Ardipithecus ramidus
La storia dell’uomo in Etiopia e la scoperta di Ardi, il fossile di uno scheletro di ominide risalente a 4,4 milioni di anni fa e più vecchio antenato dell’uomo finora conosciuto, precedente anche a Lucy (3 milioni e mezzo, circa).
Il sito di Afar sta dando le risposte più straordinarie alle domande sulla storia evolutiva della nostra specie. Il testo è stato elaborato da un’intervsita a Tim White pubblicata dal sito del National Geographic.
Indice
1. Etiopia, Deserto di Afar
2. L’uomo di Herto, il Sapiens sapiens più antico
3. L’Erectus Daka
4. Australopithecus Gahri: l’immediato predecessore di Homo?
5. L’Ardipithecus ramidus
6. L’Ardipithecus kadabba
1. Etiopia, Deserto di Afar
Piana del fiume Awash: sito di Ardi
Il Middle Awash, in Etiopia, è il luogo sulla Terra dove l’uomo è rimasto più a lungo, almeno sei milioni di anni. I loro resti raccontando come, a partire da un primate arcaico e con un piccolo cervello, l’evoluzione abbia portato fino a noi.
La valle di Afar è un posto unico per la capacità di restituire fossili perché al centro di una fenditura della crosta terrestre tuttora attiva. Nel tempo, l’azione di vulcani, terremoti e l’accumularsi dei sedimenti hanno seppellito le ossa e le hanno riportate in superficie come fossili. Un processo ancora oggi in atto.
Ardipithecus ramidus – inizi del Pliocene
Nel 2012, il progetto di ricerca “Middle Awash” ha annunciato una scoperta eccezionale: il recupero effettuato nel 1994 ad Aramis (circa 30 chilometri a nord del Lago Yardi), dello scheletro di un rappresentante arcaico della nostra famiglia antico 4,4 milioni di anni.
Australopithecus Afarensis (Lucy)
Attribuito alla specie Ardipithecus ramidus, l’individuo adulto di sesso femminile (soprannominato “Ardi”), è oltre un milione di anni più antico del famoso scheletro di Lucy, e molto più prezioso per le risposte che può darci su com’è fatto e quando è vissuto l’antenato che abbiamo in comune con gli scimpanzè.
Ardipithecus ramidus rappresenta solo un momento del nostro viaggio evolutivo da una remota scimmia antropomorfa. Il deserto di Afar offre altre 14 finestre temporali da cui provengono resti di ominidi – membri esclusivi della nostra linea evolutiva – da forme più antiche e primitive ai primi rappresentanti di Homo sapiens.
2. L’uomo di Herto, il Sapiens sapiens più antico
La piana del fiume Afar è una gigantesca valle formatasi quando la placca continentale dell’Arabia iniziò ad allontanarsi dall’Africa, tra 30 e 25 milioni di anni fa, portando il bacino del Fiume Afar in una depressione in cui le piogge non arrivano perché bloccate dall’altopiano. La vegetazione è il sole intenso. Poco prima del fondo della depressione il terreno risale e le colline digradano in una pianura irregolare segnata dalle faglie.
A sud-est, oltre la linea di vegetazione lungo il Fiume Awash, le pendici dell’altopiano sembrano fondersi con il cono del giovane vulcano Ayelu, sotto il Lago Yardi.
Uomo di Herto (Sapiens sapiens) 160.00 anni
Nella Penisola di Bouri, a poche centinaia di metri dal villaggio Afar di Herto, nel novembre del 1997 è stato individuato un cranio umano completo. Le analisi dei campioni di lava vulcanica raccolti a Herto hanno fornito, per il cranio, un’età tra i 160 mila e i 154 mila anni.
Una datazione straordinariamente importante perché i genetisti ipotizzano che il primo rappresentante dell’uomo moderno possa essere individuato in una popolazione africana risalente a un periodo compreso tra i 200 mila e i 100 mila anni fa. Fino a quando non è stato trovato il cranio di Herto, la documentazione fossile di questo periodo era infatti troppo limitata per supportare questa teoria basata sulla genetica.
Il cranio di questo individuo maschile, grande e dalle sopracciglia marcate, offre la prova della teoria nota come “Out of Africa”: il fossile è un Homo sapiens moderno molto antico, il più antico resto di un membro della nostra specie mai ritrovato. Il suo volume cerebrale è di 1.450 centimetri cubici, un valore più alto della media degli umani viventi (un secondo cranio trovato negli stessi sedimenti sembra suggerire una capacità cranica anche maggiore). Ma la faccia allungata e la morfologia dell’osso occipitale rimandano alle forme più arcaiche di Homo in Africa, come il cranio trovato a Bodo.
