Posts tagged ‘pena di morte’

9 Novembre, 2023

Réné Girard, Il capro espiatorio

by gabriella

Réné Girard (1925 – 2015)

L’analisi girardiana del meccanismo vittimario parte dall’osservazione del mimetismo umano che spinge gli individui ad agire perché vedono farlo ad un modello.

Al centro del mimetismo c’è il desiderio che è appunto il volere qualcosa perché la vuole l’altro.

Il concetto di desiderio è totalmente diverso da quello di appetito: si vuole qualcosa perché la vuole anche l’altro, è il principio mimetico che muove l’individuo nella sua socialità [ne Le bouch émissaire (1982), trad. it. Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987].

Indice

1. Desidero e mimetismo
2. Il meccanismo vittimario
3. La scelta della vittima
4. Il capro espiatorio nel mito e nella religione

4.1 Trasfert di aggressività e trasfert di divinizzazione
4.2 Il cristianesimo e il capro espiatorio

1. Desiderio e mimetismo

Jan Massys, David e Betsabea, 1562

Il punto di partenza della spiegazione che Girard offre del meccanismo del capro espiatorio è la dinamica umana del desiderio. L’animale, infatti, agisce secondo appetiti dettati dall’istinto, l’uomo invece osserva e, successivamente, imita.

Nasce così un rapporto triangolare nel quale qualcuno desidera qualcosa perché qualcun altro la possiede. Ciò comporta che le cose che vogliamo avere non le desideriamo per se stesse, ma perché sono possedute dal modello a cui ci omologhiamo.

Se finiamo col desiderare tutti le stesse cose diventiamo, però, rivali e antagonisti. La rivalità mimetica è, dunque, il conflitto antropologico essenziale di cui dà conto anche l’ultimo comandamento che prescrive di non desiderare la donna e i beni del proprio vicino.

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23 Agosto, 2017

23 agosto 1927, l’esecuzione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

by gabriella

Novant’anni fa la condanna a morte dei due anarchici italiani, operai immigrati aderenti al sindacato americano IWW. La loro storia raccontata da Marcello Flores su Wikiradio.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano due anarchici italiani. Accusati di rapina a mano armata e omicidio, morirono innocenti sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, dopo sei anni trascorsi nel braccio della morte.

Nel 1977 il governatore dello Stato del Massachusetts riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la loro memoria, ma la confessione del responsabile dell’omicidio di cui erano accusati (1925) e la persecuzione giudiziaria subita a causa della loro adesione all’IWW (Industrial  Workers of the World) fa sì che la loro condanna sia ricordata come un omicidio politico piuttosto che come un errore giudiziario.

Il coraggio con cui lottarono contro l’ingiustizia nella loro condizione di operai immigrati e con cui affrontarono la morte, ne fece un simbolo della lotta contro l’oppressione.

“Here’s to you Nicola and Bart
rest forever here in our heart
the last and final moment is yours
that agony is your triumph!”

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4 Febbraio, 2017

George Orwell, Un impiccato

by gabriella

George-Orwell

George Orwell (1903 – 1950)

Appena ventenne, Eric Arthur Blair (noto con lo pseudonimo di George Orwell) lasciò gli studi per tornare in India, dov’era nato, ed arruolarsi nella polizia imperiale di stanza in Birmania.

L’esperienza, traumatica, gli rivelò l’arroganza imperialista e la funzione repressiva della polizia. Si dimise, sostenendo in seguito di aver capito che dal quel momento il suo posto sarebbe stato «davanti ad una baionetta, mai più dietro».

L’Impiccato è incluso nella raccolta George Orwell, Nel ventre della balena e altri saggi, Milano, RCS, 2010, pp. 257-261.

Il peggior criminale che abbia mai camminato su questa terra
è moralmente superiore al giudice che lo condanna alla forca.

