Archive for ‘Scuola Pubblica’

5 Ottobre, 2012

Ariel Kyrou, Anne Querrien, Anne Sauvagnargues, La grandeur démocratique de l’école

by gabriella

Segnalo questo articolo sul declino della scuola repubblicana (anche in Francia sebbene in forme meno drammatiche di quella italiana) uscito sul numero 48 di Multitude, marzo 2012. Il testo, molto ricco, affronta tutti nodi delle trasformazioni che la società neoliberale impone alla scuola allontanandola dal modello repubblicano, ma anche la reazione degli insegnanti a questo declino. Per non arrendersi alla chiusura degli spazi e alla sparizione delle risorse gli insegnanti salgono sul web e diventano documentalisti per insegnare ai propri studenti a discernere significati nel gran mare di dati. Succede in Francia e succede anche qui.

Les attaques systématiques du gouvernement contre la vieille école républicaine n’affirment pas seulement une défiance, elles confirment une réorientation : les enseignants ne sont pas invités à élargir le champ de leurs centres d’intérêts, ou à redéployer les activités qu’ils mènent avec leurs élèves comme les plus mobilisés d’entre eux le faisaient les décennies passées. Même la dite ouverture à la société civile, se résumant trop souvent à un stage de trois jours en entreprise, semble remise au placard. Non, au pied de l’autel de la rentabilité du temps de présence, les enseignants doivent se mettre au garde à vous, laisser partir les collègues à la retraite, travailler sans rechigner, respecter les changements de programmes qui se succèdent, obéir aux sautes d’humeur du gouvernement, ranger les lectures « difficiles », remplacer un collègue défaillant quelle que soit la matière, faire de l’école une garderie. Obéir + obéir + obéir + obéir + obéir… Bref, reprendre le pli d’une caricature de l’école d’autrefois.

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28 Settembre, 2012

Roberto Ciccarelli, Rapporto OCSE sulla scuola italiana: la bolla formativa è esplosa

by gabriella

Il Rapporto OCSE 2011 sulla scuola italiana fotografa con impietosa chiarezza i risultati delle politiche dell’istruzione degli ultimi vent’anni, dal berlingueriano 3+2 all’inasprimento gelminiano del numero chiuso. Il risultato è stato, non sorprendentemente, l’esclusione da scuola e lavoro per un giovane (19-25enne) su 4.

Penultimi nella classifica Ocse per la spesa pubblica nell’istruzione (il 4,7 per cento del Pil, contro una media del 5,8) OCSE, Education at a glance 2011 (versione italiana). I docenti della scuola (età media 50 anni) che percepiscono un reddito decisamente più basso rispetto ad altri lavoratori con un’istruzione universitaria. Nel dodicesimo rapporto Ocse Education at a glance presentato ieri a Parigi l’Italia si piazza al 24° posto (su 27 paesi) per gli insegnanti della primaria, al 23° per le superiori. La percentuale dei suoi laureati resta tra le più basse dell’area che riunisce i paesi più industrializzati: tra i 25 e i 64 anni sono il 15 per cento, contro una media Ocse del 31 per cento. Tutto questo mentre la disoccupazione aumenta significativamente tra i laureati (5,6 per cento), ma non tra i diplomati.

Nel paese del precariato di massa, e dei redditi sotto della soglia di povertà, l’Ocse conferma che nessuna istituzione, né tanto meno il mercato del lavoro, garantiscono ai laureati una retribuzione dignitosa, né un lavoro adeguato alla loro preparazione. È il ritratto più sincero che raramente è capitato di leggere nelle dichiarazioni dei governi in questa legislatura, per non parlare di quelle precendenti. Quella dell’esplosione della bolla formativa è una storia recente, che si può tradurre in una sola parola: fallimento.

La favola del «3+2»

Fallimento, ad esempio, della riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 che varò il cosiddetto «3+2», tra le mirabolanti promesse della «società della conoscenza» in cui il centro-sinistra prodiano credeva fermamente. «Un’occasione mancata – l’hanno definita i tecnici Ocse – colpa anche della contrazione dei posti nella dirigenza delle pubbliche amministrazioni, che erano in passato lo sbocco privilegiato per i vostri laureati, e del boom di offerta di corsi i cui profili non trovano corrispondenza sul mercato».

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28 Settembre, 2012

Roberto Ciccarelli, Il concorso e la scuola ai “giovani”

by gabriella

Questo articolo di Roberto Ciccarelli illustra il significato politico del concorso per la scuola varato dal governo Monti. Dietro alla vulgata “la scuola ai giovani professori” si cela infatti la concretizzazione della delegalizzazione dei titoli di studio e dellaccountability, la valutazione permanente dogma della governamentalità neoliberale [per approfondimenti cliccare su INVALSI nel tag cloud] e strumento cardine dell’esclusione dal lavoro in una società sempre più per pochi.

