Indice
1. La letteratura pre-unitaria per l’infanzia
1.1 Il Giannetto
2. L’unificazione ideologica d’Italia nella letteratura per l’infanzia
2.1 Pinocchio
2.2 Cuore
Conclusioni
1. La letteratura preunitaria per l’infanzia
Uno sviluppo interessante della letteratura per ragazzi si registra nel periodo risorgimentale preunitario, quando nelle regioni più avanzate degli stati italiani si avverte l’esigenza di un ampliamento dell’istruzione infantile.
1.1 Il Giannetto
Nel 1836, il pedagogista milanese Luigi Alessandro Parravicini pubblica il Giannetto, un libro scolastico che alternava parti narrative a sfondo morale e nozioni di varie discipline, inaugurando una formula di successo che varrà al volume sessanta riedizioni in cinquant’anni. Il libro è, sostanzialmente, un percorso nozionistico fuso con un piano narrativo e morale che segue la crescita e l’ascesa sociale di un vero self-mademan nostrano, dal tirocinio in bottega degli anni giovanili alla maturità in cui diventa un gran signore e un benefattore.
Caratteristico di questa letteratura in generale, e del Giannetto in particolare è l’intento di favorire l’apprendimento di un ordine sociale gerarchico, dipinto come giusto e naturale, al quale è necessario adeguarsi. Valori e modi di comportamento, dal necessario rispetto per i superiori alla compassione per chi ha avuto la ventura di nascere povero, vengono proposti ai giovani lettori in modo incalzante, scongiurando in partenza ogni lettura critica o difforme.
Dal capitolo 70, libro I, “Doveri vicendevoli fra servo e padrone”
«Tuttodì noi vediamo che l’uomo è benevolo per natura, ch’egli suol anche ricompensare chi gli rende qualche servizio. È quindi naturale che chi non ha da vivere presti l’opera sua a chi può rimeritarne i buoni servigi con un salario o in altro modo. Il servo che ama di cuore il padrone, adempie volentieri ad ogni suo incarico: e per questo legame del reciprocoamore e bisogno vivono contenti e il servo e il padrone. Quanti padroni amarono come figliuoli e fratelli i loro fedeli servitori! Quanti servi amorosi piansero la morte de’ loro benefici e discreti padroni, come se avessero perduti in essi i propri genitori. Cominciate voi dunque a compatire e a voler bene alle serve; e queste vi corrisponderanno con altrettanto affetto.[N.d.R.: come si fa a non capire a quale ceto sociale era diretto il libro?] Ricordatevi ch’è dovere d’ogni padrone essere compassionevole e paziente co’ servi, essere puntuale nel pagare la convenuta mercede. Ogni padrone deve pensare che il servo è fatto anch’esso di carne, la quale soffre le stesse fatiche, gli stessi dolori come la propria, deve pensare che tutti gli uomini sono fratelli, perché tutti sono figli in Dio, perché tutti hanno la stessa natura, che infine è puro caso lui essere nato ricco, e il servo un poverello».
