L’apprendimento: storia, teoria e clinica

by gabriella

L’apprendimento, cioè la capacità di un organismo vivente di essere modificato da un evento è, insieme alla percezione, uno dei primi processi cognitivi ad essere studiato dalla psicologia scientifica, tanto che i primi trent’anni di storia della disciplina possono essere studiati attraverso gli esperimenti e le scoperte in questo campo di studi.

In questo testo esaminiamo i diversi tipi di apprendimento e le scelte interpretative delle scuole comportamentiste, cognitiviste e gestaltiste, con le loro prime applicazioni al trattamento della fobia, dell’ansia e della depressione.

Indice

1. L’apprendimento in psicologia
2.
I comportamenti di risposta

2.1 L’assuefazione
2.2 La sensibilizzazione
2.3 L’imprinting
2.4 Il riflesso condizionato

 

3. Il riflesso condizionato e il condizionamento classico

3.1 Il contesto delle ricerche sul riflesso condizionato
3.2 La scuola russa e il condizionamento classico

 

4. I comportamenti operanti

4.1 L’apprendimento per prove ed errori
4.2 Il condizionamento operante
4.3 Le implicazioni sociali degli studi sull’apprendimento
4.4 L’apprendimento per osservazione

 

5. Gli apprendimenti cognitivi

5.1 Verso il cognitivismo: le mappe cognitive
5.2 L’insight e il contributo della Gestalt agli studi sull’apprendimento

 

6. Le implicazioni cliniche degli studi sull’apprendimento: fobie, ansia e depressione

6.1 Condizionamento classico e fobie
6.2 La depressione e l’impotenza appresa
6.3 Contiguità e superstizione

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Esercitazioni: Kahoot 1

 

1. L’apprendimento in psicologia

L’apprendimento è un processo attraverso cui un organismo vivente è modificato, più o meno definitivamente, da ciò che accade nel suo ambiente circostante e da ciò che fa.

Gli apprendimenti non sono tutti uguali, ma differiscono per la loro complessità e per le strutture cerebrali che chiamano in azione.

Alcuni apprendimenti semplici, ad esempio, sono acquisiti dall’individuo in modo automatico e inconsapevole (attivano la parte più antica del cervello: il sistema limbico o il cervello rettiliano), mentre altri  richiedono l’organizzazione cognitiva dell’informazione (attivano la neocorteccia, la parte più recente ed evoluta del cervello, assente nelle specie animali inferiori).

In questo quadro, è possibile distinguere tre categorie di comportamenti che si distinguono per il livello di complessità e di coinvolgimento dell’organismo durante il processo di apprendimento:

  1. I comportamenti di risposta
  2. I comportamenti operanti
  3. I comportamenti che richiedono un’organizzazione cognitiva dell’informazione.

 

2. I comportamenti di risposta

Nei comportamenti di risposta, l’individuo subisce passivamente l’impatto dell’ambiente ed è portato in modo involontario a modificare la propria risposta ad alcuni stimoli.

Gli apprendimenti di risposta sono, in ordine di complessità (crescente):

  1. l’assuefazione,
  2. la sensibilizzazione,
  3. l’imprinting,
  4. il riflesso condizionato.

 

2.1 L’assuefazione

assuefazione

Il processo di assuefazione avviene quando l’individuo impara a non reagire a stimoli irrilevanti per l’azione che si sta compiendo: ad esempio, nel tragitto a piedi da casa a scuola, impariamo a non sentire il forte rumore del traffico, mentre restiamo capaci di sobbalzare per il rumore, potenzialmente pericoloso, di un mezzo che si avvicina a grande velocità.

 

2.2 La sensibilizzazione

goccia

sensibilizzazione

Viceversa, il processo di sensibilizzazione avviene quando durante una determinata azione impariamo a percepire uno stimolo di per sé irrilevante: ad esempio, se siamo in cucina a prepararci un panino non percepiamo il rumore della goccia che cade da un rubinetto che perde, ma ne diventiamo capaci (per attivazione del nostro organismo) se siamo in cucina a studiare e abbiamo bisogno di concentrazione.

