Nel 1884, Friedrich Engels pubblica L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, un testo che tiene conto delle ricerche di Bachofen sul matriarcato e di Lewis Henry Morgan sulle società antiche.
Engels riprende la tesi dell’evoluzione lineare delle società, depurandola dal portato gerarchico a cui è stata intrecciata per l’intero ottocento e interpretando le spinte evolutive con le tesi materialiste secondo le quali le forme di coscienza emergono al raggiungimento della maturità delle forme produttive corrispondenti.
Trasformando tutte le cose in merci, la produzione capitalistica
«dissolse tutti gli antichi rapporti tradizionali e mise al posto del costume ereditario e del diritto storico la compravendita e il “libero” contratto». Anche il matrimonio divenne un contratto e, pur rimanendo un matrimonio di classe, «all’interno della classe venne concesso agli interessati un certo grado di libertà di scelta».
La grande industria ha poi aperto alla donna operaia la via della produzione sociale, ma se essa vi si inserisce, non è più in grado di assolvere i doveri familiari, e viceversa, come rilevavano anche i fautori liberali dell’emancipazione. Ciò traccia tuttavia, la strada per l’emancipazione dalla famiglia monogamica dove si esercita il più brutale asservimento della donna all’uomo.
Pubblicato nel 1946,Il secondo sesso [trad. it. Milano, Euroclub, 1979; pp. 14-18; 27-28]è una fondamentale riflessione sulla donna, ricca di riferimenti storici, filosofici, antropologici. Il punto di partenza di Simone de Beauvoiu è che la donna diventa tale accettando le costrizioni che la vogliono subordinata, «altro» rispetto all’«uno». Secondo sesso rispetto al primo, quello maschile.
Se la sua funzione di femmina non basta a definire la donna, se ci rifiutiamo anche di spiegarIa con «l’eterno femminino» e se ciò nonostante ammettiamo che, sia pure a titolo provvisorio, ci sono donne sulla terra, dobbiamo ben proporci la domanda: che cosa è una donna?
L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce subito una prima risposta. È significativo che io lo proponga. A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: «Sono una donna»; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai col classificarsi come un individuo di un certo sesso: che sia uomo, è sottinteso. È pura formalità che le rubriche: maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi e negli attestati d’identità.
Harriet Taylor (1808 – 1858) John Stuart Mill (1806 – 1873)
Dal sodalizio tra Harriet Taylor e suo marito, John Stuart Mill, derivarono due importanti saggi sulla questione femminile. In The Enfranchisement of Women, del 1851, Taylor parte dal diritto naturale di ogni essere umano ad esprimere liberamente le proprie capacità, osservando che l’esercizio del potere politico conquistato dagli uomini ha provocato la condizione di sudditanza in cui le donne si trovano. L’emancipazione della donna sarà possibile quando essa potrà godere degli stessi diritti concessi all’uomo – all’istruzione, all’esercizio delle professioni, alla partecipazione amministrativa e politica – che però le sono ancora negati.
Alla diffusa obiezione che la sua natura biologica assegnerebbe in modo esclusivo alla donna la cura dei figli e della famiglia, impedendole obbiettivamente il pieno esercizio di quei diritti, Taylor risponde che con la liberazione dagli impegni familiari – da assegnare alla cura di un apposito personale domestico femminile – la donna potrà conseguire la sua piena emancipazione. Una reale emancipazione non può allora essere ottenuta da tutte le donne, ma solo da quelle della classe media che potranno liberarsi dagli obblighi familiari.
In The Subjection of Women (1869) [trad. it. La servitù delle donne] Stuart Mill individua la causa della mancanza di diritti civili della donne nella storica subordinazione della donna all’uomo, la quale è una forma di schiavitù espressione del più generale rapporto schiavile che è stato una delle forme di organizzazione sociale del passato. Le società antiche sono tramontate da secoli e la schiavitù è stata da poco abrogata anche in America, ma l’asservimento delle donne, oggi come ieri, persiste e si realizza innanzi tutto e in forma compiuta nel luogo privato della famiglia. Essa è resa possibile dalla maggior forza fisica dell’uomo, ma si esercita anche con l’affetto:
«Gli uomini non vogliono solamente l’obbedienza delle donne, vogliono anche i loro sentimenti. Tutti gli uomini, tranne i più brutali, vogliono avere nella donna che a loro è più legata non una schiava forzata, ma una schiava volontaria, non una pura e semplice schiava, ma una favorita».
L’idea che tale servitù sia necessaria e naturale è stata inculcata nelle menti delle donne fin dall’infanzia. Esse sono state educate a pensare di dover essere l’opposto dell’uomo: non devono esprimere
«una libera volontà e un comportamento auto-controllato, ma una sottomissione e una subordinazione al controllo altrui. Tutte le morali dicono che è dovere delle donne, e tutti i sentimenti correnti affermano che è proprio della loro natura vivere per gli altri, compiere una totale abnegazione di sé e non avere altra vita che la vita affettiva».
