Posts tagged ‘libertà’

7 Luglio, 2013

Karl Polanyi, La società di mercato

by gabriella

Il banchiere e sua moglie, 1514 [particolare] - particolareTratto da Per un nuovo occidente che raccoglie testi di Polany scritti dal 1919 al 1958 [Il Saggiatore, 2013]. Grazie a Ilaria Monti per la segnalazione.

La società nella quale viviamo, a differenza delle società tribali, ancestrali o feudali, è una società di mercato.

L’istituzione del mercato costituisce qui l’organizzazione di base della comunità. Il legame di sangue, il culto degli antenati, la fedeltà feudale sono sostituiti dalle relazioni di mercato. Una siffatta condizione è nuova, in quanto un meccanismo istituzionalizzato offerta/ domanda/ prezzo, ossia un mercato, non è mai stato nulla più che una caratteristica secondaria della vita sociale.

Al contrario, gli elementi del sistema economico si trovavano, di regola, incorporati in sistemi diversi dalle relazioni economiche, come la parentela, la religione o il carisma. I moventi che spingevano gli individui a prendere parte alle istituzioni economiche non erano, solitamente, di per sé «economici », ossia non derivavano dal timore di rimanere altrimenti privi degli elementari mezzi di sussistenza. Quel che era ignoto alla maggior parte delle società – o meglio a tutte le società, a eccezione di quelle del laissez-faire classico, o modellate su di esso – era esattamente la paura di morire di fame, quale specifico stimolo individuale a cacciare, raccogliere, coltivare, mietere.

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21 Maggio, 2013

Pensare il rapporto tra uomo e animale

by gabriella

uomo animaleUn bel saggio di Marco Maurizi, L’animale dialettico, sul rapporto uomo/natura, uomo/animale nella Scuola di Francoforte. Considerando la trattazione del passaggio dalle società di caccia e raccolta alle società stanziali e del prezzo che l’uomo paga in quella costruzione violenta de Sé chiamata educazione, questo articolo completa e spiega il precedente di Jared Diamond sulla sicurezza e socialità dei bambini delle società tradizionali.

L’affermazione del Sé è determinata dalla negazione dell’altro-da-sé e questo processo – che accompagna e sostiene, a un tempo, il processo di civilizzazione in senso ontogenetico e filogenetico – deve essere letto come trionfo e fallimento della cultura. Laddove questa infatti riesce ad estirpare ogni ricordo della natura da cui proviene, la cultura trionfa. Ma proprio in quanto rimuove – in senso psicoanalitico – il ricordo di ciò che essa, nonostante tutto, ancora è, fallisce il suo scopo: la costruzione di una società “umana”, laddove l’umano ha qui il senso di “civile”, cioè “non bestiale”.

Marco Maurizi

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30 Aprile, 2013

Gianni Vattimo, Metafisica degli esclusi (o della libertà) vs metafisica delle auctoritates (o della necessità)

by gabriella

Traggo da L’Indice dei libri del mese, il testo della conferenza tenuta da Gianni Vattimo il 24 ottobre 2011 – su invito della Alexander von Humboldt Stiftung – dal titolo Quale metafisica, quale realtà? nella quale il filosofo sviluppa una riflessione sul bisogno di metafisica al servizio delle opposte necessità di concentrazione e controllo e di libertà e pluralità.

Che differenza c’è tra il bisogno di metafisica affermato dalle auctoritates, che lamentano la perdita della morale civile e religiosa dei popoli rovinati dal “nichilismo” postmoderno, dal multiculturalismo dilagante, in fondo dall’eccesso di libertà – da un lato – e il bisogno di metafisica dei rivoluzionari e di tutti i rivoltosi che si sentono legittimati dai “diritti umani” universali?

