Martine Ostorero, La caccia alle streghe. Stigmatizzazione dell’Altro e paura del diavolo

by gabriella
martine ostorero

Martine Ostorero

 «L’immaginario del sabbah è una costruzione colta al servizio della strumentalizzazione delle credenze».

Martine Ostorero

«La tecnica dei semplificatori del mondo, santi inquisitori o cinici demagoghi che siano,
pare essere sempre quella dell’espulsione della paura oltre i confini del gruppo, o almeno ai suoi margini.
Localizzando lì, nel nemico po nello straniero, la colpa della crisi avvertita o temuta,
s’ottiene di dar vita a un ulteriore “luogo comune” sostitutivo o di rinforzo.
Capita così che il nero, l’ebreo, lo zingaro, o come avviene sempre di più, l’immigrato,
assumano il ruolo di pharmakói, di capri espiatori: insieme veleno e antidoto,
responsabili del disordine e, in quanto vittime immolate, propiziatori dell’ordine».

Roberto Escobar, Metamorfosi della paura, 1997

Presentazione della lezione tenuta dalla prof.ssa Martine Ostorero dell’Università di Losanna al seminario del Progetto Pestalozzi sulla Storia della paura, tenuto il 10 maggio 2012 a Losanna.

Il testo, preceduto da una videolezione realizzata sul tema per i miei studenti, si conclude con alcuni documenti storici relativi ai processi per stregoneria tenutisi nel cantone svizzero del Vaud nel XV secolo.

Secondo Martine Ostorero (Univ. Lausanne), la descrizione delle pratiche di demonolatraia e dell’immaginario legato al sabbah (etimo legato, non a caso, alla festività ebraica dello shabbat, sabato) è stata la prima condizione della caccia alle streghe.

La seconda è stata invece la diabolizzazione della magia e di tutte le eresie, azione che si è sviluppata come una costruzione colta al servizio della strumentalizzazione delle credenze. Il momento d’avvio fondamentale della stigmatizzazione delle streghe è la bolla papale del 1325-27 che identifica magia ed eresia, producendo il fondamentale slittamento che porterà all’assimilazione dell’eresia alla stregoneria a cui aderirà lo stesso Tommaso d’Aquino.

Questa azione di diabolizzazione, dispiegatasi come un meccanismo di costruzione dell’alterità, ha colpito i fenomeni della magia, dell’eresia (apostasia e idolatria), delle azioni contro-natura (quali l’infanticidio, il cannibalismo, la congiunzione carnale con il diavolo, la sodomia, le pratiche innominabili, criminali, contrarie all’ordine, come ad esempio la fabbricazione dell’unguento di morte o la diffusione della peste di cui la ricercatrice parlerà in seguito), dei fantasmi e della paura del complotto.

In questo contesto, il sabbah delle streghe è costruito come una contro-Chiesa, con precisi rituali e procedure che gli inquisitori rinvengono nelle confessioni.

La sua esistenza configura una possibilità di decolpevolizzazione (o scagionamento) della popolazione in relazione a quanto di male accade nella comunità: la colpa è degli altri, degli eretici, delle streghe. Della peste del 1348 sono così incolpati gli ebrei, accusati di aver propagato il male per distruggere la società cristiana.

Si definisce così il pericolo che giustifica la nascita del Tribunale della Santa Inquisizione, accompagnata da una propaganda anti-stregoneria che fa parlare Ostorero di un vero e proprio regime di accumulazione delle accuse alla base del processo inquisitorio (qui un approfondimento italiano sul funzionamento della macchina inquisitoriale), che trovò peraltro forme di resistenza locale, sia laiche che cristiane, come quella del vescovo di Innsbruch e della comunità di Lione.

Il processo inquisitorio ha due caratteristiche precise: da un lato si sviluppa attraverso un preciso canovaccio che permette di porre domande a cui l’inquisito deve rispondere si o no; dall’altro, si assiste alla traduzione in volgare dei verbali d’interrogatorio redatti in latino.

Ne segue che l’esistenza del sabbah e ciò che vi accade non sono messi in questione, mentre si tratta di accertare la sola partecipazione dell’imputato. Ciò che gli inquisiti dicono sotto tortura, registrato in latino nelle carte processuali, viene poi tradotto in volgare con il fine esplicito di farne materiale da diffondere tra la gente, comprovante l’esistenza della stregoneria e dei malefici perpetrati dai “nemici del nome di Dio”.

Tra gli aspetti significativi sottolineati da Martine Ostorero c’è l’osservazione che la violenza della caccia alle streghe non è stata minore nei paesi protestanti: nel Vaud (cantone di Losanna) si è assistito infatti alla stessa persecuzione verificatasi in Italia.

Le differenze che si sono registrate non sono infatti legate al credo, ma alle caratteristiche del processo (e, probabilmente, al grado di influenza del controllo popolare su di esso): in Inghilterra, ad esempio, essendo meno diffusa la pratica giuridica della tortura, vi furono meno processi per stregoneria.

Nel corso dei secoli, in corrispondenza con la razionalizzazione della vita e con la diminuzione della credenza nel diavolo, il processo criminale si evolve (Foucault, Sorvegliare e punire), il capo d’accusa di stregoneria si trasforma in “avvelenamento”, la gente smette di denunciare.

I documenti storici dei processi per stregoneria

Tra i documenti distribuiti dalla professoressa Ostorero, gli atti processuali del processo per stregoneria a Cathérine Quicquat (già pubblicati nei Cahiers Lausannois d’Histoire médievale); una cronaca sulla caccia alle streghe a Lucerna (1448) e un estratto degli Errores gazariorum sull’immaginario del sabbah.ostorero_0001

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Traduzione del rapporto del cronista del 1428 

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Esercitazione 

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