 

2.3. L’imprinting

Konrad Lorenz con l’oca Martina

L’imprinting è un comportamento di risposta, particolarmente studiato in etologia (scienza che studia il comportamento animale), che si verifica in certi periodi critici quando si è predisposti biologicamente a quel tipo di apprendimento.

I primi studi sull’imprinting vennero fatti da Konrad Lorenz (1903-1989) su alcune oche, attraverso le quali osservò come subito dopo la nascita esse identificano la propria madre nel primo oggetto o persona in movimento che vedono (K. Lorenz, L’ochetta Martina, in L’anello di re Salomone, Adelphi, 1967. Oliverio p. 97).

 

L‘imprinting, dunque, è legato all’istinto che, in termini psicologici, è un comportamento complesso codificato nel codice genetico e trasmesso alla specie attraverso il DNA.

Si tratta perciò di un comportamento innato, cioè non appreso dopo la nascita. L’ochetta Martina, infatti, sa già, nascendo, che per garantire la propria sopravvivenza deve:

  1. riconoscere immediatamente la madre nel primo essere in movimento che vede,
  2. e seguirla sempre,
  3. piangendo se si allontana.

Quando nasce, il primo stimolo visivo che le si presenta (nel caso dell’ochetta Martina l’immagine di Lorenz) è sufficiente a far scattare la risposta geneticamente determinata.

 

2.4 Il riflesso condizionato

L’ultimo comportamento di risposta che prendiamo in considerazione è il riflesso condizionato, studiato per la prima volta da Ivan Pavlov e fondamentale campo di studi della psicologia sperimentale primonovecentesca.

 

3. Il riflesso condizionato e il condizionamento classico

3.1 Il contesto delle ricerche sul riflesso condizionato

Quando Pavlov inizia i suoi celebri esperimenti con i cani, la psicologia scientifica sta muovendo i primi passi.

Gustav Fechner (1801 – 1887)

Pochi decenni prima, nel 1860, il tedesco Gustav Fechner aveva tentato di individuare il legame oggettivo (matematico) tra stimolo e sensazione, ipotizzando che le sensazioni si possano misurare e che la sensazione stia in rapporto matematico con lo stimolo: ne sia, cioè il logaritmo. Siamo in pieno positivismo e la nuova scienza, la psicologia, tenta di somigliare alle scienze dure e di emularne i successi.

Wilhelm Wundt (1832 – 1920)

Quindici anni dopo, nel 1875, il fisiologo Wilhlem Wundt apriva a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale, nel quale tentava di dare attuazione alla tesi di Fechner, insegnando ai soggetti sperimentali a distinguere le proprie sensazioni attraverso il metodo dell‘introspezione. Le difficoltà apparvero però subito insormontabili perché è impossibile distinguere in una sensazione gli aspetti soggettivi da quelli oggettivi) e gli stessi allievi di Fechner cominciarono a sollevare le prime critiche, chiudendo di fatto la prima pagina della storia della psicologia, nota come strutturalismo.

Ivan Pavlov (1849 – 1936)

Pavlov era tra coloro che sostenevano, sulla base degli insuccessi dello strutturalismo, che lo studio della coscienza era troppo legato ad impressioni soggettive e non suscettibile di verifica (il metodo wundtiano dell’introspezione non aveva dunque dato risultati scientifici).

John B. Watson (1878 – 1958)

Lo studioso russo e, come vedremo, l’americano John Broadus Watson, indicarono quindi nell’abbandono dell’introspezione e nella ricerca di ciò che è manifesto e facilmente osservabile, la strada su cui la psicologia avrebbe dovuto compiere i successivi passi. Nascono così le scuole comportamentiste (o behavioriste) russa e americana.

 

3.2 La scuola russa e il condizionamento classico

Pavlov cominciò a studiare il riflesso condizionato nel 1897, ne diede comunicazione nel 1903, ottenendo il nobel per la medicina l’anno seguente.

