Posts tagged ‘comunità’

24 Settembre, 2017

Silvano Cacciari, Gilles Deleuze e l’immagine politica

by gabriella

Silvano

In questo saggio del 1996 – all’epoca l’abstract della sua tesi di DEA – Silvano proponeva un’archeologia dell’immagine politica dedicata ai meccanismi del nuovo regime di governamentalità che Deleuze chiamò «società di controllo». Il nostro illustrava l’ingegneria sociale che l’immagine in movimento è in grado di produrre, con l’obiettivo di aprire il varco a una nuova analisi della sfera pubblica, capace di svelare la formula della magia nera evocata dal capitalismo contemporaneo tra economia e politica, informazione e immagine seduttiva.

Quando la filosofia dipinge il suo grigiore nel grigiore una manifestazione della vita finisce il suo corso. E si tratta di una manifestazione che non si può ringiovanire ma solo conoscere.

Jean Luc Godard, Allemagne Neuf Zero, 1991

Punto uno. A ciascuno la sua magia nera
Punto due. Lo choc comunitaristico dell’immagine
Punto tre. Le società di controllo
Punto quattro. Immagine-movimento e immagine-tempo

 

Punto uno. A ciascuno la sua magia nera

Karl Kraus

Karl Kraus (1874 – 1936)

Benjamin

Walter Benjamin (1892 – 1940)

Walter Benjamin definì Karl Kraus «Angelus, messaggero di antiche incisioni» (1), all’interno di una serie di scritti (2), nei quali Kraus, definitivamente separato dalle mode del Ring viennese, appariva sia come il fulmine critico che inceneriva all’istante i bastioni della società dell’informazione sia come colui che apriva un varco per far passare un’antica forma di riscatto.

Ora, quest’antica forma di riscatto, che in Angelus Novus si serve dell’apporto discreto della metafisica «che è brutta e piccina e non vuol essere vista da nessuno»(3), ha dovuto seguire proprio il destino della metafisica: ridursi alla discrezione, mettersi al nascosto servizio di qualcuno e seguire un tacito patto di non nominarsi e di non far nominare il proprio nome.

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13 Febbraio, 2017

Società

by gabriella

SLa società è, al tempo stesso, una somma di individui associati (o “socializzati”), e una somma di relazioni a causa delle quali gli individui diventano società.

Georg Simmel, Sociologia, 1908

La società è un’entità costituita da elementi materiali e immateriali, formata da un insieme di persone in rapporto tra loro, con un proprio sistema di vita, che tende a riprodursi e ad essere autonoma.

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23 Agosto, 2016

Natacha Polony, Sull’abuso del concetto di comunità

by gabriella
comunità

La comunità ha sempre un pastore

L’osservazione di una cronista dell’avanzata del comunitarismo nella narrazione giornalistica, strumento di influenza e condizionamento orientato alla dissoluzione dell’universalismo liberale.

L’articolo prende spunto dallo scontro in Corsica tra cittadini di diversa religione sul velo in spiaggia, ma avrebbe potuto essere scritto in occasione della liberazione di ostaggi, dei funerali di una vittima della strada o in qualunque altro contesto: la crisi dell’universalismo dei diritti precede infatti quella dell’integrazione e dell’integrazione etnico-religiosa in Europa, per connettersi alla crisi di paradigma della modernità indotta dalla globalizzazione.

Nel contesto di incertezza indotto da questo processo, alla rottura del legame sociale risponde infatti la forma regressiva del comunitarismo e la sua isteria del legame e dell’appartenenza. Per approfondire il dibattito filosofico su questi temi, vedi il commento di Enrico Berti all’ormai classico del comunitarismo americano After virtue di Alasdair MacIntyre. L’articolo di Polony è stato pubblicato da Repubblica, con il titolo Il velo sulle parole, il 22 agosto 2016.

