25 Settembre, 2017

Margaret Mead, La prima educazione e la formazione del carattere presso gli Arapesh

by gabriella

Tratto da Margaret Mead, Sesso e temperamento, 1935.

Come viene modellato il bambino arapesh in quella persona accomodante, gentile, ricettiva che è l’Arapesh adulto? Quali sono i fattori determi­nanti della prima educazione infantile, cui si deve se il ragazzo crescerà tranquillo e soddisfatto, non aggressivo e non incline a prendere l’iniziativa, incapace di sentire lo stimolo della concorrenza e invece pronto a capire e a corrispondere, ricco di calore umano, docile e fiducioso? È vero che io in qualsiasi società semplice e omogenea i bam­bini riveleranno da adulti gli stessi tratti generali di carattere di cui i genitori avranno dato loro il modello. Però non si tratta di imitazione. C’è un rapporto più sottile e preciso fra il modo in cui il bambino viene nutrito, messo a dormire, discipli­nato, educato all’autocontrollo, vezzeggiato, puni­to e incoraggiato, e la formazione del suo caratte­re di adulto.

In qualsiasi società, presso qualsiasi popolo, il modo come uomini e donne trattano i loro bambini è una delle cose più significative nella formazione della personalità dell’adulto, ed è anche uno dei punti sui quali si manifestano più acutamente i contrasti tra i sessi. Possiamo com­prendere gli Arapesh, e il temperamento caldo e materno tanto degli uomini quanto delle donne, soltanto se ci rendiamo conto della loro esperien­za infantile e di quella che a loro volta fanno vivere ai figli.

Nei primi mesi il bambino non è mai lontano dalle braccia di qualcuno. Andando in giro, la ma­dre lo porta o sul dorso, in un sacco di rete specia­le sostenuto dalla fronte, o sospeso sotto uno dei due seni in una specie di bilancia di scorza d’albe­ro intrecciata. Il secondo è il costume delle popolazioni della costa, il primo delle popolazioni delle pianure; le donne della montagna usano l’uno o l’altro, generalmente a seconda delle condizioni di salute del bambino. […] Allattato ogni volta che piange, tenuto sempre vicino a qualche donna che possa, all’occorrenza, dargli il suo seno, messo a dormire di solito a contatto con il corpo materno, portato col sacco di rete sul dorso o tenuto ran­nicchiato fra le braccia oppure in grembo, se la madre siede a cucinare o a fare lavori di intreccio, il bambino gode costantemente di una sensazione di calore e di sicurezza. […]

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24 Settembre, 2017

Silvano Cacciari, Gilles Deleuze e l’immagine politica

by gabriella

Silvano

In questo saggio del 1996 – all’epoca l’abstract della sua tesi di DEA – Silvano proponeva un’archeologia dell’immagine politica dedicata ai meccanismi del nuovo regime di governamentalità che Deleuze chiamò «società di controllo». Il nostro illustrava l’ingegneria sociale che l’immagine in movimento è in grado di produrre, con l’obiettivo di aprire il varco a una nuova analisi della sfera pubblica, capace di svelare la formula della magia nera evocata dal capitalismo contemporaneo tra economia e politica, informazione e immagine seduttiva.

Quando la filosofia dipinge il suo grigiore nel grigiore una manifestazione della vita finisce il suo corso. E si tratta di una manifestazione che non si può ringiovanire ma solo conoscere.

Jean Luc Godard, Allemagne Neuf Zero, 1991

Punto uno. A ciascuno la sua magia nera
Punto due. Lo choc comunitaristico dell’immagine
Punto tre. Le società di controllo
Punto quattro. Immagine-movimento e immagine-tempo

 

Punto uno. A ciascuno la sua magia nera

Karl Kraus

Karl Kraus (1874 – 1936)

Benjamin

Walter Benjamin (1892 – 1940)

Walter Benjamin definì Karl Kraus «Angelus, messaggero di antiche incisioni» (1), all’interno di una serie di scritti (2), nei quali Kraus, definitivamente separato dalle mode del Ring viennese, appariva sia come il fulmine critico che inceneriva all’istante i bastioni della società dell’informazione sia come colui che apriva un varco per far passare un’antica forma di riscatto.

Ora, quest’antica forma di riscatto, che in Angelus Novus si serve dell’apporto discreto della metafisica «che è brutta e piccina e non vuol essere vista da nessuno»(3), ha dovuto seguire proprio il destino della metafisica: ridursi alla discrezione, mettersi al nascosto servizio di qualcuno e seguire un tacito patto di non nominarsi e di non far nominare il proprio nome.

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18 Settembre, 2017

Max Horkheimer, La struttura sociale del presente

by gabriella
Max Horkheimer (1895 - 1973)

Max Horkheimer (1895 – 1973)

Echi brechtiani nella visione di Horkheimer della civiltà, un presente senza riscatto e senza remissione, basato sull’accumulazione della sofferenza e dello sfruttamento.

Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: Su, in alto, i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra di loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi, suddivise in singoli strati, le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di rango inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capoufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi, ai malati.

Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato soltanto dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta da un’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo.

Larghi territori del Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa, la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali […]. Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.

Max Horkheimer, Crepuscolo. Appunti presi in Germania (1926-31), trad. it. Einaudi, Torino, 1977.

 

Carlo Emilio Gadda, Una mattinata ai macelli

Gadda

Carlo Emilio Gadda (1893 – 1973)

“ … qualche animale appoggia la fronte a una barra (bavando una sua schiuma dalla bocca, a fiocchi) quasi per raggelare al contatto del ferro, dopo la scombussolata notte, il tumulto doloroso del proprio sangue. Qualche altro ha un corno mezzo divelto, e ne sanguina: il caglio scarlatto gli si è raggrumato giù per il muso, l’occhio immalinconito sembra dimandarne la cagione alle cose, al mondo” [Le meraviglie d’Italia, Einaudi, 1964].

17 Settembre, 2017

Norme sociali

by gabriella

preghiera islamica

Le norme sociali sono regole che disciplinano la vita in società, prescrivendo agli individui cosa fare nelle diverse situazioni. Sono strumenti necessari sia per attuare i valori a cui una collettività aderisce, sia per regolare i comportamenti, le azioni, i rapporti sociali dei suoi membri.

Ogni società ha norme sociali diverse, relative al proprio sistema di vita. Un esempio ne è offerto da La democrazia in America, in cui Tocqueville si è soffermato sul sistema di vita americano, ponendolo a confronto con altri modelli (in questo caso con quello inglese):

Due inglesi si incontrano per caso agli antipodi: sono circondati da stranieri di cui conoscono a malapena la lingua e i costumi. Questi due uomini si guardano sulle prime con molta curiosità e con una sorta di inquietudine segreta, poi si allontanano o, se intavolano discorsi, hanno cura di parlarsi con aria affettata o distratta e di dire solo cose poco importanti […] In un paese straniero due americani diventano amici su due piedi per il fatto di essere americani.

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15 Settembre, 2017

David Hume, La critica del principio di causalità

by gabriella

In questa seconda parte dell’Estratto del Trattato sula natura umana [1739] Hume espone la sua celebre dottrina della causalità secondo la quale tra causa ed effetto non vi è alcun legame universale e necessario, ma solo una connessione di fatto.

Per Hume la necessità causale e la conseguente presenza di leggi universali nella natura sono soltanto ipotesi, motivate unicamente da un’abitudine psicologico-associativa umana. I nostri ragionamenti causali si basano, infatti, solo sull’esperienza (e non certo su leggi logico-razionali) la quale ci abitua a credere che determinati eventi seguono regolarmente certi altri.

In coda al testo un’esercitazione per riconoscere i quattro argomenti di Hume.

È evidente che tutti i ragionamenti che riguardano questioni di fatto (matter of fact) sono fondati sulla relazione di causa ed effetto e che noi non possiamo mai inferire l’esistenza di un oggetto da quella di un altro a meno che essi non siano collegati insieme, o mediatamente o immediatamente. Perciò per comprendere questi ragionamenti, dobbiamo conoscere perfettamente l’idea di una causa e, a questo scopo, dobbiamo guardarci intorno per trovare qualche cosa che sia la causa di un’altra.

Ecco una palla di biliardo che sta ferma su un tavolo ed un’altra palla che si muove verso essa con rapidità; le due palle si urtano e quella delle due che prima era ferma, ora acquista un movimento.

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15 Settembre, 2017

Hume

by gabriella

David Hume (1711 – 1776)

L’atteggiamento di pensiero inaugurato da Locke – sulla base di una tradizione che parte da Ockham – giunge alla sua espressione più rigorosa nella filosofia di David Hume (1711-1776).

Hume porta, infatti, a conseguenza le premesse dell’empirismo, giungendo ad esiti scettici e paradossali, sia per il senso comune che per le scienze in un’epoca di conquiste e progressi significativi.

Partendo da un forte orientamento anticartesiano, il filosofo applica il metodo sperimentale baconiano e newtoniano allo studio dell’uomo e della morale, mostrando che le nostre credenze sono il risultato della nostra abitudine ed esperienza individuale, delle nostre passioni, dei nostri istinti e non possono, pertanto, avere fondamento necessario e universale.

 

Indice

1. La conoscenza umana

1.1 Il funzionamento dell’intelletto: il principio di associazione
1.2 La relazione tra idee e le questioni di fatto

2. Gli esiti scettici

2.1 La critica del principio di causalità
2.2 La critica della metafisica
2.3 La critica della religione

Approfondimenti: Morale, la sola scienza nell’uomo (Loescher);

Valutazione degli studenti

 

1. La conoscenza umana

Nella sua analisi della conoscenza umana, finalizzata a sondare «la portata e la forza dell’intelletto umano» e a comprendere «la natura delle idee e delle operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti», Hume chiama percezioni i contenuti della mente e li divide in due classi: le impressioni, che penetrano con maggior forza nella coscienza e riguardano il “qui” ed “ora”e le idee, o pensieri, che sono «immagini illanguidite» di queste impressioni.