Lo studioso eseguì una serie di esperimenti su cani ai quali mostrava della polvere di carne (il cibo è uno stimolo significativo che attiva il riflesso della salivazione) mentre, contemporaneamente, faceva suonare un campanello.

Dopo una serie di ripetizioni, i cani di Pavlov mostravano di avere appreso questa associazione: poiché attivavano una risposta significativa (il riflesso della salivazione) alla sola presentazione dello stimolo neutro (il suono del campanello, senza presentazione della carne).

Il riflesso condizionato (o condizionamento classico) è, quindi, il risultato dell’associazione tra uno stimolo significativo che attiva una risposta biologica nell’animale e uno stimolo neutro, totalmente insignificante per l’animale.

stimolo significativo + stimolo neutro

stimolo significativo + stimolo neutro

Pavlov osservò una serie di altri fenomeni connessi al condizionamento. Notò ad esempio che se dopo l’apprendimento dell’associazione questa cessa, cioè se si presenta più volte il suono del campanello da solo, la risposta (la salivazione al suono del campanello) diminuisce fino ad estinguersi (estinzione).

Osservò anche che gli animali tendono a reagire a stimoli simili a quelli con cui sono sono stati condizionati (generalizzazione) e che se dopo l’estinzione di una risposta condizionata si ripresentano insieme lo stimolo neutro e lo stimolo significativo, l’animale reimpara più rapidamente l’associazione di quanto abbia fatto la prima volta (recupero). Il fenomeno del recupero mostra quanto profondi e durevoli siano gli effetti di ogni tipo di apprendimento.

La cura Ludovico

La cura Ludovico

Il cinema ha esplorato il tema del condizionamento pavloviano (o classico) con il film di Stanley Kubrick, Arancia meccanica. Negli spezzoni seguenti si assiste alla somministrazione della cura Ludovico, un complesso meccanismo di condizionamento attraverso cui Alex, un giovane con il culto dello stupro e di Beethoven, impara ad associare le sue passioni, la musica e la violenza, a stati intollerabili di sofferenza.

Nel primo video Alex, all’inizio della cura Ludovico, si compiace sadicamente delle scene di violenza somministrate dagli psicologi, mentre comincia a provare nausea e senso di vomito.

Nel vivo della cura Ludovico, Alex si sente male mentre ascolta Beethoven e capisce che la sua nausea non è casuale, ma indotta dagli psicologi. Impotente e costretto in una camicia di forza protesta invano:

«è un delitto, è un delitto».

Si riferisce naturalmente all’associazione tra qualcosa di orribile e fastidioso come la sensazione che gli procura il farmaco iniettato e la musica del suo amato “Ludovico Van”, ma il realtà il delitto è quello che viene commesso contro la sua umanità amputata di autonomia.

Il ragazzo diverrà insomma incapace di nuocere, ma i meccanismi di controllo con cui si ottiene la sua obbedienza e la sua rieducazione saranno non meno violenti e disumani delle pratiche dei drughi (il gruppo di criminali di cui Alex è capo).

 

4. I comportamenti operanti

A differenza dei comportamenti di risposta, dove l’individuo è fondamentalmente passivo e subisce le condizioni che l’ambiente gli impone, nei comportamenti operanti il soggetto è, invece, attivo e interagisce con l’ambiente per soddisfare i suoi bisogni o per sfuggire a situazioni dolorose o potenzialmente dannose.

I tipi di apprendimento che coinvolgono comportamenti operanti sono:

  1. l’apprendimento per tentativi ed errori,
  2. il mo­dellamento attivo (o condizionamento operante) e
  3. l’apprendimento per osservazione.

 

4.1 L’apprendimento per tentativi ed errori

Edward Thorndike (1874-1949)

Nellapprendimento per tentativi ed errori l’individuo, posto di fronte a un ostacolo o a una difficoltà, giunge ad adottare la soluzione corretta a forza di tentativi nei quali elimina progres­sivamente gli errori.

È stato Edward Thorndike il primo a evidenziare sperimentalmente questo tipo di apprendi­mento, utilizzando scatole-problema (puzzle-box) in cui rinchiudeva dei gatti affamati.