Max WeberMax WeberLa differenza, come è facile vedere, sta nel fatto che alcuni invocano la metafisica per mantenere lo status quo – la morale familiare tradizionale, il potere sacrale delle gerarchie religiose, anche semplicemente la validità “oggettiva” della scienza ufficiale o l’indiscutibilità dell’opinione pubblica mainstream dei grandi giornali e delle grandi catene televisive; mentre altri si richiamano alla metafisica come a una verità che si oppone criticamente allo status quo e vuole cambiarlo. Viene in mente qui una frase di un grande filosofo nordamericano (e grande amico) scomparso negli anni recenti, Richard Rorty, che diceva:

“Prendetevi cura della libertà, la verità si difenderà da sé”.

Inteso in questo senso, il “bisogno di metafisica” non è qualcosa di nuovo, ha una storia identica a quella dell’umanità o almeno dell’homo sapiens, dell’homo politicus che vive in una società e deve fare i conti con i rapporti di forza. Questo si può esprimere con l’aforisma con cui Nietzsche inizia il primo volume di Umano, troppo umano:

“I problemi filosofici riprendono oggi la stessa forma che avevano duemila anni fa”.

Ma ciò perché, come Nietzsche indica in tante altre pagine della sua opera, viviamo ormai in una società caratterizzata da una “selvatichezza indiana” (la società capitalistica già così fiorente al suo tempo), dove – ed è questo il senso del nichilismo che noi chiamiamo postmoderno – i valori supremi si sono svalutati, e vige un politeismo dei valori, come lo chiama Max Weber, in cui nulla funge più da punto di riferimento definitivo e bisogna prender atto che nessuno può parlare dal punto di vista (divino) della verità universale. Anche i differenti significati che può assumere il bisogno di metafisica esprimono il politeismo dei valori, sono resi possibili dall’avvento del nichilismo.

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8 Aprile, 2013

Gustavo Zagrebelsky, La cultura, patto fondativo della nostra convivenza

by gabriella

ZagrebelskyDa Micromega la riflessione platonico-socratica di Zagrebelsky sull’art. 33. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»: il fondamento di ogni convivenza non può che essere la ricerca non strumentale (dunque autenticamente libera) nei suoi legami con la cittadinanza e la democrazia.

La società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura.

Consideriamo l’espressione: io mi riconosco in… Quando sono numerosi coloro che non si conoscono reciprocamente, ma si riconoscono nella stessa cosa, quale che sia, ecco formata una società. Questo “qualche cosa” di comune è “un terzo” che sta al di sopra di ogni uno e di ogni altro e questo “terzo” è condizione sine qua non d’ogni tipo di società, non necessariamente società politica. Il terzo è ciò che consente una “triangolazione”: tutti e ciascuno si riconoscono in un punto che li sovrasta e, da questo riconoscimento, discende il senso di un’appartenenza e di un’esistenza che va al di là della semplice vita biologica individuale e dei rapporti interindividuali.

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31 Marzo, 2013

Junius Brutus, Vindiciae contra tyrannos 1579

by gabriella
Philippe_Duplessis-Mornay_(1549-1623)

Philippe de Mornay (1549-1623)

Vindiciae contra tyrannos fu scritto in latino nel 1579, probabilmente dall’ugonotto Philip de Mornay – sfuggito sette anni prima al massacro della Saint-Barthélemy -che si firmò con lo pseudonimo di Junius Brutus. Il sottotitolo di questo classico del diritto di resistenza recita: Del potere legittimo del monarca sul popolo e del popolo sul monarca; nella prima traduzione francese si apre con il commento «trattato molto utile e degno di lettura in questi tempi». Qui sotto la versione inglese, qui l’interpretazione di Diego Quaglioni dell’Università di Palermo.