Il passo seguente, inquadra invece un’ispezione scolastica:
«Appena entrato l’ispettore in iscuola tutti i fanciulli si alzarono in piedi con gran rispetto, né si rimisero a sedere che ad un suo cenno. L’ispettore cominciò la visita, interrogando da sé i fanciulli, poi volle vederli scrivere e far da sé l’aritmetica. Alcuni scolari risposero ottimamente e n’ebbero lode dall’ispettore il quale poi soggiunse: «Un’altra cosa mi sta molto a cuore, la vostra costumatezza, miei cari figliuoli. Vorrei che tutti serbaste l’animo puro e che adempiste i vostri doveri. So che gli andate leggendo nel libro che vi ho regalato; perciò ho pensato di parlarvi oggi intorno agli obblighi che ci legano ai superiori, ossia a quelle persone che regolano la società in cui viviamo. State dunque attenti a quello che vi dico. Nelle città abitano le famiglie di ogni condizione. I principi, i vescovi, i monsignori, i nobili, i più ricchi possidenti e negozianti formano il primo ordine sociale. I piccoli possidenti, i mercanti, gli ingegneri, gli artisti, i medici ed i fabbricanti all’ingrosso formano l’ordine medio della società.I bottegai, gli artigiani, i servitori, i garzoni, i vetturali, i facchini e l’altra minuta gente del popolo formano il terzo ordine. Il nobile, il negoziante ed i ricchi somministrano lavoro e guadagno agli artigiani, li sostengono, li consigliano: perciò si deve loro gratitudine e rispetto. Il sovrano, i suoi ministri, i senatori, i deputati, i magistrati pensano al bene dello Stato, cioè al bene di tutti. Tutti perciò devono stima ed obbedienza alle leggi, tutti devono aiutare i governanti nel provvedere ai bisogni dello Stato, pagando le tasse, armandosi per difenderlo, quando così la legge comanda ed il bisogno esige». Poi fece loro le seguenti interrogazioni: «Chi sono i superiori nei villaggi?; che cosa sono le leggi?; che cosa è un delitto?; quali sono i nostri principali doveri verso il sovrano e i suoi ministri?». I fanciulli che erano stati attenti al discorso, risposero a puntino, con bel garbo e in buona lingua italiana, cosicché l’ispettore se ne lodò molto. Levatosi poi da sedere, e riverito il maestro, salutò cortese» [L. A. Parravicini, Giannetto].
Il Giannetto è il primo libro scolastico a godere di diffusione nazionale – ha avuto molte imitazioni, fra le quali il Giannettino di Collodi – ed esercita una grande influenza sui pochi ragazzi che possono avvalersi dell’istruzione elementare.
Si dovrà aspettare infatti fino al 1877 perché il Ministro della Pubblica Istruzione Coppino faccia applicare la legge Casati (1859) sull’istruzione obbligatoria. Il nostro paese affronta il problema dell’alfabetizzazione popolare con molto ritardo rispetto ai paesi del nord Europa, già industrializzati e bisognosi di mano d’opera in grado di lavorare con le macchine industriali. Nonostante l’idiotismo prodotto dalla parcellizzazione del lavoro industriale, lavorare con le macchine richiede infatti un approccio diverso da quello necessario all’artigiano o al contadino, il cui mestiere è appreso attraverso l’imitazione di un lungo apprendistato infantile. Il lavoro industriale richiede, invece, un approccio logico-astratto per far funzionare le macchine utensili.
Il solo modo per sviluppare il pensiero logico e superare l’approcccio imitativo è l’apprendimento della scrittura, della lettura e dell’aritmetica. La scuola dell’obbligo non fu quindi dovuta all’applicazione di principi sociali e morali ma nacque dalla necessità di preparare mano d’opera in grado di partecipare e rendere possibile lo sviluppo industriale dei paesi europei. A dimostrazione dell’impazienza che circondava l’avvio di questo enorme sforzo di istruzione universale, si può ricordare il commento di Carlo Cattaneo che definì la legge Coppino una nuova legge “sepolcrale” sulle speranze di una reale alfabetizzazione popolare in Italia.
2. L’unificazione ideologica d’Italia nella letteratura per l’infanzia
Le avventure di Pinocchio e il libro Cuore proseguono la tradizione della letteratura edificante per l’infanzia iniziata con il Giannetto di Parravicini e prima ancora con le Novelle morali (1782) del padre somasco Francesco Soave – anch’esso libro di successo riedito più di cento volte fino al 1909.
Entrambi i racconti si collegano ai problemi sociali e scolastici della seconda metà dell’’800 e mostrano la necessità del tempo di fornire ai ragazzi dei nuovi libri di letture che potessero svolgere un’opera di unificazione ideologica dell’Italia sui valori emergenti dell’età industriale.