Lo scienziato misurava il numero di tentativi necessari e il tempo trascorso nella scatola, prima che nel gatto si verificasse l’apprendimento voluto (per esempio tirare la cordicella) e riuscisse ad aprire la gabbia raggiungendo il cibo.

Inizialmente il gatto tirava la corda «per caso» e soltanto con il passare del tempo i tentativi casuali e gli errori diminuivano fino a scomparire del tutto.

Su questa base sperimentale, Thorndike elaborò quindi la legge dell’effetto che stabilisce che una risposta è più suscettibile di essere riprodotta se provoca soddisfazione all’organismo e di essere abbandonata se invece produce insoddisfazione.

 

4.2 Il condizionamento operante

Burrhus Skinner (1904 – 1990)

Procedendo nella direzione indicata da Thorndike, il comportamentista Burrhus Skinner enunciò i principi del condizionamento operante.

Skinner mostrò come il raggiungimento di un comportamento efficace non dipende soltanto dal caso, ma è spesso il frutto di un agente di rinforzo, costituito da quegli eventi o stimolazioni che aumentano la probabilità che un certo comportamento si riproduca al fine di ritrovare la situazione rinforzante.

Nella gabbia ideata da Skinner gli animali ricevevano una gratificazione (cibo, acqua), che costituiva il rinforzo, ogni volta che premevano una leva.

comportamento animale frutto del modellamento

Partendo da questa constatazione Skinner elaborò la tecnica del modellamento attivo del comportamento per approssimazioni successive, che è il nucleo centrale del condizio­namento operante.

Si tratta di una tecnica che consiste nel programmare una serie di tap­pe tra il comportamento di base, qual è prima dell’apprendimento, e la risposta finale.

L’addestratore rinforza progressivamente e sistematicamente tutte le sequenze di un’azione, fino a portare l’individuo ad adottare il comportamento desiderato.

In questo modo si può ottenere, per esempio, che un orso guidi una moto e faccia due giri della pista del circo; che un bambino di due o tre anni impari la pronuncia corretta di una parola, o che una casalinga scelga un detersivo piuttosto che un altro, rinforzata dal piacevole jingle pubblicitario dello spot che ha visto in televisione.

 

4.3 Le implicazioni sociali degli studi sull’apprendimento

I tipi di condizionamento che abbiamo visto fin qui (l’apprendimento inconsapevole per associazione dei cani di Pavlov e il modellamento attivo) sono alla base di molti comportamenti umani che, memorizzati in modo inconsapevole, influenzano le nostre condotte. Con il modellamento educativo i bambini imparano, ad esempio, a sorridere per avere caramelle o una carezza, a non picchiare il fratellino ecc.), mentre il rinforzo connesso ad esperienze piacevoli è ampiamente utilizzato dalla pubblicità.

Nella mappa interattiva sottostante, riepiloghiamo le scoperte sull’apprendimento fatte dai diversi autori e scuole psicologiche ponendole in relazione agli usi che ne ha fatto la pubblicità.


APPRENDIMENTO 1

4.4 L’apprendimento per osservazione

Albert Bandura

bambola Bobo

L’ultimo dei comportamenti operanti che prendiamo in considerazione è l’apprendimento per osservazione, studiato da Albert Bandura con un famoso esperimento nel 1961.

Bandura intendeva mostrare come si possano apprendere dei comportamenti anche attraverso esperienze indirette, per effetto dell’imitazione (modeling) e dell’identificazione con un modello: ne scaturì la teoria dell’apprendimento sociale,

Nell’esperimento della bambola Bobo, lo psicologo esponeva alcuni bambini all’osservazione di comportamenti aggressivi verso il pupazzo che veniva picchiato e trattato aggressivamente da un suo collaboratore. Il risultato osservato fu che il gruppo che aveva assistito alla scena diventava più incline a comportamenti aggressivi di quelli che non vi avevano assistito.

