Posts tagged ‘TAV’

24 Marzo, 2012

Salvatore Settis, La TAV in Val di Susa e le New Town de L’Aquila

by gabriella

Che cos’hanno in comune la Tav in Val di Susa e le new towns berlusconiane che assediano L’Aquila dopo il terremoto? Che cosa unisce l’autostrada tirrenica e il “piano casa” che devasta le città? Finanziatori e appaltatori, banche e imprese sono spesso gli stessi, anche se amano cambiare etichetta creando raggruppamenti di imprese, controllate, partecipate, banche d’affari e d’investimento. E sempre gli stessi, non cessa di ricordarcelo Roberto Saviano, sono i canali per il riciclaggio del denaro sporco delle mafie. Ma queste lobbies, che senza tregua promuovono i propri affari, non mieterebbero tante vittorie senza la connivenza della politica e il silenzio dell’opinione pubblica. Espulso dall’orizzonte del discorso è invece il terzo incomodo: il pubblico interesse, i valori della legalità.

Se questo è il gorgo che ci sta ingoiando, è perché l’Italia da decenni è vittima e ostaggio di un pensiero unico, spacciato per ineluttabile. Un unico modello di sviluppo, una stessa retorica della crescita senza fine governano le “grandi opere”, la nuova urbanizzazione e la speculazione edilizia che spalma di cemento l’intero Paese. Ma su questa idea di crescita grava un gigantesco malinteso. Dovremmo perseguire solo lo sviluppo che coincida col bene comune, generando stabili benefici ai cittadini. E’ invalsa invece la pessima abitudine di chiamare “sviluppo” ogni opera, pubblica o privata, che produca profitti delle imprese, anche a costo di devastare il territorio. Si scambia in tal modo il mezzo per il fine, e in nome della “crescita” si sdogana qualsiasi progetto, anche i peggiori, senza nemmeno degnarsi di mostrarne la pubblica utilità.

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7 Marzo, 2012

Silvano Cacciari, TAV, l’accelerazione della democrazia che può far deragliare Monti

by gabriella

Until lambs become lions, come ricordava anche Robin Hood. Che altro non è che la prima saga popolare, nata dalle campagne, che ha nutrito l’epica delle lotte contadine prima e della classe operaia poi. Le pecorelle lasciamole al mainstream, è tempo di diventare leoni, in modo nuovo.

Qualche giorno fa su La provincia di Varese un lettore scriveva alla redazione per esprimere il proprio parere sulla Tav. Scriveva che i manifestanti notav gli sembravano quegli abitanti delle zone rurali inglesi che si opponevano alla realizzazione della prima ferrovia inglese che partiva da Manchester. Ricordava il lettore che nonostante le proteste, anzi le rivolte, degli abitanti di un territorio  allora notoriamente ribelle il progresso alla fine fece il suo corso.

Certo, bisognerebbe far notare al nostro lettore come, nella zona di Manchester, il progresso avesse una certa dimestichezza con l’uso dei fucili di Sua maestà britannica. Pochi anni prima infatti in quelle zone era avvenuto il massacro di Peterloo, 15 manifestanti uccisi dall’esercito inglese ad un raduno di 60.000 persone, durante una manifestazione che chiedeva una reale rappresentanza democratica in parlamento. L’opposizione alla ferrovia di Manchester dell’epoca godeva quindi di una fresca memoria popolare sull’efficacia della repressione. E sono fattori che contano quando il progresso si impone.

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5 Marzo, 2012

Effetto Nimby e Alta Velocità

by gabriella

Dopo il tragico sgombero della baita Clarea e la fuoriuscita della protesta dalla Val di Susa, si ricomincia a parlare di effetto Nimby, come in un recente servizio di RaiNews24. Nimby è l’acronimo di Not In My Back Yard, «non nel mio cortile», e allude all’atteggiamento di chi, pur non contestando un progetto o un cantiere, rifiuta di sopportarne i disagi. E’ Nimby, insomma, chi non contesta l’utilità di un’opera, né le scelte generali di politica economica (il cosiddetto modello di sviluppo), ma preferirebbe fossero altri a sopportarne i costi: costruite pure l’autostrada, ma non passate sul mio terreno; non sono contrario all’inceneritore, ma andate a farlo un po’ più in là. 

Se la protesta dei valsusini fosse spiegabile con questa logica, la crescita della solidarietà nazionale nei loro confronti sarebbe impensabile: ostacolando la realizzazione di un’opera di pubblico interesse, essi frapporrebbero interessi particolari al bene generale, cioè alla crescita del benessere collettivo e della ricchezza nazionale.

Il problema (per chi vuole realizzare l’opera) è che i valligiani non sono percepiti in questo modo ma, al contrario, come i soggetti più immediatamente e direttamente toccati da interventi portatori di pubblico danno e interesse privato. Che il nodo del contendere sia un treno non ostacola questa percezione – come ha ritenuto erroneamente Bersani che a Servizio Pubblico ha provato ad evocare la stagione in cui ci si batteva per avere i treni, mostrando inequivocabilmente la propria distanza dalla sensibilità comune – ma la esalta, perchè da vent’anni il trasporto ferroviario italiano non é più pensato né sviluppato come un servizio pubblico generalista, un servizio cioè che risponde ad esigenze fondamentali della popolazione quale che sia il suo reddito, ma come un servizio offerto a clienti differenziati in base alla capacità di spesa. E da questo punto di vista, l’esperienza dell’alta velocità è già dato comune: chi non ha mai perso una coincidenza perchè il proprio treno ha dovuto dare la precedenza al freccia rossa? E chi non ha fatto esperienza di treni soppressi, in ritardo, sporchi o fatiscenti in stridente contrasto con il modernismo pacchiano dell’alta velocità?