Benché diversi per l’ambientazione che colloca Pinocchio nella Toscana rurale, mentre i protagonisti di Cuore agiscono nella Torino già avviata verso l’industrializzazione, entrambe le opere danno voce ai valori borghesi del lavoro, dello studio, del merito, del rispetto della gerarchia, del patriottismo, impartiti ai ragazzi dell’Italia postunitaria.
2.1 Pinocchio
Pinocchio esce a puntate per 3 anni sul Giornale per i bambini di Roma a partire dal 1881 – la prima edizione in volume è del 1883. Il protagonista, un burattino di legno intimamente buono, ma incline a tutti i difetti di un’infanzia ineducata, vive una serie di disavventure che nascono dalla disobbedienza alle regole morali e comportamentali che il padre adottivo (mastro Geppetto), la madrina (la fata dai capelli turchini) e il Grillo Parlante cercano di inculcargli, e che terminano solo quando Pinocchio, imparata la lezione a prezzo del proprio dolore, diventa un bambino vero.
Le avventure di Pinocchio è, a tutti gli effetti, una allegoria del mondo moderno, con i personaggi tipici dell’epoca postunitaria (i carabinieri), benché l’ambientazione sia, per alcuni particolari, (la moneta) precedente. Secondo il critico Gérard Genot, la storia di Pinocchio è un romanzo di formazione in cui va in scena una giustizia immanente che ricompensa il bene e punisce il male, e nel quale le crudeli punizioni cessano solo nel momento in cui il burattino si adegua ai valori indicatigli: il romanzo sembra così trasmettere l’idea che ai fini della formazione morale del fanciullo, la punizione severa e la colpevolizzazione siano efficaci mezzi educativi. Pinocchio apprende come ci si deve comportare; paradossalmente solo quando perde la sua indipendenza dalle regole sociali, cioè quando da burattino ribelle e indisciplinato diventa un eterodiretto ed integrato «bambino vero».
La tesi borghese veicolata da Collodi (Carlo Lorenzini) e già teorizzata da Locke è dunque che l’autonomia e la libertà consistano nell’interiorizzazione delle norme sociali.
Il rifiuto del lavoro e la lezione del Grillo Parlante
– Dimmi, Grillo, e tu chi sei?
– Io sono il Grillo Parlante, e abito in questa stanza da più di cent’anni.
– Oggi però questa stanza è mia, – disse il burattino, – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.
– Io non me ne anderò di qui, rispose il Grillo, se prima non ti avrò detto una grande verità.
– Dimmela e spicciati.
– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.
– Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani all’alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ho punto voglia e mi diverto di più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi e prendere gli uccellini di nido. […].
– E se non ti garba andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?
-Vuoi che te lo dica? – replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra i mestieri del mondo non ce n’è che uno solo, che veramente mi vada a genio.– E questo mestiere sarebbe?
– Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.
– Per tua regola, – disse il Grillo Parlante con la solita calma, – tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono quasi sempre all’ospedale o in prigione.
– Bada, Grillaccio del mal’augurio !… se mi monta la bizza, guai a te! [Pinocchio, ed. 1985]
L’integrazione di Pinocchio
E da quel giorno in poi, continuò più di cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell’alba, per andare a girare il bindolo [il braccio dell’argano che normalmente veniva spinto da quadrupedi], e guadagnare così quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute cagionosa del babbo. Né si contentò di questo: perché a tempo avanzato, imparò a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco: e con i quattrini che ne guadagnava, provvedeva con moltissimo giudizio a tutte le spese giornaliere. […]
Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese, per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l’indice, e con quello faceva la sua lettura. […]
– Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? – gli domandò Pinocchio saltandogli al collo e coprendolo di baci.
– Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo – disse Geppetto.