Bandura e il suo gruppo ne conclusero che il meccanismo di apprendimento sociale, cioè l’identificazione dell’osservatore con il modello e la replica dei suoi comportamenti, si instaurava più facilmente se le caratteristiche personali di osservatore e modello erano simili e se durante l’esposizione all’esperienza veniva percepita la competenza del modello, cioè se l’individuo che veniva osservato era in posizione autorevole, tale da poter essere considerato un esempio.

Benché studi successivi abbiano sostanzialmente confermato le osservazioni del 1961, la teoria dell’apprendimento per osservazione conserva i limiti dell’approccio comportamentista di cui è debitrice, risultando incapace di considerare il ruolo della visione del mondo posseduta dai soggetti al momento dell’esposizione e di contemplare la possibilità di differenziazione del soggetto dai comportamenti del modello.

 

5. Gli apprendimenti cognitivi

5.1 Verso il cognitivismo: le mappe cognitive

tolman

Edward Tolman (1886-1959)

Skinner e i comportamentisti avevano un’idea molto semplificata della mente e dei meccanismi che stimolano l’apprendimento.

Lo psicologo Edward Tolman cercò di dimostrare sperimentalmente che il quadro era più complesso e, in particolare, che esistevano meccanismi d’apprendimento indipendenti dal rinforzo.

Per verificare la propria ipotesi, selezionò tre gruppi di topi e li pose in un labirinto rinforzando il primo immediatamente, il secondo dal dodicesimo giorno e lasciando il terzo senza alcun rinforzo.

Come previsto dalle teorie comportamentiste, i topi del primo gruppo diminuivano costantemente gli errori, mentre quelli del terzo gruppo facevano diversi errori prima di uscire dal labirinto.

Il gruppo rinforzato dopo 12 giorni rivelò, invece, come dopo aver ricevuto il rinforzo i topi riducessero sensibilmente gli errori, superando i risultati del gruppo rinforzato subito.

Tolman ne dedusse che queste cavie dovevano aver appreso la struttura del labirinto nei primi giorni senza alcun rinforzo e che, una volta rinforzati, iniziavano a usarla per raggiungere l’obiettivo. 

Tolman chiamò questi apprendimenti latenti mappe cognitive, cioè rappresentazioni mentali della meta e dello spazio per arrivarci grazie alle quali la meta veniva raggiunta con il percorso più semplice e meno articolato.

Con questo esperimento, Tolman abbandonava le semplificazioni comportamentiste per la quali l’apprendimento è sostanzialmente la risposta meccanica ad uno stimolo (S-R).

Skinner, infatti, ipotizzava che i suoi ratti imparassero a conoscere il labirinto memorizzando un percorso specifico, per esempio un certo numero di svolte a destra e a sinistra in una determinata sequenza.

Tolman notò, al contrario, che se un certo corridoio del labirinto veniva sbarrato all’improvviso, bloccando in tal modo il tragitto più corto attraverso cui l’animale era solito arrivare all’uscita, questi prendeva un nuovo percorso utile a risolvere il problema.

Ciò dimostrava che l’apprendimento dell’animale non era meccanico, ma che ad un particolare stimolo l’individuo forniva una risposta cognitiva basata sulla riproduzione spontanea di comportamenti di successo tenuti in altre circostanze.

Identificò in questo modo gli apprendimenti latenti, apprendimenti di cui non siamo immediatamente consapevoli come quando, studiando, ciò che non ricordiamo va a formare la base per la comprensione di nuovi argomenti o come quando, guidando la bici, non ci rendiamo conto dei comportamenti complessi che teniamo e che abbiamo completamente automatizzato.

Nell’approccio di Tolman dunque l’apprendimento non si risolve in una semplice associazione di tipo stimolo-risposta, ma si configura in termini di raggiungimento di una meta e dell’acquisizione di una serie di adattamenti conclusivi (cognizioni finali) che il soggetto elabora in relazione all’oggetto.

Con Tolman, quindi, la psicologia dell’apprendimento abbandona il meccanismo dell’associazione per Pavlov, come per Skinner, infatti, l’apprendimento è l’associazione tra stimoli nuovi e comportamenti di risposta – spostando l’attenzione sull’elaborazione attiva della realtà circostante, dando maggior rilievo ai processi interni di elaborazione e rappresentazione.

