La positività della massa in Elias Canetti. Valentina Sperotto, La struttura di Massa e potere

by gabriella

La positività della massa in Elias Canetti [tratto da I barbari]

operaiCanetti esplora un mondo che a noi moderni può apparire al rovescio giacché abbiamo concepito l’individuo come portatore di ordine, razionalità e progresso al contrario delle masse sempre viste come irrazionali e regressive. Questa prospettiva è completamente ribaltata dal filosofo che vede la massa come l’unico luogo in cui si concretizza la vera uguaglianza e l’umanità stessa. Canetti anziché il “singolo” ha come rifeimento la “specie” e quindi non è l’individuo che forma la massa ma l’esatto contrario. Individuo e Potere quindi diventano sinonimi facendo acquisire così il significato di male assoluto al potere. Solo fondendosi nella massa l’individuo riesce a spossessarsi del suo “IO” e cancellare la paura ancestrale di essere “toccato”, il grumo in cui si alligna il potere stesso creando distanza fra gli esseri umani.

Sconcerta la lettura di questo libro in cui apparentemente Canetti usa un metodo anarchico per sondare l’alchimia delle masse; preferendo affidarsi alle immagini, ai simboli, alle narrazioni, l’autore zigzaga tra i vari saperi che spaziano dalla sociologia alla antropologia, dalla psicologia alla mitologia, dalla storia alla filosofia alla etologia. Si analizzano aggregati dell’umano sentire come la pioggia, il vento, il mare, la sabbia,le feste le epidemie e da qui ricavarne assunti per approdare alla validità della massa sull’individuo.

muta di guerraE’ vero, questo è un lavoro che ha assillato l’autore per oltre trent’anni elaborando un’ossessione nata in gioventù all’età di 17 anni quando al giovane Canetti studente a Francoforte nel 1922 capita di assistere a una manifestazione di protesta contro l’assassinio di Walter Rathenau (ministro della repubblica di Weimar) grande intellettuale liberal-progressista ebreo, ammazzato da sicari dell’estrema destra. Quella fiumana di persone che protestano sprigiona in Canetti un magnetismo che mai più lo abbandonerà:

“Mi sarebbe piaciuto essere uno di loro, non ero un operaio, eppure quelle grida mi toccavano come se lo fossi. Il ricordo di quella manifestazione rimase vivissimo in me. Non riuscivo a dimenticare l’attrazione fisica, il violento desiderio di partecipare”.

7luglio60 Reggio Emilia la polizia spara agli operaiE poi nel 1927 l’altro episodio che lo porterà allo studio delle Masse e del Potere: Canetti è a Vienna, studente di chimica, quando legge sul conservatore Reichpost un titolo “Giusta sentenza” riferito all’assoluzione degli assassini di alcuni operai. Egli sente montare dentro di se una rabbia che non è indignazione civica da cittadino perbene, tantomeno livore ideologico; ma una reazione che lui definirà “animale” di fronte all’enormità dell’ingiustizia. In centro bruciava il Palazzo di Giustizia e la polizia sparò sugli operai facendo novanta morti. Scrive Canetti

“Inforcai la bicicletta e volai in centro che era in tumulto. Sento ancora nelle ossa la febbre di quel giorno, mi trasformai in un elemento della massa, la massa mi assorbì in sé completamente, non avvertivo in me la benché minima resistenza contro ciò che la massa faceva”.

Due esperienze che lo abitarono per sempre come un tarlo, un sortilegio, un enigma.

Un commento a Elias Canetti [Masse und Macht, Claassen Verlag, Hamburg 1960 tr. it. di F. Jesi, Massa e potere, Elias CanettiAdelphi, Milano 1981] uscito sul Giornale Crtitico di Storia delle Idee.

Elias Canetti scriveva nel primo volume della sua straordinaria autobiografia

«Le nostre paure non vanno mai perdute, anche se i loro nascondigli sono misteriosi»1.

La paura è anche il punto di partenza di Massa e potere:

«tutte le distanze che gli uomini hanno creato intorno a sé sono dettate dal timore di essere toccati»2.

