Réné Girard, Il capro espiatorio

by gabriella

Réné Girard (1925 – 2015)

L’analisi girardiana del meccanismo vittimario parte dall’osservazione del mimetismo umano che spinge gli individui ad agire perché vedono farlo ad un modello.

Al centro del mimetismo c’è il desiderio che è appunto il volere qualcosa perché la vuole l’altro.

Il concetto di desiderio è totalmente diverso da quello di appetito: si vuole qualcosa perché la vuole anche l’altro, è il principio mimetico che muove l’individuo nella sua socialità [ne Le bouch émissaire (1982), trad. it. Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987].

Indice

1. Desidero e mimetismo
2. Il meccanismo vittimario
3. La scelta della vittima
4. Il capro espiatorio nel mito e nella religione

4.1 Trasfert di aggressività e trasfert di divinizzazione
4.2 Il cristianesimo e il capro espiatorio

1. Desiderio e mimetismo

Jan Massys, David e Betsabea, 1562

Il punto di partenza della spiegazione che Girard offre del meccanismo del capro espiatorio è la dinamica umana del desiderio. L’animale, infatti, agisce secondo appetiti dettati dall’istinto, l’uomo invece osserva e, successivamente, imita.

Nasce così un rapporto triangolare nel quale qualcuno desidera qualcosa perché qualcun altro la possiede. Ciò comporta che le cose che vogliamo avere non le desideriamo per se stesse, ma perché sono possedute dal modello a cui ci omologhiamo.

Se finiamo col desiderare tutti le stesse cose diventiamo, però, rivali e antagonisti. La rivalità mimetica è, dunque, il conflitto antropologico essenziale di cui dà conto anche l’ultimo comandamento che prescrive di non desiderare la donna e i beni del proprio vicino.

 

2. Il meccanismo vittimario

Quando la rivalità diviene eccessiva, o insorgono ragioni di paura e insicurezza, un sentimento di odio si diffonde a tutta la società e tende a convergere minacciosamente su una sola vittima: è questa che Girard chiama capro espiatorio, un individuo o un animale che deve pagare al posto di altri, non perché sia particolarmente colpevole, ma perché la comunità non può trovare accordo se non unendosi contro qualcuno o qualcosa.

Nelle città greche antiche (ad Atene durante le Targelie in onore di Apollo) uomini scelti per la loro bruttezza che simbolicamente richiamava il male del mondo erano nutriti per un intero anno a spese della città poi, in un giorno stabilito erano cacciati a sassate fuori dalle mura per arginare l’angoscia della contaminazione che gravava sulla comunità

Pharmakói per le strade d’Argo e d’Atene – scrive Roberto Escobar in Metamorfosi della paura – , streghe ed eretici nelle cristianissime piazze d’Europa, ebrei e zingari nei campi di sterminio […]: è questo il prezzo della paura che non si paga, ma viene fatto pagare. Affinché la peste sia una volta ancora arginata, affinché il diabolico sia una volta ancora localizzato e (provvisoriamente) trasfigurato in simbolico, infelici creature – quasi-uomini, sotto-uomini, non-uomini – sono negate, massacrate, bruciate [Roberto Escobar, Metamorfosi della paura, 1997, pp. 204-205].

Il capro espiatorio, quindi, svia la violenza del gruppo sociale canalizzandola su un bersaglio legittimo e non pericoloso – perché il suo assassinio non sarà vendicato – il cui sacrificio fonda il legame religioso della comunità, perché il capro espiatorio è sia reietto che salvatore visto che il suo sacrificio lava la città delle sue colpe.

Troviamo traccia di questo anche nell’etimo del termine immolare, che viene infatti da mole, la pietra della lapidazione che nei miti fondativi si confonde con la lapide, il monumento che ricorda la vittima divinizzata.

Girard trova quindi l’origine del legame sociale nella menzogna del capro espiatorio e nella violenza della sua uccisione, cioè nella condivisione da parte del gruppo dell’assassinio di un innocente, capace di cementare il patto di convivenza tra i suoi membri.