Sentirsi “traditi dallo Stato”. La prima volta che ho ascoltato questa espressione è stato durante una manifestazione di insegnanti precari contro il concorso “truffa” della scuola. Centosessantamila persone abilitate, plurititolate e pluriesaminate saranno costrette a sottoporsi ad una lotteria fatta di quiz, prove scritte e orali e ad una lezione di mezz’ora per aspirare a uno degli 11.542 posti messi a disposizione dal ministro Profumo. D’ora in poi le “graduatorie” dove questi docenti sono iscritti da anni non avranno valore ai fini dell’assunzione. Il concorso tornerà ad essere l’unico modo per avere un lavoro dignitoso. Anni di esperienza verranno così bruciati e con essi la fiducia nelle indicazioni impartite dallo Stato a persone che si sono sottoposte ad un lungo, e tortuoso, percorso di qualificazione e autodisciplinamento che si è tradotto nel precariato di massa che tiene ancora in piedi la scuola. In questo contesto, il tradimento è un atto politico irrevocabile compiuto dallo Stato rispetto ad almeno due generazioni di insegnanti.

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13 Settembre, 2012

Alessandro Dal Lago, Scuola. L’inizio e la fine

by gabriella

Quarantacinque anni fa l’università si rivoltò contro un’istruzione ingessata e autoritaria che riservava la «formazione superiore» solo a una quota minoritaria e privilegiata della popolazione. Al di là delle ricostruzioni di comodo e delle incessanti abiure, questo è stato il significato profondo del ’68, almeno per quanto riguarda la scuola. Da Don Milani a Ivan Illich, dalla pedagogia antiautoritaria alla sociologia critica, una pluralità di correnti intellettuali ha contribuito, tra gli anni ’60 e ’70, a un profondo cambiamento degli indirizzi culturali sull’istruzione.

Nel bene e nel male, la società italiana (al pari di gran parte di quelle europee) è figlia di questa rivoluzione. Che cosa resta oggi di tutto ciò? Ben poco, anzi quasi nulla. I dati Ocse riportati ieri da Roberto Ciccarelli su questo giornale fotografano l’esito di un’involuzione iniziata nella seconda metà degli anni Novanta, con la riforma della scuola (autonomia, ecc.) e dell’università («3+2»). Quella che allora era sbandierata (dal governo di centro-sinistra) come una razionalizzazione dell’offerta formativa era in realtà una via di mezzo tra un’illusione e un’utopia conservatrice.

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12 Settembre, 2012

Gramsci, Istruitevi, agitatevi, organizzatevi

by gabriella

Prima di morire in un carcere fascista, Gramsci ha fatto in tempo ad entrare nei libri di filosofia e a diventare il riferimento imprescindibile dei cultural studies britannici.

Aveva un’idea forte della scuola, era convinto che per quella strada passasse obbligatoriamente ogni progetto esistenziale di riscatto e autopromozione. Basta osservare il rapporto tra declino scolastico (ultimi vent’anni) e crescita dell’esclusione – due fenomeni non necessariamente dipendenti l’uno dall’altro, ma infallibilmente insieme – per accorgersi che aveva ragione.

Cover story di Left n. 15/2018

ISTRUITEVI AGITATEVI ORGANIZZATEVI In edicola dal 13 aprileA scuola da Gramsci – L'editoriale di Simona Maggiorelli > https://bit.ly/2EHeAVFScuola, democrazia a rischio – Inchiesta di Carmine Gazzanni > https://bit.ly/2HwDjirSommario > https://bit.ly/2ILWd46

Publiée par Left sur Vendredi 13 avril 2018

1 Settembre, 2012

Junct Rebellion, Le cinque tappe della distruzione dell’Università americana

by gabriella

La distruzione pianificata dell’Università e della scuola superiore americana quale strategia di punta del soft fascism. Un articolo che completa quello scritto da Chris Hedges, Perché gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico.

La storia è sempre più una gara
tra l’educazione e la catastrofe.

Orson Wells

The Homeless Adjunct

Qualche anno fa, Paul E. Lingenfelter (Univ. Michigan)  iniziò la sua relazione sul definanziamento della pubblica istruzione scrivendo:

Nel 1920 H.G. Wells scrisse: ‘La storia è sempre più una gara tra l’educazione e la catastrofe.’ Credo che fosse nel giusto. Niente è più importante per il futuro degli Stati Uniti e del mondo della diffusione e dell’efficacia dell’istruzione, in particolare dell’istruzione superiore. Io dico con particolare attenzione all’istruzione superiore, ma non perché la scuola dell’infanzia, la scuola elementare e quella secondaria siano meno importanti. Il successo ai vari livelli di istruzione dipende, ovviamente, da ciò che è accaduto prima. Ma bene o male, la qualità dell’istruzione post-secondaria e della ricerca influisce sulla qualità e l’efficacia dell’istruzione ad ogni livello.