La massa rappresenta l’unica situazione in cui viene meno il timore di essere toccati da qualche cosa di estraneo. La massa è segnata dal capovolgersi del timore originario, i corpi si avvicinano e si serrano l’uno all’altro per formare una massa densa che si costituisce come un unico corpo formato da molti. Canetti analizza in questo testo la massa in tutte le sue forme e caratteristiche, la esamina nella sua evoluzione storica e nei suoi aspetti psicologici, infine si sofferma lungaMassa e poteremente ad approfondire il suo rapporto con il potere (rapporto in cui entra in gioco, nuovamente, la paura).

La massa secondo Canetti presenta alcune caratteristiche fondamentali: essa è naturalmente tesa ad accrescersi, questo comporta che la sua naturale configurazione sia quella della massa aperta, sulla quale però pende il rischio della disgregazione; viceversa la massa chiusa è la massa che si serra e s’insedia, trova una propria sede, uno spazio cioè che riempirà, guadagnando in durata ciò che perde in possibilità di accrescimento.

Il momento della scarica è l’evento più rilevante che avviene all’interno della massa. Esso consiste nella liberazione di ogni differenza tra i componenti della massa che si sentono da quell’istante in poi uguali tra loro indipendentemente dalle differenze che esistevano tra loro in precedenza. Alla scarica sono legati i fenomeni della distruzione delle immagini, come le statue simboliche esposte nelle piazze, ma anche della distruzione di porte e vetri degli edifici, atti volti a distinguere i segni esteriori delle gerarchie. La distruzione dei limiti imposti si estende velocemente alla massa stessa che, dominata dalla spinta all’accrescimento, nel momento dello scoppio si trasforma da massa chiusa a massa aperta tentando di raggiungere e coinvolgere il maggior numero di persone possibile. Lo scoppio è legato alla caratteristica della concentrazione, ovvero della tendenza della massa ad espandersi senza essere interrotta da nulla. Ultimo elemento fondamentale che la caratterizza è la necessità di una direzione, poiché la presenza di una meta porta al movimento collettivo scongiurando il pericolo della disgregazione che pende sempre su di essa. Crescita, eguaglianza, concentrazione e direzione sono le caratteristiche fondamentali che caratterizzano le masse. Canetti introduce un’ultima distinzione fondata sul ritmo: esistono masse statiche, ovvero masse che attendono qualche cosa, mancando ancora la certezza della propria unità la massa statica rimane calma il più a lungo possibile, salvo poi scaricare l’eccesso della statica nelle grida che sono la voce stessa della massa, e masse dinamiche, ovvero masse in movimento.

Canetti fa seguire una distinizione dei vari tipi di masse in base alla loro classificazione affettiva che si apre con un’analisi delle masse aizzate, antichissima forma di massa comune a uomini e animali che si forma in vista di una meta velocemente raggiungibile, caratterizzata dalla schiacciante superiorità della massa rispetto alla vittima designata. Seguono le masse in fuga, caratterizzate dalla forza della direzione e da un legame tra i membri che dura fino al momento disgregante del panico, le masse del divieto ovvero masse negative costituite dalla resistenza il cui esempio più chiaro è lo sciopero; le masse di rovesciamento che coinvolgono l’intera società connotata dalla stratificazione dei suoi membri in classi e il cui esempio fondamentale sono le rivoluzioni. Da ultimo vengono le masse festive, prive di meta comune e di scarica poiché la meta è la festa stessa caratterizzata dal rilassamento di chi vi prende parte. Fondamentale per il mantenersi della massa nel tempo è l’esistenza di una seconda massa a cui contrapporsi, si creano così le masse doppie in cui la tensione fra i due gruppi genera pressione all’interno di ciascuno che ne assicura la compattezza e la conservazione, poiché, come si è visto, l’impulso più profondo di una massa è proprio quello di non disgregarsi e l’esistenza di una minaccia funge da elemento aggregante. Nel caso delle guerre le masse doppie sono tra loro doppiamente intrecciate: da un lato l’esistenza di ciascun gruppo dipende dalla minaccia che l’altro gruppo costituisce, d’altra parte però la meta di ciascuno dei due gruppi è la distruzione dell’altro gruppo. La paura della morte vissuta come condanna collettiva è un elemento chiave per la comprensione dei meccanismi di massa che entrano in gioco nelle guerre:

«lo scoppio di una guerra è innanzitutto lo scoppio di due masse. Una volta costituita, ciascuna di tali masse si preoccupa essenzialmente di durare nell’atteggiamento e nell’azione, il cui abbandono significherebbe una rinuncia alla vita stessa. La massa bellica agisce sempre come se tutto all’esterno di essa fosse morte»3.