Sulla base delle dimensioni cerebrali, l’uomo di Herto era già “umano” come noi. Ma dal punto di vista del comportamento, sappiamo che era ancora lontano dalla modernità. Gli strumenti in pietra che troviamo a Herto rappresentano una tecnologia preistorica abbastanza raffinata, ma non troppo diversa da quella con cui venivano elaborati gli utensili in pietra 100 mila anni prima o 100 mila anni dopo.
Non vi sono perline bucate, comuni in siti 60 mila anni più recenti, né sono presenti statuette intagliate o altri oggetti di arte preistorica diffusi nel Paleolitico Superiore in Europa, e neppure traccia di archi e frecce, oggetti in metallo, evidenze di agricoltura e di tutti gli aspetti di innovazione culturale e tecnologica che appariranno in seguito. Tornando indietro nel tempo di soli 160 mila anni da oggi troviamo una umanità moderna ma priva di un tratto fondamentale: la capacità d’innovazione.
Le ossa fossili tuttavia sembrano suggerire un primo emergere di un comportamento socialmente complesso, un indizio di capacità astrattive e simboliche. Dopo il primo cranio, ne ha scoperto un secondo appartenente ad un bimbo di circa 6-7 anni. Dalle ossa del cranio è evidente che il bambino fu scarnificato con cura per una pratica rituale e non per cannibalismo. La superficie del cranio è levigata e consumata come dal ripetuto passaggio di mano in mano. Forse il cranio di questo bambino era conservato con cura, quasi adorato come una reliquia, magari per varie generazioni, finché qualcuno non lo ha riposto qui, a Herto, per l’ultima volta.
3. L’Erectus di Daka
Daka (Homo erectus), un milione di anni
Ad est della penisola di Bouri, in un paesaggio lunare di sabbie grigie scolpite dall’erosione e sollevati dalla loro posizione originaria dai movimenti tettonici, nel dicembre 1997 è stata trovata una parte di cranio di homo erectus datata un milione di anni: Dakanihylo, o “Daka”.
Homo erectus è uno degli ominidi fossili meglio conosciuti. Scoperto per la prima volta nel 1891 in Indonesia, per taglia corporea e proporzioni degli arti aveva un aspetto decisamente moderno.
La sua cultura materiale, nota come Acheuleano, è caratterizzata da strumenti in pietra grandi e simmetrici, le amigdale.
Oggetti meno raffinati di quelli di Herto, ma la loro forma simmetrica riflette una raggiunta abilità mentale, la capacità di realizzare un progetto, individuando la forma finale dello strumento in un pezzo di roccia e trasformandolo con serie di scheggiature successive.
Provvisto di questi strumenti e di un paio di gambe lunghe, H. erectus riuscì a sfruttare un ampio spettro di ambienti e fu probabilmente il primo ominide in grado di uscire dal continente africano, circa due milioni di anni fa, estendendo il suo areale di diffusione sino all’estremo Oriente.
Passando da Herto a Daka, si nota l’assenza di qualcos’altro che caratterizza il nostro essere umani: qualche centinaio di centimetri cubici di materia grigia. La calotta di Daka indica una capacità cranica di 1.000 centimetri cubici, una dimensione normale per Homo erectus, ma assai inferiore a quella dell’uomo di Herto o anche del cranio di Bodo, che con i suoi 600 mila anni si trova a metà strada tra i due. Per non parlare della mancanza di capacità innovative: gli strumenti acheulleani fatti da H. erectus sono rimasti invariati per più di un milione di anni, un lasso di tempo che un famoso antropologo ha definito come un periodo di “impressionante monotonia”.
Ebbe, comunque, un successo incredibile, fu capace di espandere il suo areale di vari ordini di grandezza. H. erectus sta dalla nostra parte rispetto al limite che ci separa dagli ominidi più primitivi; grazie alla sua capacità cranica e all’utilizzo dei suoi strumenti in pietra, ha definito una nuova nicchia ecologica.
