Simone de Beauvoir, Donna non si nasce, si diventa

by gabriella

Simone De Beauvoir (1908 – 1986)

Pubblicato nel 1946, Il secondo sesso [trad. it. Milano, Euroclub, 1979; pp. 14-18; 27-28] è una fondamentale riflessione sulla donna, ricca di riferimenti storici, filosofici, antropologici. Il punto di partenza di Simone de Beauvoiu è che la donna diventa tale accettando le costrizioni che la vogliono subordinata, «altro» rispetto all’«uno». Secondo sesso rispetto al primo, quello maschile.

Se la sua funzione di femmina non basta a definire la donna, se ci rifiutiamo anche di spiegarIa con «l’eterno femminino» e se ciò nonostante ammettiamo che, sia pure a titolo provvisorio, ci sono donne sulla terra, dobbiamo ben proporci la domanda: che cosa è una donna?

L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce subito una prima risposta. È significativo che io lo proponga. A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: «Sono una donna»; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai col classificarsi come un individuo di un certo sesso: che sia uomo, è sottinteso. È pura formalità che le rubriche: maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi e negli attestati d’identità.

Il rapporto dei due sessi non è quello di due elettricità, di due poli: l’uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto che diciamo «gli uomini» per indicare gli esseri umani, il senso singolare della parola vir essendosi assimilato al senso generale della parola homo.

La donna invece appare come il solo negativo, al punto che ogni determinazione le è imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità. Mi sono irritata talvolta, durante qualche discussione, nel sentirmi obiettare dagli interlocutori maschili: «voi pensate la tal cosa perché siete una donna»; ma io sapevo che la mia sola difesa consisteva nel rispondere: «la penso perché è vera», eliminando con ciò la mia soggettività, non era il caso di replicare: «E voi pensate il contrario perché siete un uomo»; perché è sottinteso che il fatto di essere un uomo non ha nulla di eccezionale. Un uomo è nel suo diritto essendo tale, è la donna in torto.

Praticamente, nello stesso modo che per gli antichi c’era una verticale assoluta in rapporto alla quale si definiva l’obliquo, esiste un tipo umano assoluto, che è il tipo maschile. La donna ha delle ovaie, un utero; ecco le condizioni particolari che la rinserrano nella sua soggettività: si dice volentieri «pensa con le sue glandole». L’uomo dimentica superbamente d’avere un’anatomia, che comporta ormoni e testicoli. Egli intende il proprio corpo come una relazione diretta e normale con il mondo che crede di afferrare nella sua oggettività, mentre considera il corpo della donna appesantito da tutto ciò che lo distingue: un ostacolo, una prigione.

Aristotele (384-322 a.C.)

Tommaso d’Aquino (1225 – 1274)

«La femmina è femmina in virtù di una certa assenza di qualità», diceva Aristotele. «Dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole»; e S. Tommaso ugualmente decreta che la donna è «un uomo mancato», un essere «occasionale».

Propri questo vuole simboleggiare la storia della Genesi in cui Eva appare ricavata, come dice Bossuet, da «un osso in soprannumero di Adamo». L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale, ma in relazione a se stesso; non è considerata un essere autonomo.

La nascita di Eva dalla costola di Adamo

Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia; così viene qualificata: «il sesso», intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto.

La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei: è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il Soggetto, l’Assoluto, lei è l’Altro. La categoria dell’altro ha origini remote quanto la coscienza stessa. Nelle società primitive, nelle mitologie più antiche si trova sempre una dualità che è sempre dell’Uno uguale a se stesso e dell’Altro […].
Alla fine di uno studio assai acuto sulle diverse figure nelle società primitive, Lévi-Strauss ha concluso:

Il passaggio dallo stato di Natura allo stato di Cultura è contrassegnato dalla tendenza da parte dell’uomo a pensare le reazioni biologiche sotto forma di sistemi di opposizione: la dualità, l’avvicendamento, l’opposizione e la simmetria, si presentano in forme stabili oppure in forme fluide, non costituiscono tanto fenomeni da spiegare, quando i dati fondamentali e immediati della realtà sociale.

