Posts tagged ‘servitù volontaria’

22 Dicembre, 2017

André Gorz, L’invenzione del lavoro

by gabriella

André-GorzIn queste pagine, tratte da Metamorfosi del lavoro [Métamorphoses du travail. Quête du sens Critique de la raison économique, 1988, trad. it. Bollati, 1992, pp. 21-32] Gorz illustra la grande trasformazione dell’industrialismo con la quale «l’attività produttiva si separava dal suo senso, dalle sue motivazioni e dal suo oggetto per diventare il semplice mezzo per guadagnare un salario, cessa[ndo] di far parte della vita per diventare il mezzo per “guadagnarsi da vivere”».

Gorz getta lo sguardo su un meccanismo di alienazione tanto quanto di soggettivazione, nella fase storica in cui, come osserva in un altro scritto, a partire dagli anni ’80 «stiamo uscendo dalla società del lavoro senza crearne nessun’altra».

 

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31 Marzo, 2015

Frédérick Lordon, Il lavoro salariato e i paradossi della servitù volontaria

by gabriella
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Letizia lavoratrice a Dubai

L’8 aprile esce in versione italiana Capitalismo, desiderio e servitù. Antropologia delle passioni nel lavoro contemporaneo, testo in cui Lordon riflette sulla cooptazione simbolica dei lavoratori – concettualmente, gli espropriati dei mezzi di produzione e del loro prodotto – nel desiderio dei loro padroni. Pubblicato dal Rasoio di Occam.

Il capitalismo continua a lasciarci perplessi. Non fosse per lo spettacolo a volte così ripugnante, potremmo quasi osservare con ammirazione la sua audace performance che consiste nell’incalzare la massima centrale del corpus teorico che gli serve da ostentato riferimento ideologico. Si tratta del liberalismo, nella fattispecie di quello kantiano, che comanda a ciascuno di agire

«in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo»[1].

Attraverso uno di quei rivolgimenti dialettici dei quali solo i grandi progetti di strumentalizzazione detengono il segreto, si è dichiarato conforme all’essenza stessa della libertà che gli uni fossero liberi di utilizzare gli altri, e gli altri liberi di lasciarsi utilizzare dagli uni in quanto mezzi. Questo magnifico inontro tra due libertà porta il nome di lavoro salariato.

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31 Marzo, 2015

Étienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria (1549)

by gabriella

Étienne de La Boétie

Nel Discours de la servitude volontaire un diciottenne La Boétie riflette sul malencontre, il «tragico evento», il «malaugurato accidente» in seguito a quale l’uomo rinunciò alla propria natura, «l’esser nato propriamente per vivere libero», scegliendo invece la servitù e la rassegnazione alla sottomissione. La storia nasce proprio da quella rinuncia cioè, come notò Pierre Clastres, da «quella rottura fatale, quell’evento irrazionale che noi chiamiamo “nascita dello Stato”» che non ha nulla di necessario né dal punto di vista economico, né politico, né biologico.

La Boétie scrive negli anni che vedono l’acuirsi delle guerre di religione in Francia dopo il massacro degli ugonotti nella notte di S. Bartolomeo intorno al 1576 (anno presunto della pubblicazione), mentre cominciano a delinearsi le basi dello Stato assoluto: perché gli uomini, fatti per essere liberi, rinunciano con tanta naturalezza alla loro libertà? Perché la volontà di servire, come servitude volontaire, alberga nell’animo degli individui, come desiderio di identità e di riconoscimento e non è, invece, una costrizione che li piega al dominio del tiranno? Queste le sue domande.

Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi. […] la prima ragione per cui gli uomini servono di buon animo è perché nascono servi e sono allevati come tali.

Étienne de la Boétie

«No, non è un bene il comando di molti; uno sia il capo, uno il re», così Ulisse, secondo il racconto di Omero, si rivolse all’assemblea dei Greci. Se si fosse fermato alla frase «non è un bene il comando di molti» non avrebbe potuto dire cosa migliore. Ma mentre, a voler essere ancora più ragionevoli, bisognava aggiungere che il dominio di molti non può essere conveniente dato che il potere di uno solo, appena questi assuma il titolo di signore, è terribile e contro ragione, al contrario il nostro eroe conclude dicendo: «uno sia il capo, uno il re».