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27 Luglio, 2012

Giorgio Mascitelli, Le Olimpiadi a scuola. Piero Bevilacqua, A che serve premiare il merito?

by gabriella

Una meravigliosa, semplice e persino breve illustrazione del significato profondo del rafforzamento della nostra meritocrazia scolastica.

E’ molto strano che, da quando ci si occupa di educare fanciulli, non si sia immaginato altro strumento per guidarli che l’emulazione, la gelosia, l’invidia, la vanità, l’avidità, il vile timore, tutte la passioni più dannose, più pronte a fermentare e più adatte a corrompere l’anima anche prima che il corpo si sia formato.

Jean-Jacques Rousseau

Se esaminiamo le politiche scolastiche degli ultimi anni, l’unica «idea pedagogica» rintracciabile, accanto a provvedimenti che hanno a che fare con logiche economiche, è quella di rafforzare lo spirito di competizione degli studenti e di far così trionfare la meritocrazia. La recente idea del ministro Profumo di istituire un premio in ogni istituto per lo studente dell’anno non è certo un fulmine a ciel sereno, ma piuttosto il tentativo di dare una risposta sul piano simbolico, e quindi educativo, a questo tipo di discorso. Da un punto di vista storico non è una novità: tutte le società desiderose di introdurre forme di mobilitazione permanente dei loro cittadini hanno sempre utilizzato la scuola per finalità di questo genere.

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17 Luglio, 2012

Gigi Roggiero, Mistificazioni meritocratiche

by gabriella

La maggiore virtù del suo confuso progetto di “riforma” sarebbe consistita, sosteneva Profumo, nel non apportare ulteriori tagli alla disastrata situazione dell’università italiana. É anche incauto, il pasdaran della meritocrazia. La spending review ha riportato le cose a posto ed ecco, tra imbarazzi e parziali retromarce, un’ennesima sostanziosa sforbiciata a formazione e ricerca. Al malato terminale non viene concessa nemmeno la morfina per alleviare il dolore. L’eutanasia sarebbe decisamente consigliabile, e se non dolce la morte segnerebbe almeno la fine dell’agonia.

Ma la tragedia ha, da tempo, ceduto il passo alla farsa: così, mentre si toglie l’ossigeno, infuria il dibattito tra gli addetti ai lavori sulla valutazione. I problemi dell’università non sono lo smantellamento strutturale, gli oltre 60.000 precari senza prospettive, la dequalificazione dei saperi, l’impasto di potere feudale e tendenze aziendaliste, bensì gli “sprechi” e la “corruzione”. La ricetta è, ovviamente, l’istituzione di “oggettivi” meccanismi di valutazione. Monti e Profumo fanno bella figura, Giavazzi è contento, i baroni stanno tranquilli perché, ancora una volta, l’attenzione è distolta: i mali da combattere sono, infatti, individuali e mai sistemici. Come chiamare tutto questo se non populismo tecnocratico, cifra e sostanza dell’attuale governo?

Tutti noi dobbiamo il nostro benessere sociale ed economico agli sforzi delle innumerevoli generazioni dei nostri antenati. È palesemente disonesto predicare che il reddito rifletta una distribuzione meritocratica, che coloro che diventano ricchi lo fanno grazie al loro merito e impegno. In una certa misura, qualcuno fa meglio di altri col duro lavoro e la vivacità d’ingegno. Ma l’eredità collettiva è qualcosa che nessuno di noi, individualmente, ha donato alla società. È la ricchezza che essa rappresenta a dover essere condivisa.

Guy Standing


Demagogia 
prêt-à-porter

Quale sia la strategia delle politiche universitarie in Italia, se è lecito usare una parola così impegnativa per le mediocrissime figure di destra e di sinistra che si sono succedute al Miur, l’abbiamo da tempo ipotizzato (la stessa riforma Fornero potrebbe essere letta in questa direzione): ricollocare il ruolo del paese nella divisione cognitiva del lavoro, facendone una sub-area con ambizioni ridimensionate e scarso investimento in innovazione e ricerca, in grado di competere sul costo di una forza lavoro dequalificata o pagata come tale, intensificando la produzione specializzata in segmenti particolari della filiera transnazionale e riservandosi alcune nicchie di cosiddetta “eccellenza”. Da questa strategia di dismissione si salveranno solo i “meritevoli”, magari per dare il loro contributo alle punte del made in Italy, dalla Ferrari a Slow Food, oppure per andare a scoprire qualche nuovo bosone nei centri di ricerca anglosassoni o indiani.