Lo studioso evidenzia infatti come il sacro, la religione ed i miti nascano proprio dal processo vittimario che si scatena in momenti di grave crisi intestina in cui si trova la comunità sociale e che minano la solidità del gruppo umano. In questi momenti in cui è messa a repentaglio la sua stessa sopravvivenza, come nella caso di una carestia o di una pestilenza, la tranquilla esistenza della collettività è sconvolta e gli individui, incapaci di fronteggiarla, vanno alla ricerca di uno strumento di ricomposizione della crisi, capace di rassicurare e riconciliare gli animi.

Girard propone questa antropologia della religione analizzando i comportamenti umani durante le crisi collettive. In questi casi, emerge sempre la stessa soluzione con le singole rivalità tra gli uomini che degenerano velocemente dando vita ad un desiderio unanime e indifferenziato di vendetta.

Il dilagare di questo sentimento di vendetta è il “contagio mimetico”, un’emozione collettiva talmente forte da diffondersi a macchia d’olio all’interno della comunità interessando anche i membri meno coinvolti.

La folla contagiata è pronta a seguire la prima indicazione di un colpevole additato da un leader per concentrare contro questo bersaglio tutto l’odio di cui è carica.

 

3. La scelta della vittima

Ma cosa spinge la folla a scegliere questa o quella vittima? E perché non prova compassione per la sua sorte?

Analizzando singoli miti e una quantità di casi storici, Girard giunge alla conclusione che la folla in preda a frenesia mimetica, sceglie le proprie vittime non in base a indizi di colpevolezza, ma di caratteristiche fisiche o situazionali che associa alla sacrificabilità del soggetto.

Nella dinamica del capro espiatorio non si ricorre infatti al normale procedimento di incriminazione tipico del processo penale, ma si individua sommariamente qualcuno come portatore delle caratteristiche di un potenziale responsabile dei mali sofferti dalla collettività.

Ecco quindi cosa fa di un innocente una vittima perfetta. I capri espiatori:

  1. un eretico

    ebrei

    hanno segni evidenti di diversità fisica o morale dal resto del gruppo che impediscono o rendono meno facile l’instaurarsi di una dinamica di identificazione: possono avere un difetto fisico o psichico, essere cioè degli storpi, dei pazzi o persone di eccezionale bruttezza come accadeva nelle società greche arcaiche oppure, al contrario, possono essere persone di straordinaria bellezza come accadeva presso gli Incas. Possono essere poi appartenenti a una diversa religione, com’è successo agli ebrei o agli eretici nel Medioevo e nel Rinascimento.

  2. Il secondo elemento è la loro non indispensabilità alla sopravvivenza del gruppo
  3. hanno rango sociale estremo: regale o marginale
  4. Infine: vivono con il gruppo ma non ne fanno veramente parte

Il sacrificio di Ifigenia

Il pogrom di Leopoli

Scegliendo un soggetto con queste caratteristiche, la società cerca di sviare in direzione di una vittima relativamente indifferente, una vittima sacrificabile, una violenza che rischia di colpire i suoi stessi membri che intende proteggere a tutti i costi, perché si può ingannare la violenza soltanto se non la si priva di ogni sfogo e le si procura qualcosa d mettere sotto i denti.

Il sacrificabile è qualcuno la cui morte non sarà vendicata, per cui non innescherà un nuovo ciclo di violenza, dunque una persona socialmente marginale o appartenente alla famiglia reale, con la quale è difficile identificarsi.

Se gli uomini riescono a convincersi che uno solo di loro è responsabile della crisi che scuote la collettività, se riescono a vedervi la macchia che li contamina tutti, distruggendo la vittima sacrificale crederanno di sbarazzarsi del loro male.

 

4. Il capro espiatorio nel mito e nella religione

Per Girard, il prototipo del sacrificabile è Edipo, un individuo che raccoglie su di sé tutte le caratteristiche del capro espiatorio.

Edipo infatti è segnato dalla nascita: è zoppo perché era stato appeso per i piedi alla nascita perché morisse e non si avverasse la terribile profezia che ne aveva predetto il destino di parricida. Edipo significa infatti dai piedi gonfi.

Edipo e la sfinge

È socialmente isolato perché arriva da straniero e si muove da un estremo all’altro della scala sociale arrivando come mendicante e diventando re, per aver sposato la regina vedova del re suo padre che egli stesso aveva ucciso in una lite stradale senza sapere chi fosse.