Il velo si è posato sulle nostre parole assai prima di comparire sulle nostre spiagge. L’alterco che da una caletta della Corsica si è riversato nei vortici di un’estate burrascosa è più interessante se si analizzano i termini usati per riferirlo. In grande maggioranza i commentatori, riportando testualmente una nota dell’Agenzia France Presse, hanno parlato inizialmente di

«tensioni in Corsica dopo una rissa tra le comunità corsa e magrebina».

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4 Agosto, 2015

La logica del risentimento e della vittimizzazione

by gabriella
Sacrificio

Sacrificio

La costruzione della vittima come strumento di rinsaldamento sociale presso la Grecia arcaica e le tribu dei Dinka e dei Nuer. Alcune pagine di René Girard sulla logica dei sacrifici umani – che spiegano dal cannibalismo ai roghi, al risentimento verso lo straniero – commentate da Roberto Escobar, in  Metamorfosi della paura, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 200-203.

La storia ci mostra in ogni epoca l’uomo consapevole di questa terribile verità:
egli vive sotto la mano di una potenza sdegnata, e questa potenza può essere appagata solo con sacrifici.

Joseph de Maistre, Chiarimento sui sacrifici

La polis previdente, ricorda Girard,

manteneva a sue spese un certo numero di infelici […]. In caso di bisogno, quando cioè una calamità si abbatteva o minacciava di abbattersi sulla città, epidemia, carestia, invasione straniera, dissensi interni, c’era sempre un pharmakós a disposizione della collettività [R. Girard, La violenza e il sacro].

Poi, al tempo del rito, lo si immetteva nello spazio sociale e simbolico della città. Come quella tale spugna, come quel tale straccio, lo si “usava” per raccogliere lo sporco, assorbire il miasma. L’infelice, dunque, veniva portato in giro per la città,

allo scopo di drenare le impurità e accumularle sul suo capo; dopo di che veniva cacciato o ucciso in una cerimonia alla quale prendeva parte tutta la marmaglia [ivi].

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31 Luglio, 2015

Jacques Godbout, Il dono, il debito, l’identità

by gabriella
Jacques Godbout

Jacques Godbout

L’ambiguo rapporto tra le relazioni di dono e le relazioni utilitarie (stato e mercato) nell’introduzione [traduzione mia con originale sottostante] di Jacques Godbut, teorico canadese del Mouvement anti utilitariste dans les sciences sociales e tra i massimi studiosi del dono, a Le don, la dette et l’identité [2000], liberamente scaricabile qui.

Si tratta di un’ottima introduzione alla specificità delle problematiche comunitarie, anche se risente dell’assenza di riflessione sui quindici anni di trasformazioni sociali trascorsi dalla sua pubblicazione.

La questione del libro è abbastanza semplice da formulare. Perché, anche nella nostra società, così tante cose che ancora circolano attraverso il dono? Perché ci sentiamo ancora il bisogno di complicarci la vita con i doni, con i rituali e le incertezze che accompagnano il dono, mentre la nostra società ha sviluppato meccanismi molto più semplice e molto più efficaci per consentire ai beni e servizi circolare tra i suoi membri secondo le preferenze e le necessità individuali? Mi riferisco ovviamente al mercato, ma anche alla redistribuzione statale. Una percentuale molto elevata di quello che circola è infatti disciplinata da queste due istituzioni fondamentali della modernità. E se si discute molto oggi sull’opportunità di limitare l’intervento dello Stato è più spesso, in questa era di globalizzazione e di trionfo dell’ideologia liberista, per trasferirne la responsabilità al mercato.

GodboutLa question de ce livre est assez simple à formuler. Pourquoi, même dans notre société, tant de choses circulent-elles encore en passant par le don ? Pourquoi ressentons-nous encore le besoin de nous compliquer la vie avec les cadeaux, avec les rituels et les incertitudes qui accompagnent le don, alors que notre société a développé des mécanismes beaucoup plus simples et beaucoup plus efficaces pour permettre aux biens et aux services de circuler entre ses membres selon les besoins ou les préférences de chacun ? Je fais référence bien sûr au marché,mais aussi à la redistribution étatique. Une proportion très importante de ce qui circule est en effet régie par ces deux institutions fondamentales de la modernité. Et si on discute beaucoup aujourd’hui des possibilités de limiter l’intervention de l’État, c’est le plus souvent, à cette époque de mondialisation et de triomphe de l’idéologie libérale, pour en transférer la responsabilité au marché.