Successivamente, il cognitivismo si focalizza sullo studio della memoria, in quanto, per poter imparare, è innanzitutto necessario saper codificare, immagazzinare, integrare e ricordare un set d’informazioni. Evidente, l’analogia stabilita dai cognitivisti, tra la mente e il computer.

 

5.2 Il contributo della Gestalt agli studi sull’apprendimento

insight

insight

Benché i teorici della Gestalt (forma, in tedesco) si siano dedicati soprattutto allo studio della percezione, anche questa scuola, nata in Germania negli anni 10 e sviluppatasi negli Stati Uniti durante il nazismo  ha offerto un contributo significativo alla comprensione dei meccanismi d’apprendimento,

Come i comportamentisti Pavlov e Watson, anche i gestaltisti iniziano le loro ricerche agli inizi del 900 in polemica con lo strutturalismo. Ma, mentre i comportamentisti criticavano la pratica non controllabile dell’introspezione, dedicandosi all’apprendimento in quanto fenomeno esterno e osservabile, i gestaltisti criticavano dello strutturalismo l’approccio analitico che considerava i fenomeni singolarmente, senza considerarne le interconnessioni e i reciproci condizionamenti. Avendo compreso i concetti di sistema, retroazione e complessità elaborati dalla cibernetica e dalla teoria della complessità, questi studiosi si unirono intorno al motto: “l’insieme è più della somma delle parti”.

Convinto che l’intelligenza sia un fenomeno emergente che nasce dalla necessità di risolvere problemi e sopravvivere nell’ambiente, uno di loro, Wolfgang Köhler condusse degli studi sul comportamento animale, osservando il com­portamento di una scimmia che doveva raggiungere una banana posta fuori della gabbia e tirarla a sé dis­ponendo soltanto di alcuni tubi di metallo troppo corti per raggiungerla e di un’altra che aveva solo una cassa nella sua gabbia per raggiungere delle banane legate al soffitto. Entrambe si dimostrarono capaci di modificare e usare gli strumenti a disposizione per raggiungere lo scopo, attraverso una comprensione profonda del problema che non passava per tentativi o errori, ma coglieva la natura della questione da risolvere (nel loro caso, il problema dell’altezza o della distanza).

Alcuni apprendimenti richiedono quindi non la ripetizione meccanica di comportamenti o l’esplorazione per tentativi ed errori alla ricerca di una soluzione, ma una vera comprensione del problema la cui soluzione non può essere trovata se non attraverso la ristrutturazione cognitiva dell’ambiente che Kohler chiamò insight, un’improvvisa illuminazione che consente di vedere dei nessi e di ri­solvere un problema (problem-solving) mettendo in relazione tra loro più aspetti di una real­tà.

 

6. Le implicazioni cliniche degli studi sull’apprendimento: fobie, ansia e depressione

Watson

John Watson (1878-1958)

6.1 Condizionamento classico e fobie

Un celebre impiego di tecniche di condizionamento (classico) è quello condotto da John Watson, il caposcuola del comportamentismo (o behaviorismo) americano (l’articolo di Watson noto come Behaviorism Manifesto è del 1913), con il piccolo Albert, un lattante di pochi mesi. Il bambino venne condizionato dallo psicologo alla fobia per gli oggetti pelosi (induzione di una fobia con tecniche di condizionamento) (1919).

Avendo notato che il piccolo giocava volentieri con coniglietti e topolini, lo psicologo cominciò a presentargli animaletti pelosi (stimolo neutro) mentre produceva un forte rumore (stimolo significativo) che spaventava il bambino.

Dopo alcune ripetizioni, il bambino sviluppò un timore pronunciato per tutti gli animali pelosi, generalizzando la risposta di paura verso tutto ciò che poteva essere associato al pelo degli animali, come una barba finta (ad esempio quella di una maschera di babbo Natale indossata da Watson) e i capelli della madre (generalizzazione).

La crudeltà di questo esperimento e la spregiudicatezza del suo ideatore testimoniano dell’immaturità o dell’assenza, negli anni ’20 e ’30, della deontologia professionale (cioè dell’etica professionale) dello psicologo.