 

A Defence of Liberty Against Tyrants

Contents

Question One: Whether subjects are bound to obey princes... 3

The Covenant between God and Kings 7

Question Two: Whether it is lawful to resist a prince who infringes the law of God. 15

Whether private men may resist by arms. 29
Whether it be lawful to take arms for religion. 31

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29 Gennaio, 2013

Stefano Rodotà, Lessico democratico: le parole escluse dalle agende

by gabriella

Rodotà

La battaglia per le “chiare parole” vede oggi Stefano Rodotà illustrare i concetti di equità (vs eguaglianza), reddito di sussistenza (vs reddito di cittadinanza), dignità, libertà, democrazia, cittadinanza

Bisogna essere capaci di guardare oltre le nebbie delle varie “agende” politiche in circolazione; oltre il continuo degradarsi dei partiti in raggruppamenti personali; oltre quello che giustamente Massimo Giannini ha chiamato il “dissennato referendum sull’Imu”; oltre i vorticosi tour televisivi dei candidati. Bisogna farlo, perché all’indomani delle elezioni ci troveremo di fronte a una folla di problemi oggi ignorati, e che sarà vano pensar di cancellare tirando fuori di tasca un fazzoletto da strofinare su qualche poltrona. E soprattutto perché siamo immersi in mutamenti strutturali che esigono quella forte cultura politica e istituzionale finora mancata.

Le parole, per cominciare. Negli ultimi mesi sono stati in gran voga i riferimenti all’“equità”, presentata come la via regia per riequilibrare le durezze imposte da una attenzione rivolta unicamente all’economia, anzi a un mercato “naturalizzato”, portatore di regole presentate come inviolabili. Ma equità è termine ambiguo, che occulta o vuol rendere impronunciabili proprio le parole che indicano quali siano i principi oggi davvero ineludibili – eguaglianza e dignità. I nostri, infatti, sono i tempi delle diseguaglianze drammatiche e crescenti, che tra l’altro, come è stato più volte sottolineato, sono pure fonte di inefficienza economica. E la dignità ci parla di una persona che esige integrale rispetto, che non può essere abbandonata al turbinio delle merci.

Confrontata con queste altre parole, l’equità finisce con l’apparire meno esigente, accomodante, richiama quel “versare una goccia d’olio sociale” che nell’Ottocento veniva indicato come lo stratagemma per rendere accettabili scelte unilaterali e impopolari. In un contesto così costruito, l’eguaglianza deve farsi “ragionevole”, diviene negoziabile, e la dignità può essere sospesa, evocata solo in casi estremi. Queste non sono speculazioni astratte. Se si dà un’occhiata alla più blasonata tra le agende, quella che porta il nome del presidente del Consiglio, ci si imbatte nel riferimento a “un reddito di sostentamento minimo”, formula anch’essa portatrice di grande ambiguità. Essa, infatti, può riferirsi ad una sorta di reddito di “sopravvivenza”, a un grado zero dell’esistere che considera la persona solo nella dimensione del biologico, tant’è che viene agganciata all’esperienza non proprio felice della social card, dunque alla condizione di povertà. Nessuno, di certo, può trascurare l’importanza di misure contro la povertà in tempi in cui questa aggredisce fasce sempre più larghe della popolazione. Ma, considerata in sé, questa è una strategia che non corrisponde alle indicazioni costituzionali e che elude il tema dell’integrale rispetto della persona in un mondo segnato da mutamenti strutturali profondi.

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19 Gennaio, 2013

Michel Foucault, Libertà e liberalismo

by gabriella

biopolitica e liberalismo

L’analisi di Foucault sul ruolo della libertà nella governamentalità liberale e sul suo rovescio fatto di rischio, insicurezza, controllo, tratto da una raccolta di suoi scritti ed interventi dal 1975 al 1984.

Non bisogna credere che la libertà sia un universale che subirebbe, attraverso il tempo, una progressiva realizzazione o delle variazioni quantitative o delle amputazioni più o meno gravi, delle occultazioni più o meno rilevanti. Essa non è un universale che si specificherebbe nel tempo storico e nello spazio geografico. La libertà non è una superficie bianca con delle caselle nere più o meno numerose, sparse qua e là, di tanto in tanto. La libertà non è mai altro – ma è già abbastanza – che un rapporto attuale tra governanti e governati, in cui la misura della scarsa libertà esistente è data dalla maggiore libertà richiesta.