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27 Marzo, 2013

Riccardo Antoniucci, Intervista a Marc Crépon su Jacques Derrida

by gabriella

JacquesDerridaDal Rasoio di Occam, l’intervista di Riccardo Antoniucci a Marc Crépon, direttore dell’École Normale Supérieure, a margine del convegno sul pensiero politico di Jacques Derrida, tenutosi ad Atene dal 24 al 26 gennaio 2013.

Professor Crépon, la prima domanda che vorrei porle, e che, trattandosi di una questione sul senso, non è aliena da una certa “bêtise”, riguarda proprio i due aggettivi con cui si è voluto qualificare il pensiero di Derrida durante questo convegno: “politico” ed “etico”. Possiamo tentare di chiarire meglio il nesso esistente tra il pensiero di Derrida e i campi descritti dai due termini. “Pensiero politico” e “pensiero della politica” non sono la stessa cosa, ovviamente. Eppure, di solito, un pensiero non è detto “politico” se non è anche riconosciuto, parallelamente, come “pensiero della politica”, o del politico. Cioè come pensiero delle condizioni e delle tecniche proprie all’azione politica in un contesto storico determinato. Per cui spesso la “filosofia politica” si riduce a una serie di riflessioni su problemi che sono posti dall’attualità della pratica di governo o dell’amministrazione della società. Tuttavia, questo parallelismo non sembra operativo nel pensiero di Derrida: la sua riflessione, senza essere stata “condizionata” da temi provenienti dal dibattito politico, li ha piuttosto “rilanciati”, riverberati, in un’altra forma; addirittura, in alcuni casi, li trasformati, passandoli al filtro del suo singolare approccio filosofico. Per esempio, ha rilanciato il problema della democrazia attraverso il concetto di ospitalità. Insomma, il pensiero di Derrida si presenta come un caso singolare di pensiero. che non è un pen siero della politica. La sua battaglia, dunque, si muove piuttosto nell’elemento della filosofia politica oppure della “politica della filosofia”, che non si interessa delle pratiche concrete di governo?

Marc Crépon – È vero che nell’opera di Derrida non si trova una riflessione sviluppata intorno alle forme di governo. Eppure, la possibilità di qualificare il suo pensiero come “politico” è innegabile, a dispetto di tutte le riserve che impone l’idea stessa di “qualificazione” in generale. Ed è innegabile almeno per due ragioni. La prima è che, se è vero che, a partire dai tre grandi libri del 1967 (1), uno dei fili conduttori del suo pensiero è stata la decostruzione del soggetto sovrano, era allora inevitabile che Derrida incrociasse la questione della sovranità in sé, nella sua accezione politica.

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3 Novembre, 2012

Enrico Berti, L’etica delle virtù e l’educazione del futuro

by gabriella

In questo importante intervento, Berti discute i presupposti particolaristici dell’«etica delle virtù» alla luce del testo aristotelico, prendendo posizione nel dibattito tra comunitarismo e liberalismo, contro il primo, per i Lumi.

Indice

1. Il contributo di McIntyre
2. Comunità e società
3. Tradizione e razionalità
4. Quale futuro per l’educazione?

 

1. Il contributo di MacIntyre

Alasdair MacIntyre è sicuramente uno dei più originali e interessanti filosofi contemporanei. Specialmente col libro Dopo la virtù (1981) [A. MacInyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press, 1981, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1988] egli ha portato un contributo decisivo al dibattito sull’etica nella filosofia del Novecento, prospettando la possibilità di una “terza via” tra contrattualismo e utilitarismo, la quale da lui ha preso il nome di “etica delle virtù”.

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