L’asservimento della donna all’uomo si dimostra una contraddizione pratica dell’affermazione teorica dell’eguaglianza dei diritti umani:
«La subordinazione sociale delle donne si configura come un fatto unico nelle moderne istituzioni sociali; una rottura isolata di quella che è divenuta la loro legge fondamentale; l’unica reliquia di un vecchio mondo di pensiero e di pratica che è esploso in ogni altro aspetto».
Una breve storia della Giornata Internazionale delle Donne, per ricordare che l’8 marzo non è una festa, ma un giorno di riflessione sulla discriminazione femminile nelle case e nei luoghi di lavoro ovunque nel mondo.
Agli inizi del novecento, gli scioperi operai e le manifestazioni per i diritti civili delle donne erano frequenti in Europa e negli Stati Uniti.
Dopo la manifestazione oceanica del 1908, nella quale quindicimila donne avevano marciato a New York per chiedere la giornata lavorativa di otto ore, l’aumento dei salari e il diritto di voto,il 25 febbraio 1909 fu celebrata la prima giornata internazionale della donna.
Clara Zetkin (1857 – 1933)
Nel 1910, durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste a Copenaghen, Clara Zetkin, spartachista e tra i fondatori del Partito Comunista tedesco, propose che in ogni paese si organizzasse ogni anno una Giornata della Donna. La prima si tenne in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera il 19 marzo 1911.
Meno di una settimana dopo, avvenne l’incendio della Triangle Shirtwaist Company, un’azienda tessile di New York in cui lavoravano soprattutto giovani donne immigrate dall’Europa che morirono in centoquarantasei.
Una breve storia dei movimenti di liberazione della donna, dalle precorritrici Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, alle esperienze mature dell’ottocento europeo e americano, dove le lotte femministe si intrecciano con i movimenti abolizionisti della schiavitù (Angelina Grimké) e di emancipazione popolare (Louise Michel, Clara Zetkin).
In coda al post, i poster delle violente campagne contro le attiviste e la nascita degli stereotipi e luoghi comuni sulla naturale soggezione delle donne e la protesta contro-natura delle femministe, dipinte come donne mancate, frustrate dalla bruttezza, dal nubilato e dalla rinuncia alla maternità.
Indice
1. Olympe de Gouges 2.Mary Wollstonecraft 3. Emmeline Pankhurst 4. Timeline 5. Il diritto di voto 6. La campagna denigratoria contro le suffragette
Il testo, frutto di una ricerca storica di qualche mese fa, preparatoria di un modulo didattico sulla questione femminile, affronta la nascita e la fortuna dell’argomento differenzialista tra Ottocento e Novecento; la differenza di genere e il lavoro extradomestico delle donne tra Ottocento e Novecento; l’evoluzione della famiglia e del modello di maternità [le note sono in revisione].
Indice
1. Questione femminile e differenza biologica tra ottocento e novecento 2. La differenza di genere e il lavoro extra-domestico 3. L’evoluzione della famiglia e del modello di maternità
3.1La figura della madre nel primo Novecento: dalla madre oblativa alla madre educatrice 3.2L’identità molteplice della madre contemporanea
1. Questione femminile e differenza biologica tra ottocento e novecento
«Nella maternità affondano profondamente le radici tanto della schiavitù quanto della liberazione del sesso femminile».
Helene Stöcker, 1912
La tesi della differenza naturale delle donne e dell’origine biologica di questa differenza ha una storia millenaria che sfida le divisioni ideologiche e le distinzioni di campo. L’approccio essenzialista alla questione femminile è stato, infatti, cavalcato sia dalla prospettiva sessista di autori che hanno visto nella donna soprattutto l’incompletezza e la minorità, sia da quella parte del dibattito femminista che ha visto nella natura originariamente altra delle donne, il valore di una specificità storicamente oppressa.
In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, La Repubblica pubblica l’intervista ad un ex maschio violento che ha voluto capire e fermare la propria tendenza a (ri)produrre violenza contro le donne della sua famiglia, sua moglie e sua figlia. Lo ha fatto insieme al Centro di Ascolto per uomini Maltrattanti (CAM), per non perdere le persone che dice di amare di più.
Propongo la sua storia ai miei studenti di Scienze umane perché vi trovino l’esperienza di un uomo che ha saputo trovare nella propria umanità le risorse per fermare il mostro che è in noi [per approfondire vedi La psicologia sociale].
In coda all’intervista, il video Dear Daddy: fa’ in modo che nascere femmina non si il più grande pericolo per me. Qui, la puntata di Fahrenheit, Se questo è un uomo del 18 gennaio 2017.