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10 Giugno, 2014

Piefranco Pellizzetti, Demofobia. Il demos come minaccia del kratos

by gabriella
Edward-Snowden

Edward Snowden

condorcet

Condorcet

Un’utile ricognizione di Pellizzetti sul nucleo conflittuale e la cattiva coscienza della democrazia liberale e i meccanismi di dominio attraverso cui le oligarchie mantengono i propri privilegi al costo di dilaganti diseguaglianze. Tratto da Micromega.

 «La democrazia origina da, mobilita e ri-dà forma al
conflitto popolare. Eppure c’è una caratteristica fondamentale
di questa interdipendenza […] limita in modo
consistente le forme di rivendicazioni collettive e pubbliche
tali da minacciare la vita e la proprietà, sostituendole
con una varietà di interazioni altrettanto
visibili ma molto meno distruttive»

Charles Tilly[1]

«In generale, qualsiasi potere, di qualunque
natura esso sia, quali che siano le mani in cui
è riposto e in qualunque maniera esso è stato
conferito, è naturalmente nemico dei lumi»[2].

Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet

Plutodemocrazia: Dr. Jekyll e Mr. Hyde

Lo scandalo Datagate, l’immenso apparato coperto per il controllo di qualsivoglia comunicazione veicolata dalle reti mondiali telefoniche e internet, predisposto dalla National Security Agency americana con il programma informatico PRISM (e ora smascherato dall’ex tecnico della CIA Edward Snowden, l’ultimo di quelli che Ignacio Ramonet chiama i “paladini della libertà di espressione”[3]), stupisce per le dimensioni quantitative del fenomeno (svariati miliardi di intercettazioni); non sorprende certo per le logiche che sottende. Saremmo forse in presenza – secondo lo stereotipo marxiano rivisitato – del solito governo “comitato d’affari”, strumento del quartier generale legge e ordine?

La faccenda è ben più complicata (e introversa) del semplice quanto consapevole camuffamento di interessi dominanti. Sebbene saldature tra élites politiche ed economiche siano perennemente all’ordine del giorno nella fisiologia del potere e i governi tengano sempre in estrema considerazione quelli che sono i concreti rapporti di forza in campo. Non di questo si parla.

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6 Marzo, 2014

Zygmunt Bauman, David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida

by gabriella

sesto potereTraggo da Micromega le recensioni di Carlo Formenti e Stefano Rodotà [e un estratto del libro] al saggio di Zygmunt Bauman e David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida,  Roma-Bari, Laterza, 2014.

 

Carlo Formenti, Sorvegliati e felici

Carlo

Carlo Formenti

Le preoccupazioni per l’uso intensivo dei media digitali come strumenti di sorveglianza pervasiva sono aumentate esponenzialmente dopo le rivelazioni della “gola profonda” Edward Snowden sulle pratiche di spionaggio messe in atto dai suoi ex datori di lavoro, la maggiore agenzia di sicurezza Usa, la NSA, ai danni dei cittadini americani e di tutti gli altri Paesi, nonché di capi di stato (anche alleati) e imprese pubbliche e private.

A mano a mano che Snowden rendeva noti nuovi documenti che denunciavano tali pratiche – intercettazioni di conversazioni telefoniche, email e quant’altro – i media sfoderavano gli immancabili riferimenti al romanzo 1984 di Orwell, o al Panopticon di Bentham, utilizzato da Michel Foucault come emblema di una modernità assurta a regno della sorveglianza e del controllo. Ora un libro a quattro mani di David Lyon e Zygmunt Bauman (si tratta di una conversazione a distanza, realizzata attraverso lo scambio di email) dal titolo Sesto Potere. La sorveglianza nella modernità liquida (Ed. Laterza) suggerisce una prospettiva diversa.

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28 Dicembre, 2013

Il fascino dell’obbedienza

by gabriella
obbedienza

obbedienza

Le recensioni[alcuni stralci da quella pubblicata su Alfabeta2 e l’intero commento di Kainós] a Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, in cui Fabio Ciaramelli e Ugo Maria Olivieri si chiedono che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere e per quale ragione gli uomini cooperino alla propria stessa oppressione.

Gli autori trovano le risposte nel Discorso della servitù volontaria di La Boétie [e nel «disciplinamento» di Sorvegliare e punire] a cui riservo un commento in coda.

O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! […]
Colui che vi domina ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi, se voi stessi non foste d’accordo?