George Orwell

Accadde in Birmania, un fradicio mattino durante la stagione delle piogge. Una luce malaticcia, come stagnola giallastra, da sopra l’alto muro pioveva di sbieco nel cortile della prigione. Eravamo in attesa davanti alle celle dei condannati a morte: una fila di cubicoli, chiusi da doppie inferriate, come piccole gabbie per animali. Ogni cella era poco più di tre metri per tre e non conteneva che un tavolaccio e una brocca d’acqua da bere. Alcune erano occupate da silenziosi uomini dalla pelle scura, accovacciati presso l’inferriata interna, con una coperta drappeggiata intorno al corpo. Erano i condannati a morte, che sarebbero stati impiccati quella settimana o la settimana successiva.

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1 Gennaio, 2014

Alessandro De Giorgi, La paura neoliberista. Il governo penale della miseria

by gabriella

carcere

Questo ottimo articolo di Alessandro De Giorgi uscito su Alfabeta2, [n. 30, giugno 2013] fa luce sui meccanismi simbolici e sociologici della cosiddetta governamentalità neoliberale della paura, una razionalità di governo incentrata sulla guerra al nemico pubblico individuato nel marginale e sulla criminalizzazione di massa delle popolazioni urbane segregate, rese economicamente superflue dalla ristrutturazione capitalistica postindustriale.

Il 14 ottobre 1982 Ronald Reagan teneva un importante discorso in cui illustrava la svolta punitiva alla base della nuova politica criminale della sua amministrazione:

«La crescita di una classe criminale senza scrupoli è stata in parte il risultato di una filosofia sociale sbagliata, che in modo utopico considera l’uomo come prodotto del suo ambiente, mentre la trasgressione è vista sempre come conseguenza di condizioni socio-economiche svantaggiate. Questa filosofia predica che dove si verifica un crimine è responsabile la società, non l’individuo. Ma il popolo americano sta finalmente riaffermando alcune verità indiscutibili: il bene e il male esistono, gli individui sono responsabili delle proprie azioni, il male è spesso frutto di una scelta, e la pena deve essere certa e immediata per chi si fa strada a danno degli innocenti».

A trent’anni da quella dichiarazione di guerra alla criminalità la popolazione carceraria degli Usa ha raggiunto la quota di 2,4 milioni di individui confinati in oltre 5000 istituti penali, per un tasso di incarcerazione di 756 soggetti per 100.000abitanti. Nel complesso 7,2 milioni di persone sono sottoposte a controllo penale: il 2,4% della popolazione. Sebbene trascurata dai media e dal dibattito politico, la situazione carceraria statunitense rappresenta una vera e propria emergenza sociale, risultato di quarant’anni di simbiosi tra liberismo economico e governo punitivo della povertà.

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1 Novembre, 2013

Albert Camus, Réflexions sur la guillotine (1957)

by gabriella

Camus, guillotine[121] Peu avant la guerre de 1914, un assassin dont le crime était particulièrement révoltant (il avait massacré une famille de fermiers avec leurs enfants) fut condamné à mort en Alger. Il s’agissait d’un ouvrier agricole qui avait tué dans une sorte de délire du sang, mais avait aggravé son cas en volant ses victimes. L’affaire eut un grand retentissement. On estima généralement que la décapitation était une peine trop douce pour un pareil monstre. Telle fut, m’a-t-on dit, l’opinion de mon père que le meurtre des enfants, en particulier, avait indigné. L’une des rares choses que je sache de lui, en tout cas, est qu’il voulut assister à l’exécution, pour la première fois de sa vie. Il se leva dans la nuit pour se rendre sur les lieux du supplice, à l’autre bout de la ville, au milieu d’un grand concours de peuple. Ce qu’il vit, ce matin-là, il n’en dit rien à personne. Ma mère raconte seulement qu’il rentra en coup de vent, le visage bouleversé, refusa de parler, s’étendit un moment sur le lit et se mit tout d’un coup à vomir. Il venait de découvrir la réalité qui se cachait sous les grandes formules dont on la masquait. Au lieu de penser aux enfants massacrés, il ne pouvait plus penser qu’à ce corps pantelant qu’on venait de jeter sur une planche pour lui couper le cou.

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1 Novembre, 2013

Contro la pena di morte

by gabriella

In Iran, dove il principio della sanzione retributiva è sancito dalla sharia, i genitori di un ragazzo hanno salvato dalla forca l’assassino del loro figlio. Il macabro rituale iraniano prevede infatti che siano i parenti della vittima a stringere il cappio intorno al collo del colpevole e a dare il calcio alla sedia che lo sostiene. Sette anni fa Balal, vent’anni, aveva ucciso a coltellate Abdallah, ora sconterà una pena detentiva in carcere [tratto da un servizio di Repubblica].