Esiste un tipo particolare di massa, il cristallo di massa, che è costituito da un gruppo durevole di persone addestrate nelle loro attività e nel loro modo di concepire le cose. Il cristallo di massa è diverso dalla massa chiusa poiché mentre quest’ultima, come si è detto, è spontanea e solitamente limitata spazialmente (raggruppata in una piazza ad esempio), il limite del cristallo di massa è costituito dagli stessi membri che lo compongono, ciascuno avente una propria funzione (laddove evidentemente in una massa spontanea non è possibile ripartire alcuna funzione tra i membri). Il cristallo di massa da un lato è duraturo, in quanto gruppo irrigidito esso può sempre riaffiorare ed essere riattivato, inoltre esso ha, in alcuni casi, la capacità di contribuire alla formazione delle masse.

Elementi non secondari dell’analisi di Canetti sono i simboli della massa, vale a dire quelle unità collettive che non sono costituite da uomini e che tuttavia vengono sentite come masse. La ragione per cui Canetti si sofferma su questi simboli è che essi gettano una nuova luce sulla nostra capacità di comprendere le masse. Così Canetti parla del fuoco che

«è dappertutto uguale; dilaga rapidamente; è contagioso e insaziabile; esso può nascere ovunque, fulmineamente; è molteplice; è distruttore; ha un solo nemico; si estingue: agisce come se fosse vivo, e così viene trattato»4,

tutte queste sono anche caratteristiche proprie della massa. Così sono simboli delle masse il mare, la pioggia, il fiume, la foresta, il grano, il vento, la sabbia, i mucchi, il mucchio di pietre e il tesoro, ciascuno con caratteristiche proprie che rispecchiano quelle della massa.

Dopo questa prima parte in cui a poco a poco emergono caratteristiche e elementi costitutivi delle masse, Canetti approfondisce quella che è l’origine della massa stessa. La forma arcaica da cui tanto le masse quanto i cristalli di massa derivano è la muta. La muta è una forma di eccitazione collettiva che si trova ovunque, essa non può crescere in quanto non ci si può unire ad essa. Al suo interno il singolo non si perdeva come accade al singolo oggi di perdersi nelle forme moderne della massa. Rispetto alla massa gli elementi di crescita e concentrazione sono secondari se non addirittura fittizi, mentre essa è caratterizzata in maniera effettiva e più decisa rispetto alla massa dall’uguaglianza tra i membri e dall’orientamento. Il fatto che il numero dei suoi membri sia ridotto e che essi tra loro si conoscano personalmente la rende meno soggetta alla disgregazione rispetto alla massa. La muta è

«un’unità di azione e si manifesta in modo concreto. […] La muta è la più antica e la più limitata forma di massa umana, quella che precedette tutte le masse nel moderno significato della parola»5.

Come la massa, anche la muta si distingue in diversi tipi: la muta di caccia, quella di guerra, la muta del lamento e la muta di accrescimento. La più antica è certamente la mutmuta di accrescimentoa di caccia il cui scopo è l’uccisione di una preda, essa diviene muta di ripartizione una volta che la preda è stata uccisa ed è necessario che venga equamente suddivisa tra i componenti.

La muta di guerra si forma qualora esista un’altra muta a cui contrapporsi (come nel caso della massa doppia per quanto riguarda la guerra), tuttavia nella sua forma più antica la vittima che perseguita è una sola, solitamente si tratta di vendetta, in questo caso essa si avvicina molto alla muta di caccia.

Quando un membro del gruppo muore si forma la muta di lamento, mentre quando il gruppo ha bisogno di accrescersi o ha bisogno che aumentino entità cui essa è collegata quali animali o piante, si forma la muta di accrescimento, spesso sotto forma di danze cui è attribuito un determinato significato mitico. È in particolare degno di nota il fatto che, secondo Canetti, in epoche primordiali quando la differenza tra uomo e animale non era così nettamente tracciata qual è ora, in metamorfosi successive l’uomo stesso si è identificato con altri animali, sperimentando cosa voleva dire essere in molti. In questo modo aumentò la sua coscienza di che cosa significava vivere in piccoli gruppi, dell’isolamento che da questo conseguiva, pertanto

« non c’è dubbio che l’uomo, non appena fu tale, volle essere in maggior numero. Tutte le sue credenze, i suoi miti, i riti e le cerimonie, contengono tale aspirazione »6.

