Marc Augé, Lo spread del sapere

by gabriella

L’accesso alla conoscenza è contraddistinto da disuguaglianze sempre più gravi, ricorda Augé, e ciò riporta il mondo a un passato che credevamo tramontato: «se un giorno ci sarà una [altra, NDR.] rivoluzione sarà una rivoluzione dell’istruzione e dell’educazione alla libertà». Scrivere il futuro, Bologna, 14-17 giugno 2012.

La crisi attuale dovrebbe fornire l’occasione per riflettere in maniera schietta sulle cause, sulla portata e sulle conseguenze della crescente diseguaglianza nel mondo, mentre a sua volta, per riprendere l’espressione di Jean-François Lyotard, la “grande narrazione” liberale perde colpi.

Oggi la stragrande maggioranza degli economisti è d’accordo nel riconoscere che, se il divario di reddito tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo globalmente si è un poco ridotto, è considerevolmente aumentato quello tra i più ricchi dei ricchi e i più poveri dei poveri, sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri.

Da ciò l’apparizione e l’incremento di una grande povertà nei paesi ricchi e di una miseria assoluta nei paesi poveri.

Marc Augé

Marc Augé

Questo fenomeno, di cui siamo ogni giorno spettatori, implica diverse conseguenze.

La prima è una minore disponibilità dei paesi ricchi ad aiutare i paesi poveri: l’incremento della povertà interna pone già loro abbastanza problemi.

La seconda è un’instabilità sociale, testimoniata, in zone diverse e con modalità differenti, sia dalla crisi dei subprime, segno premonitore della tormenta attuale, sia dalle rivolte della fame.

Ma un fenomeno connesso a quello della povertà, che si sviluppa parallelamente a esso e che evidentemente è ad esso collegato, quello delle crescenti diseguaglianze nell’ambito della conoscenza, è ancora più inquietante.

Il problema della sopravvivenza in certi continenti e quello del potere d’acquisto in altri hanno infatti per effetto un decadimento delle riflessioni sull’insegnamento e la ricerca. Ora, anche se i temi della disoccupazione, della precarietà del lavoro e dei redditi bassi dominano legittimamente la nostra attenzione, non dovrebbero comunque distrarci e renderci ciechi sulle carenze delle nostre politiche educative, visto che anch’esse hanno conseguenze sull’aumento della povertà.

Mentre la scienza progredisce a velocità esponenziale, tanto la scienza di base quanto le sue ricadute pratiche, il divario tra i suoi protagonisti, o almeno i dilettanti coltivati, e la massa di chi non ha la più pallida idea delle sue poste in gioco aumenta più rapidamente rispetto a quello dei redditi.
Il divario tra i paesi che si impegnano nella ricerca scientifica e quelli che ne sono alieni, nonché, all’interno di ognuno di essi, tra l’élite scientifica e i più carenti nel campo della conoscenza, aumenta più velocemente di quello delle ricchezze.
George Steiner ha fatto notare che il budget per la ricerca della sola Harvard University è superiore alla somma di tutti quelli delle università europee. Se nei paesi emergenti nascono dei poli di sviluppo scientifico, al loro interno le diseguaglianze in materia di istruzione e di conoscenze sono ancora più considerevoli che nei paesi sviluppati, dove pure continuano a crescere.
Possiamo dunque temere di veder apparire, nel medio termine, non una democrazia diffusa su tutta la Terra ma un’aristocrazia planetaria del sapere, del potere e della ricchezza, contrapposta a una massa di semplici consumatori e a una massa, ancora maggiore, di esclusi sia dal sapere sia dal consumo.
Saremo dinanzi a un’aristocrazia globale (nei laboratori delle università americane si incontrano già individui provenienti da ogni parte del mondo, molti dei quali non ritorneranno nel paese di origine).
Saremo dinanzi a un’aristocrazia polare (nel senso che le reti di circolazione delle conoscenze si incroceranno in più punti del pianeta).
Infine, e senza irrigidire necessariamente i rapporti di forza esistenti, essa tenderebbe a rinforzarli (dato che il costo degli studi e le condizioni di vita sociale giocano certamente un ruolo essenziale nella diffusione del sapere). Se pensiamo, rispettivamente, alle possibilità per il futuro di una ragazzina che vive in una campagna isolata dell’Afghanistan, e di un ragazzino americano figlio di due professori di Harvard, possiamo capire quel che rischia di essere il futuro dell’umanità.

La storia ha un senso? Quale senso? L’unico senso è la conoscenza. E l’unico ostacolo alla conoscenza è l’arroganza intellettuale degli allucinati di ogni sorta che vogliono imporre le loro convinzioni all’umanità. Certo, esistono diversi livelli di allucinazione, e non metto sullo stesso piano i teorici del liberalismo e i fanatici religiosi. Ma anche i primi sono ben lontani dalla modestia scientifica (parlo della modestia della scienza in sé, non di quella degli scienziati) che mira a spostare progressivamente le frontiere dell’ignoto.

Alla fine, la storia dell’umanità sarà quella di questa conquista paziente, la cui necessaria conseguenza dovrà essere la liberazione di ogni individuo.

Solo le procedure di esclusione, messe in opera sottilmente o violentemente dai preconcetti dei sistemi ideologici e religiosi, che fondano sulla natura la diseguaglianza e il destino degli esseri umani, si oppongono a questo movimento doppio e parallelo. Se un giorno ci sarà una rivoluzione sarà una rivoluzione dell’istruzione e dell’educazione alla libertà.

 

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