Malinconia: genio e follia in Occidente (5)

by gabriella

V. I Lumi e le loro ombre. Il XVIII° secolo.

“Malinconia. E’ il sentimento abituale della nostra imperfezione. […] è il più delle volte l’effetto della debolezza dell’anima e degli organi: essa lo è anche delle idee di una certa perfezione, che non si trova né in noi, né negli altri, né negli oggetti dei suoi piaceri, né nella natura […]”.

Diderot, L’Enciclopédie

Nel XVIII° secolo, si vede fondare sulla ragione un nuovo ordine sociale. Anche la malinconia, percepita come una forma pericolosa di sragione è rigettata. Pubblicata nel 1799 nella raccolta Capricci, l’incisione di Goya Il sonno della ragione genera mostri dà la misura di ciò che sarà l’apprezzamento della malinconia nell’età dei Lumi: questi mostri (cioè, secondo l’etimologia della parola, ciò che si mostra, ciò che si indica col dito) corrispondono precisamente a ciò che ci si sforzerà di nascondere.

La malattia malinconica che ha ormai una nosologia, è anche relegata negli ospizi e nei manicomi il cui scopo consiste se non nel curare, almeno nel ritirare dalla società i malati colpiti da questa singolare affezione.

Quanto alla malinconia sentimentale, la “dolce malinconia”, questa debolezza  fisica e intellettuale descritta da Diderot trova rifugio nella natura o nelle rovine la cui solitudine permette al soggetto di fuggire il mondo che lo circonda, un mondo in cui si sente sempre più straniero.

Lo spleen

“Lei non sa cos’è lo splin o i vapori inglesi? Non lo sapevo nemmeno io. Lo domandai al nostro scozzese (padre Hoop) durante la nostra ultima passeggiata ed ecco cosa mi ha risposto: “Da vent’anni sento un malessere generale, più o meno fastidioso. Non ho mai la testa sgombra. Qualche volta essa è così pesante che è come se avessi un peso che mi tira davanti e che mi trascinerebbe da una finestra sulla via, o al fondo di un fiume si fossi sulla riva. Ho idee nere, tristezza, noia. Mi trovo male dappertutto. Non desidero niente. Non saprei volere. […] La vita mi disgusta. Le minime variazioni nell’atmosfera sono per me come scosse violente. Non sono capace di restare in un posto: bisogna che vada senza sapere dove: E’ per questo che ho fatto il giro del mondo. Dormo male. Non ho appetito. Non saprei digerire. Non mi sento bene che dentro una carrozza. Sono tutto il rovescio degli altri. Odio ciò che agli altri piace. Amo ciò che loro dispiace. Ci sono giorni in cui odio la luce. Altre volte mi rassicura, e se entrassi immediatamente nelle tenebre mi sembrerebbe di cadre in una bara. Le mie notti sono agitate da mille sogni strani […]”.

Questa testimonianza dello spleen  in una lettera di Diderot a Sophie Volland, datata 28 ottobre 1760, è forse la prima descrizione del male inglese nella letteratura francese. In inglese, il termine spleen indica la milza, l’organo in cui l’antichità collocava la bile nera. Diventerà presto il sinonimo, nella Francia romantica, di una forma poetica di malinconia – e conoscerà una fortuna particolare nelle Fleurs du mal di Baudelaire.

Malinconia, genio e follia in Occidente 1 e 23; 4; 56; 78

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