Posts tagged ‘decostituzionalizzazione’

6 Dicembre, 2012

Luigi Ferrajoli, Ma l’economia è democratica?

by gabriella

FerrajoliIn questa bella riflessione su economia e democrazia, Ferrajoli esamina da costituzionalista cause e rimedi del collasso dello stato di diritto e dell’economia sociale di mercato. Ne emerge la drammatica contraddizione che evidenzia, da un lato, la crisi della democrazia costituzionale e l’impotenza della politica a renderla esecutiva e, dall’altro, la sua impossibile (alla luce delle ragioni acutamente delineate dal giurista) soluzione consistente nella risposta politica e nella ricostituzionalizzazione del diritto.

Alla luce di questa impasse, ciò che resta in ombra nell’analisi di Ferrajoli (peraltro uno dei miei costituzionalisti preferiti) sembra dunque la crisi dello stesso costituzionalismo, cioè l’incapacità degli strumenti di analisi del diritto di uscire dall’orizzonte del “dover essere” e di misurarsi con la “realtà effettuale” – come direbbe Machiavelli – della società liberale matura. Una realtà, cioè che, dal punto di vista scientifico (cioè conoscitivo), può essere pensata solo in prospettiva pluridisciplinare e che, da quello politico, può indicare risposte solo quando si misura con la razionalità di tutti gli attori, prima tra tutte quella dei mercati.

Emergono così diverse questioni: se l’economia non è democratica, possono, i mercati, comportarsi come dovrebbero? Può il diritto addomesticare gli animal spirits? E può tanto (come il giurista dice necessario) la politica dei partiti sistemici ai quali Ferrajoli si rivolge nelle conclusioni, dimenticando di aver denunciato, giusto due righe sopra, la loro debolezza, la loro lontananza dalla società, la loro corruzione? Uscire dalla crisi è impossibile se non si pensa la crisi di un paradigma.

 

 

1. La crisi, i mercati e il rapporto tra economia e politica

Io credo che il tema di questo intervento – il rapporto tra economia e politica e la dipendenza della seconda dalla prima – sia il tema di fondo del nostro tempo: un tema che è tutt’uno con il tema della crisi della sfera pubblica, del ruolo e ancor prima della natura della politica e perciò, in ultima analisi con il tema, al tempo stesso teorico e politico, della crisi della democrazia, non solo in Italia ma in Europa e più in generale a livello globale.

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23 Marzo, 2012

Girolamo De Michele, Per difendere la scuola. L’unica cosa decente che ci resta da fare.

by gabriella

1. Nel maggio 1967, quando viene pubblicata la Lettera a una professoressa, quasi due terzi degli italianiil 63%, per l’esattezza – non è in grado di riassumere un articolo di giornale dopo averlo letto, e più della metà – il 52% – è incapace di applicare nella realtà quotidiana le nozioni di base della matematica. La capacità di comprendere un testo complesso – un romanzo, un articolo di approfondimento corredato da tabelle e cifre – era limitata all’1.9% della popolazione, compresa quella scolarizzata. Mi sembra un quadro eloquente di cos’era l’analfabetismo ai tempi di quella scuola pre-sessantottarda tanto citata oggi, come esempio positivo.

Nei 30 anni che sono seguiti al fatale 1968, la percentuale di analfabeti di ritorno è scesa a poco più del 20% degli scolarizzati, e quella di cittadini attivi, dotati degli indispensabili strumenti per comprendere il mondo ed essere attivi nell’esercizio dei diritti, è salita al di sopra del 10%. Lo ricordo a chi si riempie la bocca con il mantra degli insegnanti che non vogliono farsi valutare: sono questi dati il vero test di valutazione della scuola. E ricordo che stiamo parlando non di risultati rilevati all’uscita dalla scuola, ma di competenze e capacità che si sedimentano nella società attraverso gli anni. Questa è la colpa della scuola italiana: aver combattuto la battaglia di don Milani contro una scuola di classe, cinghia di trasmissione e di assoggettamento del potere e del sapere dominanti. Quando la scuola italiana ha cominciato a scalfire questo dispositivo, sono iniziati gli attacchi alla scuola pubblica.

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1 Febbraio, 2012

Silvia di Fresco, Matteo Vescovi, L’arrestabile ascesa della scuola delle competenze. Alcune riflessioni sui cambiamenti in atto nel sistema scolastico italiano

by gabriella

Un’ottima ricognizione degli antefatti, delle mistificazioni e degli scopi inconfessabili di vent’anni di programmatico declino scolastico italiano. Bello anche il titolo che mi fa venire in mente la brechtiana “resistibile ascesa” di Hitler e la necessità che gli insegnanti italiani escano dal torpore inconsapevole che li ha avvinti e rifiutino di collaborare alla “soluzione finale”.

State pur tranquilli
ci saranno sempre
più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli

G. Gaber, La razza in estinzione

1. Società della conoscenza/società del controllo di Silvia Di Fresco

Sulle pagine della rivista «L’ospite ingrato» dedicata al tema della conoscenza, Sergio Bologna1, dopo aver sottolineato l’inefficacia dell’attuale sistema formativo, concludeva il suo articolo chiedendosi quale possa essere il futuro degli studi umanistici in un contesto in cui il lavoro, e il suo linguaggio, sono altamente dominati dalla tecnologia.

Il problema ovviamente non riguarda solo l’Italia e non coinvolge solo aspetti interni alla didattica, ma riguarda il modello di società che saremo in grado di immaginare per risolvere i giganteschi problemi ecologici e sociali che il pianeta si trova ad affrontare. È quella che recentemente Martha Nussbaum ha definito come «crisi dei saperi socratici» [Internazionale, 870, pp. 36-42], cioè di quei saperi che sviluppano competenze non misurabili come la capacità di confrontarsi e mettersi in discussione, di assumere il punto di vista dell’altro, di produrre soluzioni innovative (e non esecutive) rispetto ai contesti in cui sorgono i nostri problemi.

Saperi che rappresentano le finalità di un’educazione rivolta alla costruzione di una comunità democratica, all’interno della quale l’insegnamento di materie letterarie e scientifiche va salvaguardato rispetto a un’educazione schiacciata sui saperi tecnici e specialistici. Sostiene la Nussbaum che tali insegnamenti hanno persino una finalità economicistica indiretta in quanto

l’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte, creative. La letteratura e le arti stimolano queste facoltà. Quando mancano, la cultura aziendale perde colpi in fretta2.

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