Sicché, quando dico liberale non intendo una forma di governamentalità che concederebbe un maggior numero di caselle bianche alla libertà. Se impiego il termine liberale è innanzitutto perché la pratica di governo che viene messa in campo (nel XVIII secolo) non si limita a rispettare questa o quella libertà, a garantire questa o quella libertà. Essa è, in un senso più profondo, consumatrice di libertà, poiché può funzionare solo nella misura in cui c’è effettivamente un certo numero di libertà: libertà di mercato, libertà del venditore e del compratore, libero esercizio del diritto di proprietà, libertà di discussione, eventualmente libertà d’espressione.

La nuova ragione governamentale ha dunque bisogno di libertà. La nuova arte governamentale consuma libertà, vale a dire che è costretta a produrla, è costretta ad organizzarla. La nuova arte di governo si presenterà perciò come gestione della libertà, non nel senso dell’imperativo “sii libero”, con l’immediata contraddizione che questo imperativo può comportare. Non è il “sii libero” che viene formulato dal liberalismo. Il liberalismo formula semplicemente questo:

“io produrrò di che farti essere libero. Farò in modo che tu sia libero di essere libero”.

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27 Ottobre, 2012

Antonio Gargano, Fichte

by gabriella
Johan Gottlieb Fichte (1762-1814)

Johan Gottlieb Fichte (1762-1814)

La prima lezione di Antonio Gargano sulla nascita dell’idealismo tedesco e la filosofia da Kant ad Hegel: Fichte.

Kant compie una svolta radicale rispetto al pensiero precedente con la sua famosa “rivoluzione copernicana”. Con Fichte ci troviamo di fronte ad una svolta ancora più radicale. Il pensiero, come la storia, procede in certi  periodi con ritmi molto lenti, ma giungono poi epoche intensissime, in cui in venti-trent’anni si produce di più che in molti secoli precedenti. Una di queste età è quella della Rivoluzione francese, la cui enorme creatività intellettuale si spiega con il fermento del passaggio da un’epoca all’altra. Gli intellettuali, gli uomini di cultura della borghesia europea guardano all’evento della Rivoluzione francese come appunto ad un evento epocale, che porta un’enorme possibilità di liberazione dell’uomo. In quel momento, in cui la storia si innalza su un’onda che permette di vedere approdi più lontani, i grandi filosofi, soprattutto tedeschi, da Kant ad Hegel, riescono a scorgere possibilità decisive di liberazione e di progresso dell’umanità. Assistiamo, già a partire da Fichte, a quel fenomeno grandioso che è la nascita nella cultura romantica tedesca, che, già accennata da Kant, e in un crescendo fino ad Hegel, manifesterà una produttività intellettuale eccezionale.[…]

Kant aveva sostenuto che tutta la filosofia precedente a lui era viziata dal dogmatismo. Il dogma, la credenza non dimostrata, in cui la filosofia prekantiana sarebbe caduta, era quello della presupposizione dell’esistenza di un ordine, di leggi, all’interno della natura. Kant invece sostiene che l’io è il legislatore della natura. Con Fichte abbiamo una definizione di dogmatismo ancora più radicale, che fa ricadere nel dogmatismo lo stesso Kant. Fichte cioè sostiene che tutta la filosofia precedente, Kant compreso, è dogmatica, in quanto ha creduto nel dogma dell’esistenza di una cosa in sé, di un mondo, di una realtà di per sé stante, indipendente dal soggetto umano. Tutta la filosofia precedente a Fichte, tutta la filosofia precedente alla fondazione dell’idealismo, ha pensato che venisse prima il mondo, prima la realtà materiale, prima l’oggetto e poi il soggetto. Invece le cose stanno esattamente all’opposto, come Fichte pensa di poter dimostrare. Proprio per questo Fichte è un filosofo difficile da capire, in quanto si pone un problema decisivo, quello della fondazione ultima della realtà e del sapere, un problema che tra l’altro ai giorni nostri è assolutamente fuori moda, in quanto viviamo in un periodo di relativismo, di soggettivismo. Fichte invece, sull’onda di grandi eventi storici che danno fiducia nelle possibilità dell’uomo, è  convinto che si possa arrivare a una fondazione ultima del sapere e della realtà. In questo senso la filosofia è per lui dottrina della scienza.