Non è un caso se in Francia capiscono poco della protesta valsusina: là il TGV (train grande vitesse) non è un treno d’élite, ma il treno delle lunghe distanze. Niente affatto sfarzoso, è tanto veloce quanto popolare. Dubito che importare il débat public senza la cittadinanza – i livelli di partecipazione ed inclusione in Francia non sono comparabili con quelli italiani -, come pensa di fare Monti [servizio di RaiNews24], sia una soluzione.

 

Daniela Brogi, Che fine hanno fatto le sale d’aspetto?

28 marzo 2013 Pubblicato da Daniela Brogi su Le parole e le cose

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Nei prossimi giorni, ci auguriamo, molti di noi saranno in viaggio, e passeranno per le stazioni italiane.

Vorremmo invitarvi a notare un dettaglio sotto gli occhi di tutti: la scomparsa delle sale d’aspetto. A Milano, a Roma, a Firenze, per citare soltanto alcuni dei punti di snodo più importanti, sono sparite le sale dove potersi fermare, e al loro posto si trovano sedili sparsi più o meno confusamente per la stazione. Come negli aereoporti, si spiega di solito. Ma dietro a queste parole ci sono cose più reali: le sale d’aspetto non sono sparite, nel senso letterale del termine, ma sono state privatizzate, trasformate in salette vip delle singole compagnie (Trenitalia, Italotreno eccetera), come si vede in questa foto scattata alla Stazione di Firenze:

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Che le compagnie mettano a disposizione dei viaggiatori “forti” condizioni agevolate e ambienti speciali, è un’iniziativa legittima. Ma questo sistema di attenzioni, che traduce un’idea di valore unicamente costruita sul potere di spesa degli individui e tra l’altro fa fuori i viaggiatori “forti” veri, cioè i pendolari, è imposto, di fatto, azzerando lo spazio che apparteneva anche agli altri. E così le stazioni diventano, anzi sono, e sempre più esclusivamente, luoghi dove passano i clienti, ovvero non sono più bene comune dei cittadini. Come del resto si capisce subito appena si scende alla stazione di Milano, quando, alzando lo sguardo in cerca del tabellone degli orari, si scopre che su quella piattaforma ormai passano soltanto immagini pubblicitarie.

29 Febbraio, 2012

Valsusa

by gabriella

Sono un chiaro segnale di timore le denigrazioni e le accuse a Luca Abbà, ancora in un letto d’ospedale, al quale “Il Giornale” del 28 febbraio 2012 si è ignobilmente permesso di dare del “cretinetti”. Cresce la paura che una protesta ventennale che non accenna a piegare la testa possa parlare ai tanti che, pur non sapendo esattamente dove sia la Val di Susa, potrebbero cominciare a impararne la lingua. Un articolo di Paolo Baldeschi chiarisce perché. Prima però, il servizio realizzato da Sandro Ruotolo sullo sgombero della baita Clarea, la caduta dal traliccio dell’attivista NO TAV e i ritardi dei soccorsi, mentre le ruspe continuano a scavare.

In coda le ragioni del NO e l’appello a Monti firmato da oltre trecento esperti e un articolo dell’Economist sull’assenza di benefici economici del TAV e il fallimento delle politiche europee di sviluppo dei territori. Chiudono uno studio sui costi e il Libro nero (Ivan Cicconi) di questa “grande opera”, paradigmatica di scelte politiche caratterizzate dall’attitudine alla rapina, cecità per il bene comune e promozione della disinformazione: il TAV è ormai divenuto il simbolo della spoliazione e dell’occupazione violenta dei territori ai quali si chiede di subire il depauperamento delle risorse ambientali, la desertificazione delle attività economiche (paradossalmente, mentre di parla di sviluppo) e i danni alla salute dei cittadini che sono per giunta chiamati a pagarne i costi.

Questo, come affermava la signora padovana che ieri mattina ha telefonato a Prima pagina (radiorai3), significa «essere dominati, non più essere governati». Naturalmente, il conduttore Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, le ha tolto immediatamente la parola. La signora ha, infatti, colto implicitamente la connessione tra questo tipo di investimenti pubblici e la firma di Monti dell’altro ieri del fiscal compact, con la quale un paese in recessione si obbliga a conseguire il pareggio di bilancio mentre regala denaro pubblico (stimato per ora a oltre 50 miliardi di euro, il 2,6% dei quali a carico dell’UE) al malaffare (partitico-imprenditorial-mafioso) al costo di scuole, strade, ospedali, e qualità della vita dei cittadini.

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Paolo Baldeschi, TAV Val di Susa. Una battaglia rivoluzionaria per la democrazia

Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché le ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale-tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato in Il libro nero dell’alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l’Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E’ un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle opere.

La chiave dell’architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell’opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell’opera, soggetto privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare d’appalto e via ‘per li rami’, cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra.

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