«La finanza è la protagonista indiscussa del capitalismo estrattivo. Ha infatti messo a punto sofisticati strumenti per fare profitti in ogni aspetto della vita sociale». Intervista di Benedetto Vecchi alla studiosa statunitense sulle tendenze emergenti dell’economia mondiale. Da Il Manifesto.it.
L’esclusione di parti rilevanti della popolazione mondiale dalla vita attiva è la triste realtà del presente e degli anni a venire. È la tesi di Saskia Sassen, sociologa della globalizzazione e delle città globali, distillata nei suoi ultimi due libri – Territorio, autorità, diritti (Bruno Mondadori) e Espulsioni (Il Mulino) -. E se il primo offre una riflessione sul rapporto dinamico tra globale e locale, il secondo analizza le caratteristiche del capitalismo estrattivo, categoria o figura delle tendenze emergenti dell’economia mondiale, dove l’espulsione di popolazioni dai luoghi dove hanno sempre vissuto e il land-grabbing (letteralmente, “accaparramento della terra”, nota mia) sono elementi di una pratica diffusa di appropriazione privata di ricchezze naturali, conoscenza.
L’intervento tenuto da David Harvey il 18 settembre scorso al Seminario annuale di EuroNomade a Passignano, sul capitalismo dello spossessamento (o accumulazione per espropriazione).
Harvey esordisce indicando l’intenzione di tracciare il quadro teorico del rapporto di accumulazione per spossessamento o capitalismo estrattivo.
Il capitale, nota Harvey, è un flusso che produce valore, surplus; un flusso che come già Marx aveva notato, si basa sulla metamorfosi costante denaro-merce-produzione, il cui momento cruciale era quello della produzione, cioè dello sfruttamento della forza lavoro.
In questo flusso circolano redditi – c’è il consumo borghese, ma anche quello operaio – e il blocco di questo flusso costante, che per il capitalismo deve essere continuo, è appunto la crisi. In questi momenti di blocco si manifestano delle contraddizioni. Una di queste contraddizioni, analizzata da Marx nei Grundrisse e nei libri I e I del Capitale, è quella tra produzione e realizzazione di valore. La tradizione marxista è stata sempre efficace nell’analizzare le contraddizioni della produzione di valore, meno nell’analizzare quelle della realizzazione.
Dalle enclosures delle terre comuni alla conquista coloniale. Alle contemporanee forme di «capitalismo estrattivo». Un saggio di Ugo Mattei sulla proprietà privata. La recensione di Giso Amendola uscita su Il Manifesto del 28 agosto 2014.
Il neoliberalismo contemporaneo è un grande consumatore di libertà, ricordava Michel Foucault durante quei corsi che, in presa diretta, provavano a capire cosa stava accadendo sul finire degli anni Settanta, quando la crisi del welfare state cominciava ad essere gestita in modo aggressivo da nuovi protagonisti. Consumare libertà significa evidentemente nutrirsene per il proprio funzionamento: ma, allo stesso tempo, controllarla e governarla continuamente, lasciandone ben poca. Nel suo recente «Senza proprietà non c’è libertà» (Falso!), uscito per la collana Idòla di Laterza (pp. 78, euro 9), Ugo Mattei sceglie come obiettivo polemico il dispositivo principale attraverso cui il liberalismo ha reso «consumabile» la libertà: la costruzione storica di un nesso, tanto stretto quanto menzognero, tra libertà e proprietà. Mattei, coi toni martellanti del pamphlet, mostra come, al contrario, la proprietà sia sempre servita a rimettere ordine contro le tentazioni di una libertà eccedente e a distruggere le possibilità di una libertà in comune.
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