E’ nato a Tebe, ma si considera straniero perché è cresciuto a Corinto dove crede di essere anche nato dalla casata del re. Il giovane re ha una potenza soprannaturale, nel male e nel bene, lui solo può distruggere o salvare Tebe. Edipo infrange, senza saperlo, i tabù fondamentali di ogni società, uccidendo il padre e compiendo incesto con la madre, così che la peste che colpisce la città è scatenata dalle sue colpe inconsapevoli. Accecandosi e andando a cercare la morte, salverà la città per la seconda volta: dalla peste, dopo averla salvata dalla sfinge.

Più ancora di Edipo, l’esempio paradigmatico del capro espiatorio è, per Girard, la lapidazione di Efeso narrata da Flavio Filostrato in Vita di Apollonio di Tiana.

La lapidazione di Efeso fu un fatto storico avvenuto in un momento di forte tensione sociale dovuta alla pestilenza che affliggeva la città.

Filostrato racconta che Apollonio si rivolse alla città dicendo:

-Fatevi coraggio, perché oggi stesso metterò fine a questo flagello-.
E con tali parole condusse l’intera popolazione al teatro, dove si trovava l’immagine del dio protettore. Lì egli vide quello che sembrava un vecchio mendicante, il quale astutamente ammiccava gli occhi come se fosse cieco, e portava una borsa che conteneva una crosta di pane; era vestito di stracci e il suo viso era imbrattato di sudiciume.

Apollonio dispose gli Efesini attorno a sé, e disse:

-Raccogliete più pietre possibili e scagliatele contro questo nemico degli dei-.

Gli Efesini si domandarono che cosa volesse dire, ed erano sbigottiti dall’idea di uccidere uno straniero così palesemente miserabile, che li pregava e supplicava di avere pietà di lui. Ma Apollonio insistette e incitò gli Efesini a scagliarsi contro di lui e a non lasciarlo andare. Non appena alcuni di loro cominciarono a colpirlo con le pietre, il mendicante che prima sembrava cieco gettò loro uno sguardo improvviso, mostrando che i suoi occhi erano pieni di fuoco.

Gli Efesini riconobbero allora che si trattava di un demone e lo lapidarono sino a formare sopra di lui un grande cumulo di pietre. Dopo qualche momento Apollonio ordinò loro di rimuovere le pietre e di rendersi conto di quale animale selvaggio avevano ucciso. Quando dunque ebbero riportato alla luce colui che pensavano di aver lapidato, trovarono che era scomparso, e che al suo posto c’era un cane simile nell’aspetto a un molosso, ma delle dimensioni di un enorme leone. Esso stava lì sotto i loro occhi, spappolato dalle loro pietre, e vomitando schiuma come fanno i cani rabbiosi. A causa di questo la statua del dio protettore, Eracle, venne posta proprio nel punto dove il demone era stato ammazzato”.

Girard evidenzia in questa vicenda tutti gli elementi del meccanismo vittimario: c’è una crisi in atto e un leader alla ricerca di una valvola di sfogo alla tensione che serpeggia in città. Nel corso di una cerimonia la vittima, un mendicante straniero viene individuata e uccisa, dopo di che ciò resta in risalto è l’incompleto transfert di divinizzazione: né al mendicante, né all’animale che ha preso il suo posto viene riconosciuto alcun potere divino, per cui è la statua di Eracle che viene posta sul luogo della lapidazione.

Se la lapidazione di Efeso è il paradigma del capro espiatorio incompleto, cioè l’omicidio che riscatta la pace sociale ma non viene in cambio sacralizzato (come i roghi delle streghe, i pogrom degli ebrei e i tanti fenomeni contemporanei spiegabili dal meccanismo vitimario), il circuito completo è quello che sfocia nel mito e nella religione da Dioniso al Cristo.

Oggi i gruppi che chiedono la soppressione o l’allontanamento delle minoranze, sulla base della convinzione che complottino contro chi li ospita sono eredi della credenza nei poteri soprannaturali del capro espiatorio.