Grazie agli studi sul condizionamento, gli psicologi hanno ipotizzato che la maggior parte delle fobie sia appresa:

«quando ai soggetti fobici si chiede l’origine delle loro paure, circa il 50% riferisce uno scenario condizionante, il 10% afferma di aver ricevuto informazioni paurose sull’oggetto della fobia e il 15% sostiene di essere diventato ansioso dopo aver visto altri reagire in modo spaventato. Il gruppo rimanente, piuttosto cospicuo, non ricorda alcun evento che abbia preceduto lo sviluppo della fobia. Tutto ciò fornisce un supporto alla teoria del condizionamento classico sull’origine della paura fobica, ma suggerisce anche che si può diventare fobici per altre vie» [Oliverio, L’ansia]

e hanno messo a punto tecniche di desensibilizzazione sistematica con le quali aiutano i pazienti a liberarsi dalle loro fobie (attenzione: la fobia non è una semplice paura, ma un terrore assoluto e irrazionale nei confronti di un oggetto innocuo).

Anche se Watson fallì nel suo tentativo di far disimpararare al piccolo Albert la fobia degli animaletti pelosi, successivamente vennero messe a punto le tecniche che consistono nel far apprendere al paziente associazioni positive con ciò che lo spaventa, così da rimuovere la sua sensibilizzazione nei confronti dell’oggetto temuto.

Un aspetto importante della desensibilizzazione è il graduale avvicinamento del paziente all’oggetto della sua fobia. Ad esempio, la cura di un paziente che prova fobia per gli uccelli consisterà nel creare nel soggetto stati di benessere e distensione mentre lo psicologo parla di uccelli o gliene mostra l’immagine. Quando il paziente sarà pronto ad una nuova tappa della cura, lo psicologo gliene farà vede un’immagine in movimento, per poi introdurre un esemplare e spingere il paziente a toccarlo.

Altri studi sul condizionamento pavloviano hanno contribuito a far luce su altri aspetti del disagio psicologico, ovvero sull’induzione di una nevrosi e sugli stati d’ansia.

Un gruppo di sperimentatori ha usato le tecniche del condizionamento classico per far apprendere ad un gruppo di cani l’associazione tra la presentazione del cibo e la visione di un cerchio. Una volta condizionati, a questi animali sono state mostrate forme tonde sempre più simili a ellissi così da rendere imprevedibile ai loro occhi la presentazione o meno del cibo.

Si è notato che di fronte a segnali ambigui che rompono uno schema consueto, i cani manifestano i sintomi dell’ansia, uno stato di sofferenza causato dall’insicurezza e dall’incertezza di ciò che deve accadere.

 

6.2 La depressione e l’impotenza appresa

Martin Seligman

Martin Seligman

Si è visto come il condizionamento classico (in cui il soggetto è passivo) possa produrre una “nevrosi sperimentale” in animali a cui vengono somministrati stimoli ambigui che non permettono la produzione di una sola risposta appresa.

Martin Seligman ha combinato in alcuni esperimenti il condizionamento classico con quello strumentale (si veda la scheda) e ha formulato un modello di depressione detto di incapacità appresa.

L’esperimento consisteva nel somministrare uno stimolo doloroso preceduto da un suono ad un gruppo di cani tenuti immobili in una gabbia dalla quale non potevano uscire. Nella seconda fase dell’esperimento questo gruppo di cani e un secondo gruppo di animali non condizionati veniva trasferito in una gabbia con pavimento a cassetta, dove i cani, udito il suono che precede la scarica elettrica, potevano saltare su un lato della gabbia per sottrarsi allo stimolo doloroso.

Si è costatato che i cani non trattati in precedenza con condizionamento classico, cioè non tenuti in uno stato prolungato di passività nel quale dovevano subire impotenti la scarica elettrica, imparavano facilmente ad evitarla. Al contrario, i cani trattati con condizionamento classico, diventavano isterici al suono che associavano alla scarica, ma non riuscivano ad imparare ad evitarla, dopo la reazione di paura si arrendevano passivamente e sopportavano lo stimolo doloroso. Era diverso anche il loro comportamento con l’uomo, i primi diventavano aggressivi, i secondi erano passivi e sottomessi.