4. Australopithecus Gahri: l’immediato predecessore di Homo?
Australopithecus garhi: mandibola di antilope con segni di scarnificazione
A poca distanza dal sito di Daka, nel Bouri, c’è il sito paleoantropologico di Hata dove nel 1996 sono stati trovati reperti risalenti a due milioni e mezzo di anni fa: ossa di antilope, cavallo e di altri mammiferi che recavano tracce di macellazione con strumenti in pietra.
ascia a mano per macellare
La presenza di profonde incisioni sul lato interno della mandibola dell’antilope indica la rimozione della lingua, per cui sappiamo che gli ominidi che producevano gli strumenti in pietra se ne servivano per rimuovere dalle carcasse le parti di cui si nutrivano.
A pochi metri di distanza dalle ossa macellate sono stati trovati un femore, alcune ossa del braccio e la mandibola di un ominide molto diverso da quello che i paleoantropologi si aspettavano: un essere simile alle scimmie antropomorfe.
Questi ritrovamenti raccontano, quindi, il momento in cui la linea evolutiva umana si è divisa, prendendo due direzioni diverse: un ramo del genere Australopithecus si è specializzato in una dieta di tuberi o altre risorse vegetali dure, sviluppando una possente muscolatura per l’occlusione e denti grandi e massicci; l’altro si è caratterizzato invece per ominidi con molari e premolari più piccoli, dalla struttura corporea più esile e dalle gambe lunghe, con dimensioni cerebrali maggiori.
Un cervello grande è un vantaggio evolutivo, ma implica anche un gran consumo di energia. Energia che proviene da una dieta con alto apporto calorico, come quello che può fornire il midollo osseo, ottenuto rompendo le ossa delle carcasse lasciate dai grandi felini. Ciò che non era stato trovato a Hata era un cranio che corrispondesse a questo modello: magari non con un cervello grande come quello di H. erectus, ma certamente sviluppato in quella direzione.
Australopithecus garhi
L’anno dopo, nel 1997, fu scoperto il primo frammento di cranio di un ominide con alcune caratteristiche morfologiche tipiche del genere Homo (denti incisivi e canini), ma con molari e premolari proporzionalmente grandi. Raggiungeva a malapena i 450 centimetri cubici di capacità cranica e, aveva, perciò, un aspetto tipicamente da Australopithecus. Insomma, non era una creatura in grado di dominare l’ambiente come Homo erectus. Era un primate bipede intelligente, che sopravviveva tra predatori più grandi e veloci di lui, cercando di evitare le loro zanne per trasmettere le sue crescenti capacità intellettive alle generazioni future.
Per quest’ominide fu scelto il nome di Australopithecus garhi: in lingua Afar, garhi significa “sorpresa”. Trovato al posto giusto nel momento giusto, Australopithecus garhi potrebbe essere considerato l’immediato predecessore del genere Homo, ma questo è ancora da dimostrare.
5. L’Ardipithecus ramidus: la scoperta più preziosa
Ai margini della piana del Fiume Awash, nel Bouri-Modaitu, c’è il vilaggio di Adgantole abitato dal bellicoso clan Afar degli Alisera. Sulla sponda opposta del fiume c’è il sito paleontropologico di Maka.
Laetoli (Tanzania), Orme di ominidi – 3 milioni e 700.000 anni fa
Il fossile più famoso di Australopithecus afarensis è Lucy, trovato da Donald Johanson a Hadar nel 1974 e pubblicato nel 1979 da Johanson e Tim White insieme ad altri resti sempre di Hadar e del sito di Laetoli in Tanzania.
Ricostruzione al computer del volto di Lucy, scimmia australe della regione di Afar
Vecchia di 3,2 milioni di anni, Lucy aveva un muso prognato e un cervello non molto più grande di quello di uno scimpanzè. Tuttavia la conformazione del bacino e delle ossa delle gambe, oltre alle impronte dei suoi passi rimaste impresse in uno strato di limi vulcanici a Laetoli, rivelano che questa specie era già bipede.
A giudizio di alcuni antropologi tuttavia, le falangi lunghe e ricurve, le lunghe braccia, e altre caratteristiche peculiari, indicano che il suo tipo di locomozione era legato anche a spostamenti tra i rami degli alberi, come gli scimpanzè. La maggior parte dei ricercatori ipotizzava che l’antenato di Lucy avesse le sembianze corporee e il comportamento locomotorio di uno scimpanzè che si sposta tra i rami e, quando è sul terreno, cammina sulle nocche delle mani. Per dimostrare tutto questo con certezza però ci vogliono dei fossili. E la scoperta finalmente è arrivata: uno scheletro molto più primitivo di quello di Lucy.