Si è notato che una muta di guerra, in caso sia rivolta contro una sola persona, tende ad assimilarsi ad una muta di caccia, così se viene meno un membro del gruppo la muta diviene muta di lamento e così via, tutte le mute tendono a trasformarsi l’una nell’altra, è addirittura possibile dire che ogni muta ha un “negativo” nel quale può tramutarsi. Il fenomeno del capovolgimento delle mute si ritrova in diverse sfere dell’agire umano e alcuni di questi capovolgimenti si sono definiti in modo stabile acquisendo un particolare significato tanto da farsi vero e proprio rituale perennemente ripetibile. Tali capovolgimenti

«sono il vero e proprio contenuto, il nucleo, di tutte le fedi importanti» tanto che «l’ascesa delle religioni mondiali può essere spiegata dalla dinamica delle mute e dai particolari rapporti di trasmutazione fra una muta e l’altra»7.

Come in precedenza Canetti supporta questa sua affermazione con una serie di esempi che vanno dalle analisi di Mary Douglas sulla popolazione dei Lele in Congo, all’Islam al Cristianesimo, queste analisi non si limitano a supportare la tesi principale, ma la arricchiscono di senso, consentono di mettere in evidenza i diversi modi in cui si declina quanto sostenuto. La ricchezza del materiale da cui attinge Canetti e che ci viene riferito in questo come nei capitoli precedenti e successivi è il segno della lunga maturazione dell’opera, della riflessione e dell’indagine sul tema della massa e del potere ad ampio raggio, a partire da quelle esperienze significative della massa da lui vissute nel 1922 a Francoforte e nel 1924 a Vienna (entrambe descritte nella sua autobiografia) e che gli rivelarono l’enigmatico potere che la massa ha rispetto al singolo, oltre che l’insufficienza di tutte le riflessioni e le indagini fino ad allora condotte sul tema.

La parte seguente, intitolata Massa e storia, è dedicata alle nazioni che Canetti tratta e considera come se fossero religioni, poiché come queste ultime

«esse hanno la tendenza ad acquistare veramente, di tempo in tempo, quella condizione. Un’attitudine in questo senso è sempre latente; in tempo di guerra le religioni nazionali si acutizzano in modo particolare»8.

Il tratto principale che rende tali le nazioni è il fatto che gli appartenenti ad una nazione non si considerin mai soli, essi infatti si rapportano a una maggiore unità e questa è sempre una massa o un simbolo di massa. Così se il simbolo legato agli inglesi è il mare 9, simbolo dei tedeschi è l’esercito che a sua volta è la foresta che cammina10, così per i francesi è la Rivoluzione11 e così via.

Canetti dedica poi molte pagine all’analisi della situazione della Germania in seguito alla pace di Versailles e a quel particolare evento che è l’inflazione per una massa. Difatti, l’inflazione colpisce la moneta, che è di per sé un importante simbolo di identificazione:

«la sua consistenza metallica, la sua durezza le assicurano una durata “eterna”; essa non è distruttibile – tranne che dal fuoco»12,

essa si ricollega al simbolo del mucchio e a quello del tesoro. Svalutazione della moneta significa svalutazione dell’individuo che contava sulla sua unità e svalutazione della massa poiché il milione (numero-simbolo legato al denaro scaturito dal tesoro) viene svalutato.

L’analisi poi prosegue prendendo in considerazione il sistema parlamentare bipartitico, caratterizzato dalla rinuncia alla morte come strumento di decisione, e al problema della giustizia, considerata dal punto di vista della ripartizione e della produzione, che a sua volta è legata alla muta di accrescimento.

«L’uomo moderno» scrive Canetti riflettendo su questo tema «ha oggi con la produzione questo stesso rapporto. Le macchine sono in grado di produrre più di quanto chiunque avrebbe potuto sognare in passato. Esse permettono a ogni moltiplicazione di crescere in modo terrificante. […] Ci sono sempre più cose che si sa come adoperare; e mentre le si usa, nascono nuovi bisogni»13.