Questo episodio mi ha fatto tornare in mente le parole di un padre di cui ho scordato il nome che, interrogato sulla pena che avrebbe voluto infliggere agli assassini di sua figlia, rispose di ritenere giusto che fosse lo stato a decidere, proprio perché in grado di trattenergli la mano e mettere la giustizia al posto della sua vendetta. Questi genitori iraniani hanno saputo oltrepassare persino il senso di giustizia e la sensibilità di quel padre.

Tutto è pronto per l'esecuzione

Tutto è pronto per l’esecuzione

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1 Novembre, 2013

Rudolf Hoess, Lettera al figlio. Ultime lettere da Stalingrado

by gabriella

Pochi giorni prima della sua esecuzione, Rudolf Hoess, comandante ad Auschwitz, assassino a mani nude, oltre che ideatore dello sterminio dei prigionieri con lo Zyklon B, scrisse un’ultima lettera ai figli, con la quale cercò il senso di una vita in camicia bruna. Queste le parole rivolte al maggiore:

Rudolf Hoess (1900 - 1947)

Rudolf Hoess (1900 – 1947)

« Mio caro Klaus! Tu sei il più grande. Stai per affacciarti sul mondo. Ora devi trovare la tua strada nella vita. Hai delle buone capacità. Usale! Conserva il tuo buon cuore. Diventa una persona che si lascia guidare soprattutto dal calore e dall’umanità. Impara a pensare e giudicare responsabilmente da solo. Non accettare tutto acriticamente e come assolutamente vero, impara dalla vita. Il più grave errore della mia vita è stato credere fedelmente a tutto ciò che venisse dall’alto senza osare d’avere il minimo dubbio circa la verità che mi veniva presentata. Cammina attraverso la vita con gli occhi aperti. Non diventare unilaterale: esamina i pro ed i contro in ogni argomento. In ogni tua impresa non lasciare parlare solo la tua mente, ma ascolta soprattutto la voce del tuo cuore ».

 

L’intero testo nella versione tradotta in inglese [da Lest We Forget]

« You, my dear, good children!

Your daddy has to leave you now. For you, poor ones, there remains only your dear, good Mommy. May she remain with you for a long time yet. You do not understand yet what your good Mommy really means to you, and what a precious possession she is to you. The love and care of a mother is the most beautiful and valuable thing that exists on this earth. I realized this a long time ago, only when it was too late; and I have regretted it all my life.

To you, my dear children, I address therefore my last (beseeching) request: Never forget your dear good mother! She has constantly taken care of you with such sacrificing love. How much of the good things in life has she sacrificed for your sake. How she feared for you when you were ill and how painfully and untiringly did she nurse all of you. Only for your sake must she suffer now all of the bitter misery and poverty.

Don’t ever forget this throughout your whole life. Help her now to carry her painful fate. Be loving and good to her. Help her as well as you can with your limited strength. In this manner pay her part of the thanks for the love and care she gave you during the days and nights.

Klaus, my dear boy! You are the oldest. You are now going out into the world. You have to now make your own way through life. You have good aptitudes. Use them! Keep your good heart. Become a person who lets himself be guided primarily by warmth and humanity. Learn to think and to judge for yourself, responsibly. Don’t accept everything without criticism and as absolutely true. Learn from life.

The biggest mistake of my life was that I believed everything faithfully which came from the top, and I didn’t dare to have the least bit of doubt about the truth of that which was presented to me. Walk through life with your eyes open. Don’t become one-sided; examine the pros and cons in all matters. In all your undertakings, don’t just let your mind speak, but listen above all to the voice in your heart.

Much, my dear boy, will not be understood by you as yet. But always remember my last advice. I wish you, my dear Klaus, all the luck in your life. Become a competent, straightforward person who has his heart in the right place.

Kindi and Püppi, you my big girls!