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28 Luglio, 2012

Florence Gauthier, Robespierre théoricien du droit naturel à l’existence (Robespierre teorico del diritto naturale all’esistenza)

by gabriella

Traduco uno stralcio del volume che Florence Gauthier [Triomphe et mort du droit naturel en Révolution 1789-1795-1802, Paris, Presses Universitaires de France, 1992], docente all’Università di Paris VII, ha dedicato alla formazione del pensiero robespierriano e alla sua concezione della contraddizione tra libertà politica e potere economico. La traduzione è in coda all’originale.

 Io sfido il più scrupoloso difensore della proprietà a contestare questi principi, a meno di dichiarare apertamente che con questa parola (diritto illimitato di proprietà) intende il diritto di spogliare e d’assassinare i suoi simili. Come dunque si può pretendere che ogni regola sulla vendita del grano sia un attacco alla proprietà e rubricare questo sistema barbaro sotto il nome grazioso di libertà di commercio ? Perché le leggi non fermano la mano omicida del monopolista come quella dell’assassino ordinario? 

Robespierre, 2 dicembre 1792

La déclaration du droit à l’existence devint l’enjeu des luttes politiques de 1792 à 1795, mettant aux prises deux conceptions du droit naturel, deux projets de société, deux conceptions de la liberté, liberté politique ou liberté économique, deux conceptions du libéralisme de droit naturel. Robespierre fut un des principaux théoriciens du droit à l’existence à l’époque de la Révolution des droits de l’homme. Partant des principes du droit naturel d’une part, de l’expérience de la révolution d’autre part, il va peu à peu préciser son analyse de la contradiction entre le pouvoir économique et la liberté politique. Nous allons suivre son analyse à travers trois de ses interventions principales à ce sujet.

Avril 1791. « Sur la nécessité de révoquer les décrets qui attachent l’exercice des droits du citoyen à la contribution du marc d’argent ou d’un nombre déterminé de journées d’ouvrier ».

À la suite de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789, l’Assemblée constituante allait à plusieurs reprises violer sa propre constitution en refusant de reconnaître la citoyennetéou l’appartenance au genre humain, selon la conception de la philosophie du droit naturel – aux femmes, aux esclaves des colonies, et enfin à ceux qui vivaient du travail de leurs mains, en détachant, ici, la citoyenneté de la personne pour l’attacher à la richesse.

Robespierre intervenait une nouvelle fois, pour défendre le droit naturel attaché à la personne contre le système censitaire qui faisait dériver la citoyenneté des fortunes :

Pourquoi sommes-nous rassemblés dans ce temple des lois ? Sans doute pour rendre à la nation française l’exercice des droits imprescriptibles qui appartiennent à tous les hommes. Tel est l’objet de toute constitution politique. Elle est juste, elle est libre si elle le remplit, elle n’est qu’un attentat contre l’humanité, si elle le contrarie. [Robespierre, Œuvres complètes, Paris, t. VII, 1950, p. 161]

Robespierre s’appuyant sur les principes déclarés, fait la critique du suffrage censitaire d’un double point de vue : anticonstitutionnel, étant donné que la Déclaration des droits de 1789 est violée par ces dispositions qui renient la conception de la liberté en société ou la citoyenneté ; et antisocial. Il va de ce point vue donner une définition du peuple et de l’intérêt général, et caractériser la nature particulière du système censitaire, et celle universelle de la révolution des droits de l’homme. Les adversaires du droit naturel désignent le peuple par les termes méprisants suivants :

Le peuple ! des gens qui n’ont rien… des gens qui n’ont rien à perdre.

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