Questo fa si che i paesi capitalistici diano luogo ad una inarrestabile moltiplicazione in ogni direzione, mentre nei paesi in cui sono impediti i grandi accumuli di capitale nelle mani di un singolo

«i problemi della ripartizione fra tutti si pongono teoricamente sullo stesso piano d’importanza a fianco di quelli dell’accrescimento»

proprio perché vi è un rapporto originario e inscindibile, tipico della muta di accrescimento, tra l’aumento del numero di uomini e aumento di tutto ciò che è loro necessario per vivere.

Si chiude quindi la prima parte dedicata alla massa e si apre la seconda in cui Canetti analizza il potere.

Questa seconda parte si apre riprendendo nuovamente l’elemento iniziale del contatto e della paura che esso suscita in quanto

«il contatto provocato dal toccare preannuncia l’assaggio»14,

ovvero il contatto evoca i più antichi terrori dell’uomo. Il rapporto di forze che si crea fra chi tocca e chi viene toccato fa si che a seconda della durata della resistenza suscitata esso possa avere diversi gradi. Diversi gradi del contatto sono i diversi gradi dell’afferrare che può divenire anche schiacciare o sfracellare. Poiché però il vero atto dell’incorporare inizia dalla bocca sono i denti

«il più evidente strumento di potere che uomini e moltissimi animali portano in sé»

tanto che essi

«possono essere considerati come il primo ordinamento, il quale esige formalmente un riconoscimento più generale; un ordinamento che funge da minaccia verso l’esterno , che non è sempre visibile, ma che appare alla vista ogniqualvolta la bocca si apre»15.

serpente e uccellinoLa minaccia dell’incorporazione è così la caratteristica fondamentale del potere. Il potente, infatti, considera gli altri uomini come a sé sottoposti, li considera alla stregua di animali, di un gregge, e il suo scopo sarà quello di sfruttarli, incorporarli, anche quando egli negherà di sfruttare e “digerire” i suoi sudditi.

L’afferrare e il mangiare sono le azioni originarie del potere, ma l’istante della potenza vero e proprio è l’istante del sopravvivere. A tale istante corrisponde una forza incomparabile, la sensazione di essere un eletto, l’unico sopravvissuto tra molti che hanno invece avuto un destino comune. La forza deriva dalla consapevolezza di essere ancora vivi, e poiché il sopravvissuto è l’unico ad esserlo tra molti, egli si sente in qualche modo migliore. Alla sopravvivenza sono legati tutti i desideri d’immortalità, mentre nella sua forma più semplice essa consiste nell’uccidere. Colui a cui capita di sopravvivere più volte è considerato un eroe. Il piacere di sopravvivere è tale che può persino divenire pericoloso e insaziabile, una passione morbosa, quella che spesso muove gli eroi e i condottieri. Ma non è sempre necessario che il singolo metta in pericolo se stesso per sopravvivere: il comandante non sempre entra in battaglia, spesso il suo compito è quello di prendere le decisioni da cui dipende il suo esito; se la battaglia sarà vinta sarà il comandante ad appropriarsi dell’esito della battaglia e dei morti.

La morte è il pericolo supremo e in quanto tale il potente per eccellenza è colui che dispone del diritto di vita e di morte sugli altri individui. La morte è certamente quella che il sovrano infligge o può infliggere, generando terrore nei suoi sudditi, ma il verso della paura si ribalta nel momento in cui qualcuno si sottrae alla sentenza del sovrano: il potente è così immediatamente in pericolo. Tale angoscia del pericolo aumenta man mano che i suoi comandi vengono eseguiti poiché le sue vittime, anche se non si sono apertamente schierate contro di lui, avrebbero potuto farlo. L’inganno di ogni capo è così quello di farsi precedere dalla morte:

«il capo vuole sopravvivere, e perciò si rafforza. Quando egli ha dei nemici cui sopravvivere tutto va bene; altrimenti, sopravvivrà alla sua stessa gente. In ogni caso egli si serve degli uni e degli altri, alternativamente o simultaneamente»16.

Considerando la questione della sopravvivenza dal punto di vista di colui cui viene già riconosciuto il potere il sopravvivente gli è naturalmente avverso poiché guasta l’immagine del potente come unico in grado di sopravvivere; inoltre nel caso si tratti del successore (in linea dinastica), ovvero colui che gli sopravvivrà, si instaura tra i due un aspro rapporto di odio, il più giovane desidera infatti ardentemente la morte di colui che meno di tutti vorrebbe morire.

