Umberto Galimberti, Il corpo in Occidente

by gabriella

La nascita dell’anima nella tradizione occidentale.

Indice

1. La nozione di anima è greca. La tradizione giudaico-cristiana non la conosce
2. La comparsa dell’anima con Platone
3. L’uomo nell’epoca tragica dei greci
4. L’oltrepassamento cristiano del tragico e la nascita dell’Occidente

 

1. La nozione di anima è greca. La tradizione giudaico-cristiana non la conosce

Purtroppo noi veniamo da una tradizione che ci ha abituato a pensare che siamo composti da anima e corpo e questa persuasione non ci ha ancora abbandonato. Vedremo il vantaggio di pensarci in questa maniera. Ma da dove viene questo dualismo, questo modo di pensarci così lacerato?

antico testamentoNon dalla tradizione giudaico-cristiana. La tradizione giudaico-cristiana non ha nessuna consapevolezza e nessuna ideazione dell’anima. E’ nata, la nozione di anima, perché una parola aramaica [1:00], frequente nell’antico Testamento, la parola nefesh, è stata tradotta in greco con la parola psyché. E allora si è trascinata dietro tutta la cultura della psyché, cioè dell’anima, che la cultura greca aveva elaborato. Ma la tradizione giudaica non conosce l’anima, così come non la conosce la prima tradizione cristiana.

La parola nefesh va resa appunto con la parola anima. Vuol dire, di volta in volta cose diverse a seconda dei contesti. Si dice ad esempio in un Salmo:

«legarono la mia nefesh con dei ceppi e in catene misero le mie gambe»,

dove la nefesh è sostanzialmente la gola. Il popolo ebraico si lamenta con Dio che manda la manna e dice:

«la nostra nefesh [2:00] è nauseata».

Ancora una volta questa nefesh è la gola. Oppure ancora si dice che il lazireo, colui che si appresta a diventare sacerdote, non deve toccare la nefesh met degli animali. Nefesh met vuol dire “morto”, nefesh met, non si può dire l’anima morta, nefesh met vuol dire il cadavere degli animali, perché è impuro. Oppure si dice

«occhio per occhio, dente per dente, nefesh per nefesh», «occhio per occhio, dente per dente, vita per vita».

E ancora, non è scritto

«muoia Sansone con tutti i filistei, ma muoia la mia nefesh con tutti i filistei».

Bene, questa parola quindi non vuol dire anima nella modalità con cui la pensiamo, gli ebrei poi non avevano allora nessuna idea, né consapevolezza, né ipotesi circa la sopravvivenza dopo la [3:01] morte. Lo stesso criterio di giustizia per cui le colpe dei padri ricadono sui figli e poi sui nipoti fino alle settima generazione, era appunto perché non c’era una resa dei conti dopo a morte, una sorta di giudizio. E quindi c’era la trasmissione della pena per le colpe compiute. Ma anche i cristiani all’inizio non avevano nessuna consapevolezza dell’anima.

Paolo di Tarso

Paolo di Tarso (5-10 – 64-67)

Paolo di Tarso era convinto che i cristiani non sarebbero morti ma sarebbero stati assunti in cielo con il loro corpo. Poi da Corinto gli scrivono che alcuni cristiani sono morti. Lui da Roma parte, si imbarca e a un certo punto incorre in un naufragio. Giunge a Corinto, dopo essersi salvato e dice:

«si anch’io ho visto da vicino la morte [4:00] e allora, se anche i cristiani moriranno, risorgeranno»,

non con l’anima – dice Paolo – non usa la parola psyché Paolo, usa la parola soma pnéumatikos, oggi noi traduciano con un “corpo spirituale”, in realtà è pneumacki, pneumatico.

Pneuma, psyche sono parole greche. Però prima di Platone, soprattutto a partire da Omero, non c’è una concezione dell’uomo come anima e corpo. Queste due parole, soma che sta per corpo e psyché che sta per anima, compaiono solo in occasione della morte. Nel senso che la psyché, psychein vuol dire respirare, psyché è l’ultimo respiro e soma, ciò che resta [5:01] dopo l’ultimo respiro, si chiama soma, ma questo soma è sostanzialmente il cadavere.

Perché in Omero, l’uomo non è caratterizzato da anima e corpo ma è caratterizzato da un rapporto corpo-mondo, per cui quello che noi chiamiamo unitariamente corpo, in Omero viene rappresentato con tante parole, per cui Omero parla di guya che sono le gambe, di melea che sono le braccia, di frenes che è il diaframma, ritenuto l’organo del pensiero, tsymos, che è l’organo del sentimento. Ettore vede avanzare i cavalli di Midone kata frenès kai kata tsymon, col timo e col diaframma.