Tali fenomeni non si capirebbero se la realtà umana fosse esclusivamente un mitsein [essere con: termine usato da Heidegger, nota mia] basato esclusivamente sulla solidarietà e l’amicizia. Si spiegano invece, se si scopre, con Hegel, nella coscienza stessa una fondamentale ostilità di fronte a ogni altra coscienza: il soggetto si pone solo opponendosi: vuole affermarsi come «essenziale» e costituire l’Altro in «inessenziale» in oggetto. Solo che la coscienza dell’altro gli oppone a sua volta la stessa pretesa […] volenti o nolenti individui e gruppi sono obbligati a riconoscere la reciprocità del loro rapporto. Perché dunque questa reciprocità non ha preso rilievo tra i sessi, perché uno dei termini si è affermato come il solo essenziale, abolendo ogni relatività in rapporto al suo correlativo, definendo quest’ultimo come pura alterità? Perché le donne non contestano la sovranità maschile? Non c’è soggetto che si proponga immediatamente e spontaneamente come inessenziale; non è l’Altro che definendosi tale definisce l’Uno: è posto come Altro dall’Uno che si afferma come Uno.

Ma perché l’Altro, a sua volta non si rifaccia Uno, occorre che esso si pieghi a codesto punto di vista estraneo. Donde viene alla donna una passività così grande? Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini – padre o marito – più strettamente che alle altre donne; e ciò per i vincoli creati dalla casa, dal lavoro, dagli interessi economici, dalla condizione sociale. Le borghesi sono solidali con i borghesi e non con le donne proletarie, le bianche con gli uomini bianchi e non con le donne nere. Il proletariato può prefiggersi il massacro della classe dirigente;  un Ebreo, un Nero fanatici  potrebbero sognare di trafugare il segreto della bomba atomica e di fare un’umanità tutta ebrea o tutta nera: neanche in sogno la donna può sterminare i maschi. Il legame che la unisce ai suoi oppositori non si può paragonare a nessuna altro [….].

Il punto di vista che adottiamo è quello della morale esistenzialista. Ogni soggetto di pone concretamente come trascendenza attraverso una serie di finalità; esso non attua la propria libertà che in un perpetuo passaggio ad altre libertà; la sola giustificazione dell’esistenza presente è la sola espansione verso un universo indefinitamente aperto. Ogni volta che l’esistenza ripiomba nell’immanenza vi è uno scadere dell’esistenza nell’«in sé», della libertà nella contingenza; tale caduta è una colpa morale se è accompagnata dal consenso del soggetto; ma se gli è imposta prende la forma di una privazione e di un’oppressione; in ambedue i casi è un male assoluto.

Ogni individuo che vuol dare un significato alla propria esistenza, la sente come un bisogno infinito di trascendersi. Ora la situazione della donna si presenta in questa singolarissima prospettiva: pur essendo come individuo umano una libertà autonoma, essa si scopre e si sceglie in un modo in cui gli uomini le impongono di assumere la parte dell’Altro; in altre parole pretendono di ridurla alla funzione di oggetto e di votarla all’immanenza perché la sua trascendenza deve essere perpetuamente trascesa in un’altra coscienza essenziale e sovrana. Il dramma della donna consiste nel conflitto tra la rivendicazione fondamentale di ogni soggetto che si pone sempre come essenziale e le esigenze di una situazione che fa di lei un inessenziale.

Data questa sua condizione, in che modo potrà realizzarsi come essere umano? Quali sono le vie aperte? Quali finiscono in un vicolo cieco? Come trovare l’indipendenza nella dipendenza? Quali circostanze limitano la libertà della donna? E sarà in grado di superarle? È questo che vorremmo chiarire. Il che vuol di re che non porremo la sorte dell’individuo in termini di felicità, ma in termini di libertà.

È evidente che tale problema non avrebbe senso se supponessimo che sulla donna pesi un destino fisiologico, psicologico o economico. Perciò cominceremo col discutere i punti di vista della biologia, della psicanalisi, del materialismo storico. In un secondo tempo  tenteremo di mostrare com’è nata ed è cresciuta la «realtà femminile», perché la donna è stata definita come l’Altro e quali furono le conseguenze dal punto di vista maschile. E allora descriveremo, secondo il punto di vista delle donne, il mondo quale è stato loro proposto; e potremo capire in che difficoltà si imbattono quando, nel tentativo di evadere dalla sfera loro finora assegnata, cercano di partecipare al mitsein umano.

 

Esercitazione

1. Perché l’opera di Simone De Beauvoir si intitola Il secondo sesso?
2. Nel testo ricorre molte volte il termine “Altro”. Identifica tutte le caratteristiche che l’autrice attribuisce a questo termine.
3. Secondo l’autrice, le donne sono alleate tra loro? Esponi i motivi della tua risposta

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