La sopravvivenza va poi considerata nelle sue diverse forme: come mito dell’origine in primis, la generazione di una discendenza, effettivamente, presso moltissime culture dipende dalla sopravvivenza ad un evento catastrofico di una sola coppia da cui avrà origine l’intera stirpe.
In secondo luogo vanno considerate le epidemie, queste producono lo stesso risultato finale di catastrofi come un terremoto, ma il loro effetto, invece che essere immediato, è cumulativo, esse durano nel tempo dando luogo a poco a poco all’accumularsi dei cadaveri e rendendo gli uomini testimoni del progredire della morte. Contrario all’epidemia è invece il suicidio di massa in cui la morte è rivolta contro la propria gente affinché nessuno cada nelle mani del nemico.

Vi è poi la sopravvivenza come timore dei morti: i morti sono coloro cui altri sopravvivono, per questo i vivi temono la loro invidia e da questo dipende spesso la formazione di mute di lutto volte a placare risentimento del morto, in alcuni casi tali mute si trasformano in vere e proprie forme di culto degli antenati.

il sentimento del cimiteroDi fronte al mucchio di cadaveri, ai morti sul campo di battaglia o alla schiera delle tombe in un cimitero il sopravvissuto, unico a camminare tra coloro che giacciono defunti, prova quello che Canetti definisce il sentimento del cimitero, una soddisfazione segreta.

Alla fine di questa parte dedicata alla sopravvivenza Canetti dedica un paragrafo alla scelta di Stendhal: lo scrittore invece che mirare all’immortalità in forma di sopravvivenza fisica preferì l’immortalità dei suoi scritti. In tal modo egli scelse di appartenere alla schiera di

«coloro che furono ne tempi trascorsi, e la cui opera ancora vive – coloro che parlano ancora a qualcuno, e delle cui opere ci si nutre»17.

Questo esempio che Canetti sceglie è volto a mostrare come sia possibile concepire la sopravvivenza in un modo che non comporti il sacrificio degli altri, che sopravvivere non sia la situazione da cui uno trae vantaggio e che vede gli altri soccombere. La sopravvivenza di Stendhal come degli altri grandi scrittori e pensatori è volta a favore dei vivi.

Restano poi da analizzare alcuni elementi del potere: la forza, la velocità, la domanda, il segreto, e le sentenze di condanna o grazia. Per quanto riguarda la forza essa è più pressante e immediata del potere (che rispetto ad essa è più generale e ampio), e si trasforma in esso solo quando dura a lungo, d’altra parte nei momenti decisivi il potere si trasforma nuovamente in forza.

Quanto a domanda e segreto si tratta di due aspetti collegati. La domanda significa sempre agire per penetrare secondo Canetti e può essere usata come mezzo di potere. Sono, infatti, le peggiori tirannidi quelle in cui colui che detiene il potere può porre le domande più pressanti. Viceversa il nucleo più interno del potere è il segreto, il potere del silenzio, mentre colui che viene interrogato dal potente è obbligato a rispondere, pena la tortura, il potente può tacere. Il silenzio isola, ancora una volta il potente è unico e distaccato rispetto agli altri, la singolarità di colui che detiene il segreto – o dei pochi che lo detengono – ha come conseguenza la concentrazione (ossia il rapporto tra coloro che il segreto colpisce e coloro che lo custodiscono) . Così «buona parte dell’autorità di cui godono le dittature deriva dal fatto che si accorda loro la forza concentrata del segreto, ripartita su molti ripartita su molti e rarefatta nelle democrazie.»18 L’apoteosi e la glorificazione del segreto ha luogo quando gli uomini sono disposti a fare e sopportare molte cose se sono loro imposte con energia e in segreto, anche se d’altra parte, i segreti sono destinati ad essere fatali tanto per chi li detiene quanto per chi ne è colpito.

Il potere, come si è detto, corrisponde anche alla facoltà di condannare o graziare gli altri, ma è anche e innanzitutto potere di dare comandi. L’ordine è ciò che suscita una determinata azione nell’istante in cui viene pronunciato. All’origine del comando vi è qualche cosa di estraneo che dev’essere considerato più forte da colui che obbedisce, vi è la paura, la paura del tocco, poiché solo chi è in grado di vincere (sull’altro) comanda. Canetti definisce spina che compare in seguito all’esecuzione dei comandi poiché l’azione eseguita in seguito ad un comando è estranea rispetto a chi la esegue, essa deriva da una pressione esterna. Delle spine si può dire che esse, come le nostre paure e in un certo senso spesso legandosi ad esse se non suscitandole, che

« non vanno mai perdute, anche se i loro nascondigli sono misteriosi».