 

4. Transfert di aggressività e transfert di divinizzazione

Girard afferma che il denominatore comune dei miti consiste in due transfert: il primo, detto anche transfert di aggressività, consiste nella lapidazione o nell’espulsione della vittima dalla quale deriva un beneficio concreto per l’intera comunità che è la ricomposizione della crisi e la successiva pace (anche se temporanea), mentre il secondo, detto transfert di divinizzazione, pone fine al processo e consiste nella venerazione della vittima immolata da parte della comunità riappacificata, una venerazione giustificata dal potere conciliatorio del capro espiatorio.

“Le divinizzazioni mitiche si spiegano perfettamente per opera del ciclo mimetico, e si basano sulla capacità che hanno le vittime di polarizzare la violenza. (…) Se il transfert che demonizza la vittima è potentissimo, la riconciliazione che ne consegue è così improvvisa e perfetta da apparire miracolosa e da suscitare un secondo transfert che si sovrappone al primo, il transfert di divinizzazione della vittima”[1].

Le tregue conseguite con il meccanismo vittimario sono temporanee, di breve durata, per questo il ricorso al capro espiatorio è frequente e dà vita a una serie di violenze ininterrotte. Secondo Girard è a causa di questa terribile insufficienza del sangue che si rende necessario l’intervento esterno di qualcuno che sia capace di svelare il processo vittimario rendendo i membri dei gruppi consapevoli del male commesso e della sua inutilità.

Poiché per svelare il contagio mimetico occorre esserne immuni, l’individuo che si incarica di far luce sul meccanismo vittimario deve essere un estraneo o un membro del gruppo che sia capace di tirarsene fuori.

Questo soggetto è, per Girard, il Cristo,

 

4.2 Il cristianesimo e il capro espiatorio

Girard offre una lettura importante del Cristianesimo, indicandolo come il punto di svolta culturale che porta una nuova visione del sacrificio perché svela l’innocenza della vittima. Le società primitive sono strutturate in modo tale che non si possa dubitare della colpevolezza e della divinità della vittima.

Nell’ebraismo e nel cristianesimo questa credenza sparisce perché la vittima è presentata come innocente: è questa la vera rottura tra l’universo mitico e quello ebraico-cristiano, la rivelazione del sistema del capro espiatorio e dunque ci mostrano sempre una vittima contro la quale tutta la comunità si è riunita, ma che è una vittima innocente. Di conseguenza, il cristianesimo ci insegna a mettere in dubbio non solo la consapevolezza del Cristo, ma di tutte le vittime analoghe al Cristo.

Lo studioso identifica l’età pre cristiana (quella dei miti) con il Regno di Satana: Satana è il portatore di violenza per eccellenza, è il padre dei miti e della menzogna, è il fondatore del meccanismo vittimario in quanto lo sostiene e ne è il fondamento. Cristo si rivolge così alle genti parlando di Satana: “

Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv.8, 43-44).

Non bisogna però intendere Satana dal punto di vista religioso, ma da quello meramente antropologico: egli è il portatore di scandali per eccellenza dove per scandalo s’intende il meccanismo vittimario e le sue inevitabili conseguenze tragiche.

Satana è, prendendo alla lettera i testi evangelici, il Re delle Tenebre: secondo Girard le tenebre non sono altro che una metafora per indicare la condizione di accecamento della folla in preda a frenesia mimetica che non sa quello che fa. Ecco perché Cristo in punto di morte chiede perdono per i suoi aguzzini che non sanno quello che fanno: sono ancora incapaci di comprendere il male che vanno a commettere e che le folle hanno commesso in secoli di storia caratterizzata dai miti e dal processo vittimario.

-Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno- (Luca, 23, 34).

Come per le altre frasi di Gesù, dobbiamo guardarci dallo svuotare queste parole dal loro senso fondamentale riducendole a una formula retorica, a un’iperbole lirica. Ancora una volta bisogna prendere Gesù alla lettera. Egli descrive l’incapacità, da parte della folla scatenata, di vedere la frenesia mimetica che la scatena. I persecutori credono di «far bene» e sono convinti di operare per la verità e la giustizia, credono di salvare in tal modo la loro comunità”[5].

 

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