In direzione sud-ovest nell’area di Awash, c’è il sito Aramis dove è stato trovato Ardi, un posto dalla complessa geologia.
Circa 5,2 milioni di anni fa, un’immensa colata lavica si espanse in un’antica pianura fluviale e andò a costituire la base di appoggio dei successivi depositi sedimentari, i quali, in occasione di nuove eruzioni vulcaniche, venivano coperti da sottili livelli di ceneri la cui colonna si è poi deformata e inclinata verso ovest, facendo affiorare parte dei vecchi sedimenti contenenti le antiche polveri vulcaniche.
Il campo magnetico terrestre nel passato ha ripetutamente invertito la sua polarità e questo fenomeno è rimasto registrato nell’orientamento dei minerali ferromagnetici presenti in alcune rocce. È noto che una di queste inversioni del campo magnetico è avvenuta 4,8 milioni di anni fa, e questo evento è rimasto documentato nei sedimenti del CCA.
Proprio al di sotto di questo segnale cronologico si trova un’area cosparsa di radi cespugli di acacie, dove nel 1994 è stato trovato un frammento di osso mascellare, del tutto confrontabile con i fossili che il team di Meave Leakey aveva trovato, battezzandoli con il nome di Australopithecus anamensis, in due località della Rift Valley del Kenya. Maggiori evidenze sarebbero saltate fuori da un’altra località del Middle Awash chiamata Asa Issie, composta dagli stessi tessuti sedimentari.
Tutti questi fossili sono un po’ più vecchi e un po’ più arcaici di Australopithecus afarensis ma, in base alla morfologia della tibia trovata in Kenya e del femore di Asa Issie, si è stabilito che anche Austrapolithecus anamensis era bipede. Le principali differenze tra le due specie sono legate all’età: questi due nomi specifici rappresentano due momenti consecutivi di un’unica linea evolutiva, senza che sia possibile definire un preciso punto di separazione tra i due.
Sotto i livelli che hanno restituito i fossili di Australopithecus anamensis, nel Middle Awash, la documentazione dell’evoluzione umana s’interrompe. Le argille giallognole su cui stiamo camminando si sono deposte tra 4,4 e 4,3 milioni di anni, quando questa porzione del CCA era un lago simile allo Yardi. Queste argille non contengono altri fossili all’infuori di resti di pesci, ma sotto questi strati nel 1992 è stata rinvenuta un’importante scoperta: il molare di un ominide e un frammento di mandibola di un bambino con ancora un dente in alveolo, molto diversi da quelli fino ad allora conosciuti.
Nel 1994, l’Aramis ha cominciato ad essere esplorato in maniera sistematica. Un paio di chilometri più a ovest trovarono altri resti di ominide: un canino superiore, un molare perfettamente conservato, altri denti isolati, un osso del braccio. Ancora più importante dei fossili di ominide era l’evidenza del contesto ecologico in cui questi antenati vivevano.
Per oltre un secolo, gli scienziati avevano ritenuto che i nostri antenati avessero iniziato a camminare su due zampe quando erano passati da un ambiente di foresta (dove le scimmie antropomorfe vivono ancora oggi) a uno di prateria, dove erano costretti a muoversi in maniera più efficiente su lunghe distanze o a osservare al di sopra del livello delle erbe di savana.
La stragrande maggioranza dei fossili di Aramis però appartiene a primati e antilopi di foresta. Anche il modo con cui sono usurate le superfici dentarie degli ominidi e le analisi isotopiche sulla composizione del loro smalto concordano nell’indicare una dieta ottimale per un ambiente di foresta. Se quindi questo essere era già bipede, stava per cadere uno dei principi intoccabili dell’evoluzione umana. Il nome che fu dato a questo nuovo ominide fu Ardipithecus ramidus (Ardi in lingua Afar significa “terreno” o “base”, e ramid significa “radice”).
Vicino al punto in cui nel 1993 era stato trovato il dente, fu trovato un ossicino del polso, poi altre ossa della mano e del piede, una tibia, un cranio e un bacino, entrambi molto danneggiati: avevano trovato lo scheletro di un individuo completo come quello di Lucy, ma diverso da qualsiasi ominide conosciuto prima. I resti di quest’antica donna furono inglobati nel fango e riemergevano dopo 4,4 milioni di anni.
Il recupero completo dello scheletro richiese altri due anni di lavoro, in tutto 125 ossa.
Particolarmente significativo è il piede di Ardi.