You are yet too young to learn the extent of the hard fate dished out to us. But you especially, my dear good girls, are specially obligated to stand at your poor unfortunate mother’s side and with love assist her in every way you can. Surround her with all your childlike love from your heart and show her how much you love her …

As fundamentally different as you two are in your character, you both … have, however, soft and feeling hearts. Retain these throughout your later life. This is the most important thing. Only later will you understand that and will you remember my last words.

My Burling, you dear little guy!

Hang on to your happy child disposition. The cruel life will tear you, my dear boy, soon enough away from your child’s world. I was happy to hear from your dear mother that you are progressing so well in school. Your dear father is unable to tell you anything more. You poor little guy have now only your dear good Mommy left who will care for you. Listen to her with love and kindness and so remain ‘Daddy’s dear Burling

My dear Annemäusl

How little was I permitted to experience your dear little personality. Your dear good Mommy will have to take you, my dear Mäusl, for us into her arms and tell you of your daddy, and how very much he loved you. May you be for a long time Mommy’s little ray of sun and continue to give her much joy. May you, with your sunny ways, help your poor dear Mommy through all the dreary hours.

Once more from my heart I ask you all, my dear good children, take to heart my last words. Think of them again and again.

Keep in loving memory, Your Dad ».

 

Ultime lettere da Stalingrado [Einaudi, 1981]

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1 Novembre, 2013

Victor Hugo, Le dernier jour d’un condamné (Ultimo giorno di un condannato)

by gabriella
Victor Hugo (1802 - 1885)

Victor Hugo (1802 – 1885)

Scritto nel 1829, il romanzo narra in prima persona gli ultimi giorni di vita di un prigioniero del carcere di Bicêtre, destinato al patibolo. Qui la versione francese [traduzione in corso].

– Un salon. –
UN POËTE ÉLÉGIAQUE, lisant.
Le lendemain, des pas traversaient la forêt,
Un chien le long du fleuve en aboyant errait ;
Et quand la bachelette en larmes
Revint s’asseoir, le coeur rempli d’alarmes,
Sur la tant vieille tour de l’antique châtel,
Elle entendit les flots gémir, la triste Isaure,
Mais plus n’entendit la mandore
Du gentil ménestrel !

TOUT L’AUDITOIRE. – Bravo ! charmant ! ravissant ! On bat des mains.
MADAME DE BLINVAL. – Il y a dans cette fin un mystèr indéfinissable qui tire les larmes des yeux.
LE POËTE ÉLÉGIAQUE, modestement. – La catastrophe est voilée.
LE CHEVALIER, hochant la tête. – Mandore, ménestrel, c’est du romantique, ça !
LE POËTE ÉLÉGIAQUE. – Oui, monsieur, mais du romantique raisonnable, du vrai roman

– Un salone –
UN POETA ELEGIACO CHE LEGGE.
L’indomani dei passi attraversarono la foresta,
Un cane lungo il fiume errava abbaiando;
E quando la bachelette in lacrime
Tornò a sedersi, il cuore si riempì d’allarme,
Sulla vecchissima torre dell’antico castello,
Ella udì i flutti gemere, la triste Isaura,
Mai più udì la mandore
Del gentile menestrello!

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1 Novembre, 2013

Robert Badinter, La peine de mort

by gabriella

badinterIl discorso di Robert Badinter contro la pena di morte all’ Assemblée nationale, 1ère séance du jeudi 17 septembre 1981.