Nel video seguente, un’insegnante sviluppa in cinque minuti una sindrome da incapacità appresa nei propri studenti [già passivizzati e disciplinati dal sistema scolastico], somministrando un test impossibile da risolvere:

L’apprendimento dell’incapacità di reagire spiega solo in parte la depressione, che è una sindrome molto complessa, ma gli studi di Seligman sono molto interessanti per la relazione che mostrano tra passività e depressione. Gli individui depressi infatti non riescono ad imparare modi per uscire dalla propria condizione dolorosa e tendono ad attribuire a sé in modo stabile e generalizzato (teoria dell’attribuzione) la responsabilità di ciò che non va. Schematicamente, il depresso attribuisce i propri insuccessi (ho preso 4 in matematica) a tratti stabili della propria personalità (perché sono incapace), generalizzandoli ad ambiti anche molto diversi (perciò avrò insuccessi nelle altre materie e sarò bocciato, non mi fidanzerò, non troverò un lavoro soddisfacente ecc.).

6.3 Contiguità e superstizione

festa-gatto-neroLa contiguità nel tempo tra uno stimolo e il rinforzo rende più saldo l’apprendimento. Ciò fa si che quando un evento si manifesta insieme ad un altro in modo del tutto accidentale, possa scattare un meccanismo d’apprendimento che consiste nella credenza nella loro relazione, cioè una superstizione.

La superstizione è appunto la credenza nella ripetizione di un evento a partire dal collegamento con un elemento del tutto accidentale o casuale. Il piccione che gira intorno alla gabbia e trova del cibo – come Skinner osservò in un celebre esperimento di condizionamento operante, riceve un rinforzo del comportamento “girare intorno alla gabbia” e forse continuerà a girare, sviluppando la “credenza” che ciò gli procuri nuovo cibo.

I piccioni osservati da Skinner avevano imparato a comportarsi in modo anomalo: cercavano di propiziarsi la sorte (la comparsa di cibo) con comportamenti praticamente inutili. Gli animali avevano infatti appreso, erroneamente, ad associare alcuni loro comportamenti alla comparsa di cibo nella skinner box dove si trovavano e continuavano a ripetere questi comportamenti nella convinzione che così facendo avrebbero ottenuto, come ricompensa, la comparsa di nuovo cibo.

Un comportamento analogo può essere immaginato nei nostri progenitori davanti a una circostanza di causa-effetto, nella quale l’uomo paleolitico pregava perché cessasse un certo fenomeno – ad esempio, un terremoto – per poi associare la preghiera alla fine del terremoto e ricavarne l’errata associazione di un comportamento religioso (causa) grato agli dèi (effetto), a loro volta origine del fenomeno, ritenuto soprannaturale o di origine divina per ignoranza delle relative cause naturali.

 

    

Esercitazione

1. Che cos’è l’apprendimento?

2. Quali diversi tipi di apprendimento conosciamo e cosa li differenzia?

3. Che cosa sono la sensibilizzazione, l’assuefazione e l’imprintig?

4. Illustra il funzionamento del condizionamento classico.

5. Definisci il concetto di rinforzo, indicando quale psicologo lo ha codificato e a quale scuola psicologica appartiene.

6. Che cosa differenzia essenzialmente il condizionamento classico da quello operante?

7. Che cosa sono le mappe cognitive e cosa dimostra la loro esistenza?

8. Che cosa genera la fobia? In che rapporto è con l’apprendimento?

9. Secondo Seligman, in cosa consiste il particolare modo di pensare (stile cognitivo) del depresso?

10. Secondo gli studi di Seligman, il senso di impotenza o incapacità del depresso è appreso o innato?

11. Attraverso quali esperimenti lo psicologo è arrivato a formulare la sua ipotesi?

12. Illustra i meccanismi psicologici della superstizione.

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