Etienne de La Boétie, Discours de la servitude volontarire

»Eppure solo pochi tra quanti da mezzo millennio si accostano a questo testo brevissimo e straordinario (militanti, eruditi, filosofi, scienziati politici) evitano la tentazione di chiamarsi fuori; brandendo e deviando quel «voi» – di cui dovrebbero farsi carico in prima persona – contro il bersaglio retorico di turno.

Che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere? Perché gli uomini lottano per la propria servitù come se si trattasse della propria salvezza? Partendo da una rilettura del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, il libro di Ciaramelli e Olivieri ne ricostruisce dapprima il contesto originario (il passaggio dalla tirannia antica alla tirannia moderna, resa possibile da raffinate tecnologie di disciplinamento sociale), per poi mostrarne l’inquietante attualità nella nostra epoca, caratterizzata dal dilagare della depressione tanto socio-economica che psichica. La servitù volontaria, denunciata da La Boétie, non dipende dagli sforzi del tiranno ma dall’attività stessa dei dominati che si rivelano gli artefici del proprio asservimento. Allo stesso modo il diffondersi di demotivazione, disinteresse e sfiducia appare un fenomeno che la società democratica può imputare soltanto a se stessa, ma proprio questa sua “responsabilità” può renderne possibile il superamento.

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27 Giugno, 2011

Zagrebelsky, Fuga dalla libertà

by gabriella

Nel 1549 fu pubblicato un libello in cui si studiaNike o Vittoria di Samotracia - Musée du Louvreva lo spettacolo sorprendente della disponibilità degli esseri umani, in massa, a essere servi, quando sarebbe sufficiente decidere di non servire più, per essere ipso facto liberi. Che cosa è – parole di Etienne de la Boétie, amico di Montaigne – questa complicità degli oppressi con loppressore, questo vizio mostruoso che non merita nemmeno il titolo di codardia, che non trova un nome abbastanza spregevole?. Il nome – apparso allora per la prima volta – è “servitù volontaria”.

Un ossimoro: se è volontaria, non è serva e, se è serva, non è volontaria. Eppure, la formula ha una sua forza e una sua ragion d´essere. Indica il caso in cui, in vista di un certo risultato utile, ci s´impone da sé la rinuncia alla libertà del proprio volere o, quantomeno, ci si adatta alla rinuncia. Entrano in scena i tipi umani quali noi siamo: il conformista, l´opportunista, il gretto e il timoroso: materia per antropologi.

a) Il conformista è chi non dà valore a se stesso, se non in quanto ugualizzato agli altri; colui che si chiede non che cosa si aspetta da sé, ma cosa gli altri si aspettano da lui. L´uomo-massa è l´espressione per indicare chi solo nel “far parte” trova la sua individualità e in tal modo la perde. L´ossessione, che può diventare malattia, è sentirsi “a posto”, “accettato”.

EtienneDeLaBoetieIl conformista è arrivista e formalista: vuole approdare in una terra che non è la sua, e non in quanto essere, ma in quanto apparire. Così, il desiderio di imitare si traduce nello spontaneo soggiogarsi alle opinioni, e lautenticità della vita si sacrifica alla peggiore e più ridicola delle sudditanze: l´affettazione modaiola. La “tirannia della pubblica opinione” è stata denunciata, già a metà dell´Ottocento da John Stuart Mill, e oggi, nella società dell´immagine, è certo più pericolosa di allora. L´individuo si sente come sotto lo sguardo collettivo di una severa censura, se sgarra, o di benevola approvazione, se si conforma. Questo sguardo è a una sorta di polizia morale. La sua forza, a differenza della “polizia” senza aggettivi, è interiore. Ma il fatto dessere prodotta da noi stessi è forse libertà? Un uomo così è libero, o non assomiglia piuttosto a una scimmia?

b) L´opportunista è un carrierista, disposto a “mettersi al traino”. Il potere altrui è la sua occasione, quando gli passa vicino e riesce ad agganciarlo. Per ottenere favori e protezione, che cosa può dare in cambio? Piaggeria e fedeltà, cioè rinuncia alla libertà. Messosi nella disponibilità del protettore, cessa d´essere libero e si trasforma in materiale di costruzione di sistemi di potere. Così, a partire dalla libertà, si creano catene soffocanti che legano gli uni agli altri. Si può illudersi dessere liberi. Lo capisci quando chi ti sta sopra ti chiede di pagare il prezzo dei favori che hai ricevuto. Allora, taccorgi d´essere prigioniero d´una struttura di potere basata su favori e ricatti, che ti prende dal basso e ti solleva in alto, a misura del tuo servilismo.

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