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13 Settembre, 2017

David Hume, La critica all’io e all’identità personale

by gabriella

David Hume (1711 – 1776)

Secondo Hume, l’identità dell’io non è giustificata da nessuna esperienza, né esiste argomentazione che possa dimostrarla. Se ci atteniamo all’esperienza, infatti, rileviamo solo “fasci di percezioni” mentre, se cerchiamo un’argomentazione logica, dobbiamo riconoscere che l’idea di identità non può coincidere con quella dell’io. L’io infatti è una composizione di relazioni, ma la nozione di relazione non è quella di identità. La sovrapposizione dell’identità all’io avviene quindi solo attraverso un’inferenza extraempirica ed extralogica come la nozione di “persona” che ha caratteri etici, religiosi o pratico-vitali, cioè sempre metaforici rispetto alla “sostanza metafisica” che dovrebbe corrisponderle.Trattato sulla natura umana, Bari, Laterza, 1982, I, pp. 263-266.

Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io: che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza; e che siamo certi, con un’evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità. Le sensazioni più forti, le passioni più violente, dicono essi, invece di di­strarci da tale coscienza, non fanno che fissarla più intensamente e mostrarci, col piacere e col dolore, quanta sia la loro influenza sull’io. Tentare un’ulteriore prova di ciò sarebbe, per essi, indebolirne l’evidenza: non c’è nessun fatto del quale noi siamo così intimamente coscienti come questo; e se dubitiamo di questo, non resta niente di cui si possa esser sicuri.

Disgraziatamente, tutte queste recise affermazioni sono contrarie all’esperienza stessa da essi invocata: noi non abbiamo nessun’idea dell’io, nel modo che viene qui spiegato. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? […] Ci vuol sempre una qualche impressione per produrre un’idea reale. Ma l’io, o la persona, non è un’impressione: è ciò a cui vengono riferite, per supposizione, le diverse nostre impressioni e idee. Se ci fosse un’impressione che desse origine all’idea dell’io, quest’impressione dovrebbe rimanere invariabilmente la stessa attraverso tutto il corso della nostra vita, poiché si suppone che l’io esista in questo modo.

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13 Settembre, 2017

David Hume, La critica all’idea di esistenza

by gabriella

David Hume (1711 – 1776)

In questo passo del Trattato sulla natura umana, Hume nota che poiché ogni conoscenza ha per oggetto soltanto i contenuti mentali ed è impossibile astrarre l'”esistenza” da questi contenuti, l’ipotesi di un mondo esterno, dotato di realtà indipendente, stabile e continua è indimostrabile. L’unica possibilità è quella di attribuire all’esistenza delle cose uno statuto relazionale priva di ogni d cit., pp. 78-81.

Non ci sono impressioni, né idee, di qualunque specie siano, delle quali abbiamo coscienza e memoria, che non siano concepite come esistenti, ed è evidente che da questa coscienza deriva l’idea e perfetta certezza dell’essere. Di qui si trae il dilemma più chiaro e conclusivo che si possa immaginare: poiché non ricordiamo mai un’idea o un ’impressione senza attribuirle l’esistenza, l’idea di esistenza deve derivare o da un’impressione distinta, per quanto unita a ogni percezione od oggetto del pensiero; ovvero dev’essere un’unica cosa con l’idea della percezione o dell’oggetto.

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12 Settembre, 2017

Antonio Martone, Dalla cattedrale ai non-luoghi

by gabriella

Un’efficace ricognizione delle trasformazioni antropologiche che hanno accompagnato e accompagnano la modernità e la post (o sur)-modernità che Martone conclude con l’heideggeriana ricerca di un nuovo senso dell’abitare la terra. L’articolo è uscito sul Rasoio di Occam, ho aggiunto, oltre alle immagini, qualche legenda e link per renderlo accessibile a ragazzi di quarto liceo.

non luoghi 499

L’areoporto, luogo di passaggio per eccellenza, non luogo

I cambiamenti che hanno scosso l’età moderna sono stati anzitutto antropologici, e poi economici e giuridico-politici. Oggi siamo di fronte a un altro snodo storico, che sta producendo una nuova mutazione del senso. Per interrogare quest’ultima bisogna osservare ancora una volta la traiettoria della modernità

In questo intervento, cercherò di focalizzare genealogicamente l’attenzione su alcuni punti di snodo fondamentali della storia della modernità, al fine di focalizzare meglio le dinamiche antropologico-politiche del contemporaneo. Cercherò di evocare tali trasformazioni attraverso l’uso di simboli che racchiudano il senso complessivo della presenza storica degli uomini nel passaggio fra “pre-moderno” e “moderno” e fra il “moderno” e l’“attuale”.

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10 Settembre, 2017

Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia

by gabriella

Perché, secondo la prospettiva filosofica adottata da Sofia Amundsen, l’abitudine alle cose del mondo «rimbecillisce»?

 

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