FIRENZE. “Ricordo ancora quella sera: avevo il coltello in mano e gridavo a mia moglie “ora ti ammazzo”. La bambina era lì che ci guardava. Eravamo in cucina, e il terrore nei suoi occhi e in quelli di suo fratello non posso dimenticarlo. Poi la loro paura, quando venivano a dormire da me, dopo la separazione, perché la mia violenza poteva esplodere in ogni momento, ed erano botte, urla, piatti rotti”.
Non essere prepotente. Non essere così emotiva. Non mangiare così tanto. Chissà che bella donna sarai stata da giovane.
Queste sono solo alcune delle frasi quotidiane ed ambigue, quando non propriamente sessiste, che tutte le donne si sentono rivolgere nella normalità del giorno per giorno. Ma quello che sfugge, a chi queste frasi le pronuncia, è lo spessore del “graffio” morale che comporta ascoltarle ripetutamente. Ed è una cosa che accompagna ogni donna nell’arco di tutte le sue età. Ed è proprio quest’aspetto che vuole sottolineare il video prodotto dall’Hufington Post americano e che raccoglie, dall’infanzia alla maturità, 48 commenti di donne: 80 anni si sessismo racchiusi in due minuti sono un bel riassunto, ma voglio essere soprattutto un bell’esempio (a cura di Nicola Perilli per DVideo, Repubblica).
Il sessismo della società americana nelle immagini pubblicitarie degli anni ’50
Il sito Business Pundit ha raccolto e commentato dieci immagini pubblicitarie degli anni ’50 – esemplificative della visione della donna prima della rivoluzione culturale del decennio successivo – nelle quali si evidenzia come il sessismo non fosse solo tollerato, ma atteso e incoraggiato attivamente.
La donna è raffigurata come un “angelo del focolare”, destinato all’unico ruolo di moglie devota, assolto peraltro con limitate capacità. Scorrono così davanti ai nostri occhi immagini di mariti che picchiano la moglie per non aver acquistato la miglior marca di caffé, la calpestano come uno zerbino, la consolano per aver bruciato la cena mostrandole una birra alla quale la sua inettitudine non può attentare, o la chiudono a chiave per «preservare la felicità coniugale».
Regaliamole un robot perché sappia almeno cucinare.
Istruzioni per il lavaggio: usare acqua calda, non impiegare varecchina, non stirare .. oppure datelo a vostra moglie è il suo lavoro.
Lasciate perdere, è troppo complicato per voi, chiedetelo a vostra moglie. A lei viene naturale, è naturalmente portata per la lettura delle etichette di MadHouse, fabbriche inquinanti con lavoratori sottopagati gestite da manager superpagati e fascisti.
“Homme, es-tu capable d’être juste ? C’est une femme qui t’en fait la question ; tu ne lui ôteras pas du moins ce droit. Dis-moi ? Qui t’a donné le souverain empire d’opprimer mon sexe ? Ta force ? Tes talents ? Observe le créateur dans sa sagesse ; parcours la nature dans toute sa grandeur, dont tu sembles vouloir te rapprocher, et donne-moi, si tu l’oses, l’exemple de cet empire tyrannique”.
“Uomo, sei capace di essere giusto? E’ una donna che te lo chiede; ma tu non le toglierai nondimeno il diritto di farlo. Dimmi: chi ti ha dato il diritto di opprimere il mio sesso? La tua forza? I tuoi talenti? Osserva il Creatore nella sua saggezza, passa in rassegna quella natura, alla quale sembri volerti ispirare, in tutta la sua grandezza e dammi, se l’osi, l’esempio del tuo impero tirannico”.
In the battle of the sexes, sparring over who should do the washing is nothing new – but according to the UK’s clothing company Madhouse — or at least their pants labels — domesticity is still a women-only club.
The label suggests typical instructions about temperature, bleach and drying, and such a nice option, “Or, Give it to your woman, it’s her job”.
The UK’s clothing company MadHouse is under fire now for producing ‘sexist’ washing instructions on a label. On a pair of beige chinos sold by Madhouse, the printed label states the standard washing instructions, which is then followed by “Or give it to your woman: It’s her job.”
The instructions were found by British technology writer Emma Barnett of the UK’s Telegraph. She noticed the label in her boyfriend’s pants while cleaning her apartment (sic, NDR).
Persepolis è un film d’animazione del 2007, candidato all’Oscar, basato sulla graphic novel autobiografica omonima. Il film è stato scritto e diretto da Marjane Satrapi, l’autrice delle memorie, e da Vincent Paronnaud.
La storia, narrata come un romanzo di formazione, inizia poco prima della Rivoluzione iraniana. Nel film viene mostrato, attraverso gli occhi di Marjane e di figure familiari significative – particolarmente la nonna e lo zio – la durezza del regime dello scià e la disillusione dalle speranze di cambiamento con la presa del potere dei fondamentalisti islamici. Il titolo è un riferimento all’antica città storica di Persepoli.
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