Benissimo, allora, se questa è la condizione, [6:00] è soprattutto in un contesto di questo genere, il corpo come concepito da Omero è un corpo non rappresentativo di quello che accade nell’anima, ma immediatamente espressivo. Che significa immediatamente espressivo? Che il corpo non rappresenta un moto dell’anima ma esprime immediatamente il suo rapporto con il mondo. Quando Ulisse torna a Itaca e inizia quella che conosciamo come la strage dei Proci, viene descritta come Ulisse che balza sul limitare, con i cenci che coprono i lombi, con le gambe agili e forti, il vasto petto, le larghe spalle, l’arco, la freccia, ecco questo atteggiamento corporeo è l’ira, non rappresenta l’ira, è l’ira.

Questo [7:00] scenario per cui il corpo è immediatamente espressivo e non rappresentativo, ricomparirà nel secolo scorso con la fenomenologia a cui ha fatto riferimento Diego Giordano, dove al rapporto anima/corpo si sostituisce il rapporto corpo-mondo.

 

 

2. La comparsa dell’anima con Platone

Platone (427 – 447 a.C.)

Quando compare l’anima? L’anima compare con Platone e compare per un’esigenza di conoscenza. Platone stabilisce che non possiamo fidarci delle informazioni che ci vengono dalle sensazioni corporee, per la semplice ragione che le sensazioni sono diverse da individuo a individuo.

Per cui se noi dovessimo fare affidamento alle sensazioni corporee per stabilire che cos’è vero, o che cosa conosciamo esattamente, in modo oggettivo e universale, se dovessimo fare affidamento a questo, non arriveremmo ad una.

Nel senso che i sensi ci ingannano, che il corpo muta o [8:00] si ammala, che il corpo si altera e di volta in volta, le informazioni che ci fornisce non consentono di costruire un sapere universale e oggettivo, valido per tutti. Se qui dovessimo stabilire se fa caldo o se fa freddo, se dovessimo fare riferimento alle nostre sensazioni corporee, avremmo tanti pareri quanti sono i nostri corpi, per cui Platone dice: il corpo non costituisce una base di conoscenza. Per avere una base di riferimento oggettivo dobbiamo fare riferimento alle idee e ai numeri. E qual è l’organo capace di pensare le idee e pensare i numeri? Dice Platone: l’anima.

Quindi l’anima viene introdotta, e questo mi importa molto, per pervenire a un sapere oggettivo, universale e valido per tutti. Questa è la ragione per cui Platone introduce la parola anima e la incarica di pensare per [9.00] idee e non per sensazioni, per numeri e non per impressioni. In questa maniera si costruisce un sapere oggettivo e valido per tutti.

Agostino d'Ippona

Agostino d’Ippona (354 – 430)

Questo scenario platonico, viene ripreso nel IV secolo dopo Cristo da sant’Agostino, il quale aveva una buna preparazione neoplatonica ed è lui a introdurre il concetto di anima nella tradizione cristiana. Preleva da Platone la nozione di anima, preleva da Platone la svalutazione del corpo, che diventa carne da redimere, città terrena, corruttibile, transeunte.

Preleva la nozione di anima, ma non la gioca nello scenario della conoscenza, ma la gioca nello scenario della salvezza [10:00] nel senso che l’anima diventa il luogo della mia identità e in questa maniera, essendo di natura semplice, non è suscettibile di corruzione e come tale è immortale. Nietzsche dice che questo è stato il colpo di genio del cristianesimo, ovvero aver garantito agli uomini l’immortalità e averli tolti da quella dimensione tragica che costituisce la cifra della grecità.

Platone

 

3. L’uomo nell’epoca tragica dei greci

I greci, che sono a mio parere il popolo più intelligente mai apparso nella storia, ritenevano che l’uomo fosse appunto mortale. E come tutte le cose che nascono, crescono e muoiono, così anche l’uomo. Tant’è che i greci, pur disponendo di due parole per dire uomo, la parola aner e la parola anthropos [11:00], non le usano quasi mai. All’epoca di Omero usano la parola brotos che vuol dire mortale, e all’epoca di Platone la parola thnetos, thanatos, mortale. I greci conoscono l’uomo come “il mortale”, donde la visione tragica del greco perché l’uomo non può vivere se non costruendosi un senso, costruendo un senso alla sua vita in vista della morte che è l’implosione di ogni senso. Questa è la dimensione tragica. Per cui il satiro può dire al re Mida

«dopo che ti ho spiegato queste cose, meglio per te non essere mai nato. La cosa migliore che ti possa augurare ora che sei informato intorno a queste cose, è di morire presto».

 

4. L’oltrepassamento cristiano del tragico e la nascita dell’Occidente

Bene, il cristianesimo, annunciando l’immortalità dell’anima, oltrepassa di gran lunga la dimensione tragica del greco e introduce nella cultura che [12:00] il cristianesimo fonda, che è poi la cultura dell’Occidente, una carica di ottimismo incredibile, perché se l’uomo non muore, se il futuro è sempre un futuro di speranza, se c’è un oltrepassamento della dimensione tragica, perché la costruzione di senso che ciascuno conferisce alla propria vita ha un testimone, allora la vita diventa qualcosa di positivo, qualcosa di ottimistico. Su questo tema torneremo alla fine, però ora noi riprendiamo la nostra discussione sul corpo.

 

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