Pour les partisans de la peine de mort, dont les abolitionnistes et moi-même avons toujours respecté le choix en notant à regret que la réciproque n’a pas toujours été vraie, la haine répondant souvent à ce qui n’était que l’expression d’une conviction profonde, celle que je respecterai toujours chez les hommes de liberté, pour les partisans de la peine de mort, disais-je,la mort du coupable est une exigence de justice. Pour eux, il est en effet des crimes trop atroces pour que leurs auteurs puissent les expier autrement qu’au prix de leur vie.
La mort et la souffrance des victimes, ce terrible malheur, exigeraient comme contrepartie nécessaire, impérative, une autre mort et une autre souffrance. A défaut, déclarait un ministre de la justice récent, l’angoisse et la passion suscitées dans la société par le crime ne seraient pas apaisées. Cela s’appelle, je crois, un sacrifice expiatoire. Et justice, pour les partisans de la peine de mort, ne serait pas faite si à la mort de la victime ne répondait pas, en écho, la mort du coupable.
Soyons clairs. Cela signifie simplement que la loi du talion demeurerait, à travers les millénaires, la loi nécessaire, unique de la justice humaine. Du malheur et de la souffrance des victimes, j’ai, beaucoup plus que ceux qui s’en réclament, souvent mesuré dans ma vie l’étendue. Que le crime soit le point de rencontre, le lieu géométrique du malheur humain, je le sais mieux que personne. Malheur de la victime elle-même et, au-delà, malheur de ses parents et de ses proches. Malheur aussi des parents du criminel. Malheur enfin, bien souvent, de l’assassin. Oui, le crime est malheur, et il n’y a pas un homme, pas une femme de cœur, de raison, de responsabilité, qui ne souhaite d’abord le combattre.
Mais ressentir, au profond de soi-même, le malheur et la douleur des victimes, mais lutter de toutes les manières pour que la violence et le crime reculent dans notre société, cette sensibilité et ce combat ne sauraient impliquer la nécessaire mise à mort du coupable. Que les parents et les proches de la victime souhaitent cette mort, par réaction naturelle de l’être humain blessé, je le comprends, je le conçois. Mais c’est une réaction humaine, naturelle. Or tout le progrès historique de la justice a été de dépasser la vengeance privée. Et comment la dépasser, sinon d’abord en refusant la loi du talion ?

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27 Marzo, 2013

Riccardo Antoniucci, Intervista a Marc Crépon su Jacques Derrida

by gabriella

JacquesDerridaDal Rasoio di Occam, l’intervista di Riccardo Antoniucci a Marc Crépon, direttore dell’École Normale Supérieure, a margine del convegno sul pensiero politico di Jacques Derrida, tenutosi ad Atene dal 24 al 26 gennaio 2013.

Professor Crépon, la prima domanda che vorrei porle, e che, trattandosi di una questione sul senso, non è aliena da una certa “bêtise”, riguarda proprio i due aggettivi con cui si è voluto qualificare il pensiero di Derrida durante questo convegno: “politico” ed “etico”. Possiamo tentare di chiarire meglio il nesso esistente tra il pensiero di Derrida e i campi descritti dai due termini. “Pensiero politico” e “pensiero della politica” non sono la stessa cosa, ovviamente. Eppure, di solito, un pensiero non è detto “politico” se non è anche riconosciuto, parallelamente, come “pensiero della politica”, o del politico. Cioè come pensiero delle condizioni e delle tecniche proprie all’azione politica in un contesto storico determinato. Per cui spesso la “filosofia politica” si riduce a una serie di riflessioni su problemi che sono posti dall’attualità della pratica di governo o dell’amministrazione della società. Tuttavia, questo parallelismo non sembra operativo nel pensiero di Derrida: la sua riflessione, senza essere stata “condizionata” da temi provenienti dal dibattito politico, li ha piuttosto “rilanciati”, riverberati, in un’altra forma; addirittura, in alcuni casi, li trasformati, passandoli al filtro del suo singolare approccio filosofico. Per esempio, ha rilanciato il problema della democrazia attraverso il concetto di ospitalità. Insomma, il pensiero di Derrida si presenta come un caso singolare di pensiero. che non è un pen siero della politica. La sua battaglia, dunque, si muove piuttosto nell’elemento della filosofia politica oppure della “politica della filosofia”, che non si interessa delle pratiche concrete di governo?

Marc Crépon – È vero che nell’opera di Derrida non si trova una riflessione sviluppata intorno alle forme di governo. Eppure, la possibilità di qualificare il suo pensiero come “politico” è innegabile, a dispetto di tutte le riserve che impone l’idea stessa di “qualificazione” in generale. Ed è innegabile almeno per due ragioni. La prima è che, se è vero che, a partire dai tre grandi libri del 1967 (1), uno dei fili conduttori del suo pensiero è stata la decostruzione del soggetto sovrano, era allora inevitabile che Derrida incrociasse la questione della sovranità in sé, nella sua accezione politica.

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