Pierre Bourdieu, Tecnocrazia e merito

by gabriella

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante.

La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale.

Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante e dunque sono le idee del suo dominio.

Karl Marx, L’ideologia tedesca

Ne La production de l’idéologie dominante, scritto con Luc Boltanski (che io sappia non tradotto in italiano), Pierre Bourdieu spiega come il potere dei tecnici abbia bisogno di mettere in scena la

parata permanente dell’oggettività e della neutralità (“la parade permanente de l’objectivité et de la neutralité”),

vale a dire la propria autonomia (dalla politica, ma anche dai cosiddetti poteri forti, come ha spiegato ieri Monti),

perché il loro potere propriamente politico di depoliticizzazione è pari alla loro capacità d’imporre l’illusione della loro indipendenza dalla politica e di dissimulare che i giudici sono anch’essi parte (essendo  immersi nel gioco non fuori di esso). [“parce que leur pouvoir proprement technique de dépolitisation est à la mesure de leur capacité d’imposer l’illusion de leur indépendance par rapport à la politique et de dissimuler que les juges sont aussi partie”. P. Bourdieu, L. Boltanki, “La production de l’idéologie dominante”, Actes de la recherche en Sciences Sociales, 7, 1976, poi ripubblicato come La production de l’idéologie dominante, Paris, Editions Raison d’agir et Demopolis, 2008, p. 116].

La tecnocrazia, insomma, è tutt’altro che impolitica, ma è proprio grazie alla dissimulazione della propria parzialità che riesce ad essere efficace nel perseguire gli interessi di quei poteri (Bourdieu li chiamerebbe “dominanti”) che in certi momenti storici manifestano insofferenza verso la democrazia e le diverse forme di partecipazione popolare (teoricamente sovrana) al potere. Non è casuale, al riguardo, che le prime dichiarazioni del nuovo ministro dell’ambiente siano state di apertura al nucleare a non più di sei mesi dal nuovo e netto pronunciamento popolare sulla questione.

Visto che riprendo in mano questo libro, ne approfitto per segnalare anche la critica di Bourdieu all’ideologia del merito, che in un’Italia ancora impantanata nel proprio feudalesimo (fatto di corporazioni, corruzioni, familismi e privilegi) viene agitato come il vessillo di una politica moderna e illuminata (ovvero come il rimedio agli sbarramenti corporativi all’accesso a risorse e professioni), ma in un paese come la Francia nel quale la conquista della modernità ha oltre due secoli, poteva essere letto dalla sociologia con lucido disincanto.

Nella quarta di copertina si legge in proposito:

L’ideologia dominante è l’ideologia dei dominanti. Essa si impone socialmente come un’evidenza legittima basata un tempo sulla proprietà, ieri sulla competenza, oggi sul merito. Secondo una logica circolare implacabile, essa contribuisce a riprodurre l’ordine sociale (esistente) facendo delle proprietà sociali dei dominanti il fondamento legittimo della dominazione. […] Bisogna [dunque] smontare la filosofia sociale dominante nel campo del potere.

L’idéologie dominante est l’idéologie des dominants. Elle s’impose socialement comme une évidence légitime fondée jadis sur la propriété, hier sur la compétence, aujourd’hui sur le mérite.  Selon une logique circulaire implacable, elle contribue à reproduire l’ordre social en faisant des propriétés sociales des dominants le fondement légitime de la domination. […]  il faut démonter la philosophie sociale dominante dans le champ du pouvoir.

Bourdieu spiega insomma chiaramente come davanti ai dominati e agli esclusi si sbandieri l’equità e la giustezza di scelte che apparentemente non li escludono a priori (visto che ciò che include e premia si dice non essere legato alla nascita, ma all’impegno e al valore), mentre il gioco, di fatto, è da sempre truccato, perchè il traguardo del merito e la conquista di capacità socialmente riconosciute sono vicini e raggiungibili solo per chi nasce in contesti favorevoli (allo sviluppo di quelle qualità che il sociologo de la distinction non aveva difficoltà a chiamare “borghesi”), dunque lontanissime o drasticamente precluse a tutti gli altri.

Fino ad oggi, la Costituzione della Repubblica Italiana riconosceva l’esistenza di questi ostacoli alla promozione umana e all’eguaglianza (art. 3) e affidava alla scuola (pubblica statale) il compito di rimuoverli (artt. 33 e 34). Dunque, solo dopo questa rimozione, cioè in una società di eguali, si potrebbe parlare legittimamente di merito, ma quando si va a scuola per metà tempo e con il professore in transito, quando la valutazione diventa l’obiettivo prioritario e con gli INVALSI ci si prepara a erogare risorse a chi ha già togliendole a chi non ha mai avuto niente, allora parlare di merito non è solo ideologico ma anche criminale, visto che produce e non solo certifica ingiustizia e ineguaglianza.

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