Così il comando si imprime in colui che lo esegue in forma di spina e «la profondità e la durezza con cui esso si imprime dipendono dall’energia con cui è stato impartito, dalla forma che di volta in volta assume, dalla sua preponderanza e anche dal suo contenuto. Esso perdura come qualche cosa di isolato»19. Libero sarà allora solo l’uomo che ha imparato a non eseguire gli ordini, colui che opponendosi all’impulso di eseguire il comando evita anche la spina ad esso conseguente.

C’è però una situazione in cui al comando non corrisponde una spina, ed è quando il comando viene rivolto alla massa, poiché sulla massa si diffonde orizzontalmente (non verticalmente come da comandante a sottoposto), l’angoscia, la paura, non è più quella vissuta dal singolo, ma un’angoscia contagiosa che passa dall’uno all’altro e che di dissolve al dissolversi della massa.

Canetti prende anche in considerazione un aspetto generalmente poco studiato del potere: la metamorfosi. La metamorfosi è invece un momento originario del potere, essa è quella che gli ha procurato il potere sulle altre creature, ma anche per sfuggire agli inseguitori. In particolare l’uomo attraverso le sue esperienze mitiche quale animale ha imparato a usare gli animali come più gli conviene e le sue metamorfosi a poco a poco sono diventate simulazioni, l’uomo è diventato signore degli animali potendo diventare altro pur continuando ad essere se stesso. Tuttavia a poco a poco la fluidità delle figure della metamorfosi vanno irrigidendosi nella maschera. La maschera stessa però che pone una distanza tra gli individui minaccia l’altro con il segreto che si nasconde dietro di lei.

La metamorfosi, fluida e continua, è determinata dall’influenza di un uomo sull’altro, nel momento in cui la metamorfosi viene proibita, compresa la metamorfosi che ha luogo con il mutar d’espressione del volto, il divieto deriva dalla necessità di autonomia dell’uomo, che fa del proprio volto una maschera e che vieta a tutti l’accesso – e dunque l’influsso – sul proprio animo.

Le relazioni di potere, e dunque l’influsso che colui che lo detiene esercita sugli altri, sono evidenti non solo dal mutamento originario dell’espressione del volto a causa dell’emozione suscitata, ma anche dalla posizione del corpo. Le posture del corpo non solo assumono un valore simbolico, ma Canetti mette in evidenza come tale valore dipenda dalle caratteristiche della posizione stessa (ad esempio lo stare in piedi è manifestazione di autonomia, lo stare seduti di distinzione e così via). Coloro che adeguano anche la propria posizione fisica al potente sono innanzitutto i componenti della sua corte. La corte è un cristallo di massa costituito dalle persone fedeli al potente che sempre lo circondano, ed è la corte che orienta, anche fisicamente, tutti coloro che si avvicinano al sovrano.

A seconda del tipo di potere di cui si tratta la corte e la massa manifesteranno nei suoi confronti diversi tipi di atteggiamenti, colui che mira alla celebrità raccoglie cori, vuole dunque solo essere gratificato dall’udire altri ripetere il proprio nome; colui che mira alla ricchezza è interessato solo a raccogliere mucchi e branchi, dunque non direttamente a suscitare atteggiamenti nella massa, quanto piuttosto a poter comprare gli uomini; in fine il potente, colui che ricerca il potere, raccoglie uomini allo scopo di farsi precedere o accompagnare da essi nella morte e poiché ciò che conta di più per ogni potere è di non passare, al potente non importa di coloro che sono morti prima di lui o che devono ancora nascere, ciò che conta è la propria sopravvivenza, la propria immortalità.

Prima dell’Epilogo Canetti dedica un capitolo al rapporto tra Sovranità e paranoia, a sua volta legato al rapporto massa e paranoia che emerge in più momenti nel corso dell’analisi. In particolare è fondamentale la sensazione di essere circondati da una muta di nemici, evidente in particolare nelle visioni di occhi, ma anche nelle visioni di masse d’insetti che caratterizzano il delirio. L’elemento rilevante che accomuna paranoia e potere è

«il desiderio di sopprimere gli altri per essere l’unico, oppure, […] il desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro aiuto»20.

