Posts tagged ‘Roland Barthes’

3 Aprile, 2018

Luoghi comuni: la struttura delle credenze

by gabriella

I luoghi comuni sono idee generali, valori, giudizi condivisi spesso inconsapevolmente dall’uditorio, la cui ovvietà tende a occultare l’influenza dei valori che contengono.

I luoghi sono infatti, l’articolazione di base del tessuto di credenze di una comunità di parlanti. Rielaborato a partire da argomentare.it..

Il luogo comune è quindi un asserto che non serve quasi mai citare, che si nasconde negli entimemi, che si tralascia perché scontato o, viceversa, si enfatizza senza argomentarlo quando sembra che qualcuno lo neghi.

Per questo, è il posto migliore in cui stabilizzare le credenze fondanti una comunità di parlanti.

 

Indice

1. Alcune definizioni
2. Una classificazione dei luoghi

2.1 Luoghi della coerenza
2.2 Luoghi dell’ideale
2.3 Luoghi dell’esistente
2.4 Luoghi dell’ordine
2.5 Luoghi della persona

 

1. Alcune definizioni

Cicerone (106 – 43 a. C.)

Come trovare ciò che è stato nascosto diventa facile una volta indicato e segnalato il posto, così, se vogliamo investigare qualche argomento, dobbiamo conoscere i “luoghi”; così infatti sono chiamate da Aristotele quelle basi, per così dire, dalle quali vengono tratti gli argomenti. Dunque si può stabilire che il luogo è la base dell’argomento e che l’argomento è invece la prova che garantisce un tema su cui si è in dubbio.” Cicerone, Topica, 44.a.C.

Roland Barthes (1915 – 1980)

I luoghi retorici sono i punti da cui sorge la possibilità di un argomento, le fonti da cui va scaturendo un argomento” R. Barthes, Luogo comune, Enciclopedia Einaudi, v. VIII p.572

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9 Giugno, 2013

Mario Tronti, Sul concetto di crisi

by gabriella

Una sintesi dei passaggi più significativi di Parola chiave, Crisi, tratto da Centro per la riforma dello stato.

Nel 1980, per il numero di aprile-maggio, La Rivista, diretta da Walter Pedullà, manda in stampa un numero monografico con il titolo “La crisi del concetto di crisi”. Marco d’Eramo invia un breve testo che istruisce ilTucidide tema. Le risposte sono di personaggi più che significativi: tra gli altri, Jacques Attali, Julien Freund, Emmanuel Le Roy Ladurie, Edgar Morin, René Thom. Molto gustoso un passaggio della proposta di d’Eramo:

“Mentre si apre il penultimo decennio di questo millennio, la ‘Crisi’ è uno strumento che basta a evocare l’Emergenza, l’Unità- Nazionale, l’Austerità, lo Sforzo-Collettivo. È il miraggio di una Nuova-Era, di una Società-Più-Umana. È il preludio della Catastrofe, la consorte del Riflusso. Una volta la lingua era più ricca. Spengler parlava di Declino o Tramonto (dell’Occidente), Horkheimer di Eclissi (della Ragione)”.

Si parla di noi, della nostra attuale crisi, come ne parlano gli interpreti, che sono poi, come si sa, i responsabili stessi della crisi. La prima preoccupazione dovrebbe essere quella di non parlarne in questi termini. Che la crisi sia di natura economico-finanziaria, non c’è dubbio. Che se ne possa dire nella sola lingua dell’economia e della finanza, questo è molto dubbio.

Riportiamo allora il concetto di crisi alla sua storia di lunga durata. Utilizziamo alcuni spunti del fascicolo sopra citato. Tucidide riprende la crisi sia da Ippocrate, nel senso medico, come improvviso cambiamento in un corpo, sia da Sofocle, nel senso teatrale, come rappresentazione del trauma.

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14 Settembre, 2012

Come l’ideologia naturalizza una costruzione culturale. L’esempio di Locke con il diritto di proprietà

by gabriella

Quello che segue è – nelle intenzioni se non nel risultato – un corsivo, sulla fondazione del diritto di proprietà in John Locke. Si tratta quindi di un testo un po’ strafottente o per lo meno non reverente verso il grande filosofo.

Naturalizzare il diritto di proprietà agganciandolo alla legge di natura (o lex divina) è stata una delle operazioni più brillanti del Locke filosofo politico, anche se altre sue magistrali elaborazioni come quella sul concetto di tolleranza (non estendibile agli intolleranti, cioè ai cattolici) e sul funzionamento dell’istituzione parlamentare godono da sempre di una attenzione maggiore.

Visto che vogliamo discutere di come una costruzione culturale viene fatta passare per legge eterna e inamovibile, potremmo ricordare le osservazioni di Foucault, Barthes e dei francofortesi, laddove viene chiarito che ciò che tra i filosofi passa per il “senso comune,” non è che la sedimentazione di un pensiero attivo, per sua natura sempre critico, che viene fatto decantare perdendo la caratteristica di negazione e trasferendo la nuova positività (e normatività) in un ambito che Barthes definiva “mitico” cioè immediato, evidente, naturale.

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12 Agosto, 2011

Roland Barthes, Mythologies. Come si legge l’immagine

by gabriella

Paris MatchRoland Barthes è stato uno dei padri della semiologia e il primo ad insegnarci a leggere le immagini. Classiche le sue analisi della pubblicità della pasta Panzani‎ e della copertina di Paris-Match.

«… je suis chez le coiffeur, on me tend un numéro de Paris-Match. Sur la couverture, un jeune nègre vêtu d’un uniforme français fait le salut militaire, les yeux levés, fixés sans doute sur un pli du drapeau tricolore. Cela, c’est le sens de l’image. Mais naïfs ou pas, je vois bien ce qu’elle me signifie: que la France est un grand Empire, que tous ses fils, sans distinction de couleur, servent fidèlement sous son drapeau, et qu’il n’est de meilleure réponse aux détracteurs d’un colonialisme prétendu, que le zèle de ce noir à servir ses prétendus oppresseurs». (Barthes, Mithologies, 1970 p. 201)

Dal barbiere mi tendono un numero di Paris Match. Sulla copertina un giovane nero in uniforme francese fa il saluto militare, gli occhi alzati, fissi probabilmente sulla piega di una bandiera tricolore. Questo è il senso dell’immagine. Ingenua o no, so bene cosa significa: che la Francia è un grande impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera e che non c’è miglior risposta ai critici del nostro preteso colonialismo che lo zelo di questo nero nel servire i suoi presunti oppressori [Miti d’oggi, Einaudi, p. 198].

Sull’analisi semiotica della pasta Panzani riporto il buon saggio di Gianfranco Marrone, Panzani e Camay. Due testi esemplari nell’analisi della pubblicità.

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