– Perché merito mio? […]
– Perché quando i ragazzi da cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie. […]
– Com’ero buffo, quand’ero un burattino e come ora son contento di essere diventato un ragazzino perbene! […] [Pinocchio, ed. 1985]
2.1 Cuore
Il romanzo di De Amicis consiste, invece, in un diario di scuola di terza elementare tenuto da Enrico, un ragazzo torinese, le cui annotazioni fanno emergere i profili dei compagni di scuola e del maestro, caratterizzati a senso unico, accompagnate da pagine di commento dal tono pesantemente moralistico, inserite dal padre.
Mensilmente il maestro detta agli alunni un racconto che tratta del gesto di eroismo di un ragazzo di una diversa regione d’Italia, col fine evidente di forgiare un’identità comune tra gli scolari torinesi e gli immigrati dal sud, e trasmettere il sentimento dell’unità nazionale. T
utto il libro è dominato da un tono patetico-sentimentale in cui prevalgono vicende tristi, i cui episodi sono funzionali alla trasmissione di una stessa morale incentrata sui valori borghesi, nella quale sono assenti i riferimenti religiosi in ossequio al laicismo positivista , accentuato, in Italia, dall’ostilità del neonato regno d’Italia verso lo stato nemico della Chiesa.
Le personalità dei compagni di Enrico, tratteggiate senza sfumature, sono metafora ognuna di un carattere e di una condizione sociale che De Amicis intende emblematizzare a fini pedagogici: Franti è il povero ribelle, meritevole della più grande esecrazione; Crossi, il figlio della verduraia con il braccio “morto” è l’emariginato, il povero passivo e sconfitto; De Rossi è il piccolo borghese che affida al merito la propria speranza di ascesa sociale. Particolarmente interessante è la figura di Franti, a cui De Amicis attribuisce tutti i tratti più odiosi [è vigliacco, ribelle, irrispettoso, incapace di commuoversi di fronte alla sofferenza, alla bontà, ai valori e al comune sentire] e che definisce il ritratto del diverso, emarginato e spinto dallo stigma sociale verso la devianza
ma Franti dicono che non verrà più perché lo metteranno all’ergastolo,
scrive Enrico il 6 marzo.
Conclusioni
Come si è visto, la letteratura italiana per l’infanzia di fine otto-primo novecento evidenzia la necessità di dare unità ideologica ai giovani italiani. L’educazione è fortemente incentrata sui valori dell’etica dominante, affermatasi con l’età industriale, veicolata come naturale e universale – davanti ad essa, ogni valore o sentimento alternativo sarà quindi percepito come “ideologico”, orientato, parziale o non neutrale.
Con l’uccisione del Re buono per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, l’estate del 1900 spazza via definitivamente il secolo passato e l’Italia di Pinocchio. Il quindicennio che ha per timoniere Giolitti produce infatti un altro immaginario e grandi trasformazioni: sono gli anni del primo boom economico, della FIAT, dell’emigrazione di milioni di italiani, del tentativo di integrare borghesia e ceti popolari, dei sindacati e degli scioperi generali, della conquista della Libia, del suffragio universale maschile, delle vampate di nazionalismo.
Anche la scuola cambia, si fa statale, viene innalzato l’obbligo ai dodici anni e si inasprisce la lotta alla “malerba dialettale”, l’analfabetismo diminuisce, e l’editoria per ragazzi gode di grandissima vitalità. Cambia fortemente il rapporto con l’infanzia. I bambini non sono più considerati corpi estranei, ma piccoli attori della vita sociale, del mercato, della pubblicità, presenti nell’attenzione dello Stato. Mentre in Europa si diffonde lo scoutismo di Baden Powell, e si registra un proliferare di capolavori per ragazzi, sul successo degli iniziatori vede l’alba anche la nostra narrativa per l’infanzia; si moltiplicano i libri a buon mercato e nascono “La domenica dei fanciulli”, “Il Giornalino della Domenica”, “Il Corriere dei Piccoli” – che si rifanno agli esperimenti esteri di successo, sfruttando le nuove tecnologie tipografiche.
Commenti recenti