Questo è anche il punto cruciale del potere: il rapporto con l’altro è quello esclusivo della sopravvivenza, dunque della negazione dell’altro, così nella massa gli individui riescono a superare il naturale timore del contatto con l’altro solo in quanto la molteplicità dei corpi diviene un solo corpo. Il corpo della massa a sua volta mette in atto un meccanismo comprensibile solo alla luce dello scopo stesso per il quale essa si è formata (ovvero il potere della molteplicità degli individui che ne fanno parte consente loro di conseguire scopi che altrimenti il singolo non potrebbe raggiungere). Altrimenti è il timore che l’altro suscita a dominare e con esso la distanza tra gli individui, ma solo facendo i conti con il rapporto tra il potere del sopravvissuto e la massa stessa, risultano chiari i meccanismi alla base del potere.

Canetti, dopo aver analizzato la massa e il potere separatamente e l’uno in relazione all’altra osserva che l’epoca delle mute del lamento sta tramontando insieme alla perdita della presa delle grandi religioni, mentre, per quanto possano continuare a originarsi guerre e conflitti armati, si è visto che è la muta di accrescimento a essere schiacciante rispetto ad esse, tanto da aver subordinato la tendenza alla guerra. Tuttavia è fondamentale, per comprendere la nostra epoca, il fatto che se la smania di accrescimento è certamente l’elemento dominante, non è per questo diminuito il valore di ogni singolo. Anzi, il desiderio di indistruttibilità è divenuto legittimo, ognuno è persuaso di non dover morire e ai propri stessi occhi degno di lamento. Ciò che però cambia radicalmente rispetto al passato è la situazione del sopravvissuto, questi, infatti, con le nuove armi può sempre essere raggiunto,

«i potenti oggi tremano in modo diverso per la propria vita, come se fossero uguali agli altri uomini»21.

Così, se da una parte il potere che il sopravvissuto detiene è decisamente più grande, oggi esso è anche più fuggevole. Le nuove armi implicano d’altra parte che il potente sia più pericoloso, che con le sue decisioni ne va della sopravvivenza di tutti, poiché egli, come il paranoico, non si cura del resto dell’umanità, si sente piuttosto egli solo contro tutto il mondo. La via che indica Canetti è dunque trovare il punto debole del sopravvissuto, l’unico modo per essere liberi è di togliere la spina al potente, essere in grado di scovarla per sottrarsi all’angoscia, quell’angoscia che, dopo i conflitti mondiali, non risparmia nemmeno il potente. Riuscire a scovare e sottrarre la spina a chi detiene il potere poiché scegliere l’isolamento creativo resta ancora, come ai tempi di Stendhal, una soluzione per pochi.

1. E. Canetti, Die gerettete Zunge, Geschichte einer Jugend, 1977 Zurich published by arrangement with Carl Hanser Verlag Munchen Wien tr. It. Di A. Pandolfi e R. Colorni, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Adelphi, Milano 1980 p. 77

2. Elias Canetti, Masse und Macht, Claassen Verlag, Hamburg 1960 tr. it. di F. Jesi, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981 p. 17

3. Ivi, p. 86

4. Ivi, p. 92

5. Ivi, p. 113

6. Ivi, p. 130

7. Ivi, p. 154

8. Ivi, p. 202

9. «l’inglese si vede comandante con un gruppetto di uomini su una nave, tutt’intorno e sotto di lui il mare [] L’inglese va a prendersi sul mare le sue catastrofi. I suoi morti lo fanno pensare spesso al fondo marino. Così il mare gli presenta metamorfosi e pericolo. La sua vita a casa è modellata in modo complementare al mare…» ivi. pp. 204-205

10. «La rigidità e il parallelismo degli alberi ritti, la loro densità e il loro numero riempiono il cuore tedesco di gioia profonda e segreta…» ivi, p.206

11. «il senso di massa della Rivoluzione si esprime in un movimento concreto, in un concetto concreto: la presa della Bastiglia..» ivi, pp. 207-208

12. Ivi, p 219

13. Ivi, p. 230

14. Ivi, p. 244

15. Ivi, pp. 248-249

16. Ivi, p. 290

17. Ivi, p. 335

18. Ivi, p. 357

19. Ivi, p. 389

20. Ivi, p. 561

21. Ivi, p. 570

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