, come mostra il fatto che pur continuando a ricorrere all’autorità della Scrittura e ad esempi storici, Hobbes se ne serve solo per confermare quanto ha già dimostrato per via razionale. La filosofia politica è una scienza e il suo metodo è quello della scienza sperimentale galilleiana: si scompone l’oggetto in parti semplici (la natura umana, lo stato, i patti ecc.) e si ricompone una sintesi a partire da tali principi, ma stavolta come realtà conosciuta razionalmente.

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