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18 Giugno, 2012

Mauro Boarelli, L’inganno della meritocrazia

by gabriella

Finiti gli scrutini, quest’anno gli insegnanti hanno già toccato con mano gli esiti “autoselezionanti” della “riforma”. Curricoli scardinati, anticipazioni scriteriate di contenuti (dovute alla cancellazione del binomio biennio+triennio e alla sua sostituzione con la formula biennio+biennio+monoennio dove ad ogni passaggio si cambia materia e si procede con metodo storico), affollamento delle classi, inesistenza del sostegno, mancanza degli strumenti di lavoro (dalla LIM ai pc, ai proiettori ..) hanno prodotto medie altissime di ragazzi respinti e rinviati a settembre. Che non sia semplicemente un anno sfortunato lo si capisce poi agli esami di stato (di cui oggi si sono insediate le commissioni), dove ci si confronta con colleghi di altre scuole e si trova conferma di questa impennata di insuccessi attesi a cui la scuola guarda impotente o distratta.

Rileggiamoci allora l’articolo di Boarelli sul merito vah, che ci fa bene.

Marco Boarelli, L’inganno della meritocrazia

La meritocrazia è sulla bocca di tutti, a destra come a sinistra. In una società come quella italiana, dove l’assenza di “merito” incancrenisce ogni articolazione della vita sociale e svilisce aspirazioni, competenze, passioni e idee, quale cittadino – indipendentemente dalle idee politiche professate – potrebbe essere pregiudizialmente ostile verso questo termine? Eppure è un termine ambiguo. Muta di senso a seconda di chi lo usa, ma al tempo stesso custodisce un insieme di significati non negoziabili che dovrebbero indurre a maneggiarlo con prudenza. Come ogni parola, anche questa non è neutrale. Va interrogata alla ricerca del senso profondo e delle sue implicazioni.

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16 Giugno, 2012

Sandro Chignola, Il compito della scuola: insegnare a decostruire le forme doxastiche

by gabriella
Il sostegno di Foucault e Sartre agli studenti durante il maggio 68

Il sostegno di Foucault e Sartre agli studenti durante il maggio 68

Sandro Chignola, filosofo veronese, studioso del pensiero di Michel Foucault e curatore di Governare la vita. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de France (1977-1979) (Ombre corte, Verona 2006, pp. 154, 13 euro) ci aiuta a dissipare il rumore mediatico che avvolge in questi giorni la proposta di legge Profumo, attraverso un’analisi serrata del ruolo della scuola pubblica nella società italiana contemporanea e della funzione svolta dall’ideologia del merito nei progetti nei progetti di riorganizzazione dell’ultimo ventennio. Intervista curata da Marco Ambra.

Marco Ambra: Partiamo proprio dai processi di riorganizzazione della scuola in corso dagli anni ’90. Lei li ha descritti nei termini di una ristrutturazione secondo l’ideologia del new public management: la graduale privatizzazione della scuola pubblica, l’implementazione di una tecnologia didattica delle competenze, il coinvolgimento di tutti gli shareholders (genitori, studenti, funzionari pubblici, dirigenti) nella valutazione dell’attività didattica, anche attraverso strumenti di misurazione statistico-quantitativa (come le prove INVALSI). In che modo questi punti-guida dell’azione riorganizzatrice della scuola pubblica creano uno spazio nel quale può inserirsi quello che Foucault, nella Nascita della biopolitica, rileva come uno dei dispositivi più efficaci del neoliberismo: l’idea di un individuo imprenditore di sé, ontologicamente primo rispetto alla società nella quale agisce? In che senso questa riorganizzazione è sostenuta da un’episteme pedagogica espressione della didattica delle competenze?

Sandro Chignola:
Il fatto che io mi riferisca a Sicurezza, territorio e popolazione e alla Nascita della biopolitica per decostruire gli interventi di riforma che si sono abbattuti sulla scuola pubblica a partire dagli anni ’90 è qualcosa che in qualche modo Foucault stesso auspicava quando ribadisce, nelle interviste, di pensare alla propria opera come ad una cassetta degli attrezzi. L’opera foucaultiana non è una disciplina o un pensiero chiuso nella propria coerenza, quanto piuttosto una «freccia scagliata al cuore del presente» (Habermas), un repertorio di argomenti, mosse, analisi che potevano e possono essere proseguite. C’è una serie di conferenze di Foucault attorno alla metà degli anni ’70 in cui dice di avere pensato a tutti i suoi libri come a gallerie di miniere che dovevano crollare, come fuochi d’artificio o addirittura molotov: qualcosa che si consuma nel momento in cui l’analisi produce il proprio effetto. Ora, i due corsi che ho citato all’inizio sono straordinari per le cose che metti a tema nella domanda. Soprattutto per quello che la Nascita della biopolitica dice rispetto alla relazione tra governamentalità e neoliberismo.

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