Nell’uomo e negli altri ominidi, quest’osso è orientato in modo che l’alluce sia allineato alle altre dita, contribuendo alla forte spinta in avanti del nostro passo bipede.
Nelle scimmie antropomorfe questa articolazione è diretta in modo differente, così che l’alluce può essere aperto e fare presa opponendosi alle altre dita sui rami degli alberi. In quest’aspetto cruciale, Ardi è come una scimmia antropomorfa, ma in altre parti del piede le varie morfologie presenti sono tali da averle consentito di camminare eretta.
Ardipithecus ramidus – inizi del Pliocene
In ogni parte anatomica analizzata gli scienziati ritrovavano questo bizzarro mosaico di morfologie: tratti molto primitivi, assieme ad altri decisamente avanzati, esclusivi degli ominidi. Ardi non era solamente un altro bipede o un quadrupede generalizzato: era entrambe le cose.
Sarebbe errato definire Ardipithecus ramidus “un anello di congiunzione” tra la specie Homo e i primati scimmieschi, perché ormai sappiamo che le forme intermedie tra lo scimpanzè e l’uomo sono state molte: non c’è stata una sola evoluzione, ma molte linee evolutive.
Il ritrovamento di Ardi ha permesso di pensare all’evoluzione umana come a una successione di tre stadi.
Il primo stadio è quello rappresentato da Ardipithecus, un bipede primitivo con un piede nel passato e uno nel futuro, con i canini superiori ridotti che minimizzano il dimorfismo sessuale e un adattamento a un ambiente di foresta.
Seguono poi un paio di milioni di anni in cui è esistito il genere Australopithecus – ancora di capacità cranica ridotta ma del tutto bipede e non più limitato agli ambienti di foresta, con un areale geografico che si estende per 2.500 chilometri a est della Rift Valley. Uno stadio dell’evoluzione degli ominidi di grande successo nello spazio e nel tempo.
Tim White, lo scopritore di Ardi
Non è facile stabilire se Australopithecus si è evoluto da Ardipithecus. Non sappiamo cosa sia successo tra questi due stadi evolutivi. Finché non saranno scoperte nuove evidenze non si potrà dire con certezza se Ardi sia la “madre” di Lucy o solo una “zia zitella” che si è estinta senza discendenza.
Secondo Tim White, è più interessante chiederci se è possibile che Australopithecus derivi solo in parte da Ardipithecus.La genetica dice che piccole alterazioni nei geni che regolano la crescita possono avere come conseguenza delle variazioni anatomiche importanti in tempi rapidissimi. Se la capacità di camminare eretti in modo efficiente si è rivelata un grande vantaggio, continua White, la sola selezione naturale sarebbe stata un processo troppo lento per evolvere un alluce in linea con le altre dita e modificare tutta la struttura dello scheletro.
Lo stesso ragionamento può essere applicato alla transizione da Australopithecus al terzo stadio del nostro schema. Si comincia imparando a scarnificare le carcasse e a cibarsi di cibo più nutriente per consentire l’espansione della capacità cranica e di sviluppare migliori capacità di sfruttamento delle risorse, et voila: Daka, Bodo, Herto, noi. La nostra capacità di conoscere il percorso evolutivo umano si basa anche su fossili di altre regioni dell’Etiopia o di altri paesi, in alcuni casi con resti migliori di quelli del Middle Awash, ma nel complesso tutta questa documentazione fossile ci dimostra che l’evoluzione consiste nel costruire qualcosa di nuovo su ciò che esisteva già.
«È come l’assemblaggio di un’automobile», spiega White: «La bipedia è la carrozzeria. La tecnologia è il corpo. Il linguaggio è il motore, inserito verso la fine della catena di montaggio; poi compaiono tutti i vari inutili accessori».
6. L’Ardipithecus kadabba
femore Orrorin tugenensis
Ai piedi di colline ad ovest della Valle dell’Awash sono stati trovati da Yohannes Haile-Selassie frammenti di ossa di ominide ancora più vecchi, risalenti a 5,8 milioni di anni fa denominati Ardipithecus kadabba. Per molti Ardipithecus kadabba è una “cronospecie” di Ardipithecus ramidus, ovvero una vecchia versione dello stesso modello.
White e colleghi sono propensi a inserire in questo continuum evolutivo altri due ritrovamenti molto antichi: frammenti di femore di sei milioni di anni trovati in Kenya e attribuiti a Orrorin tugenensis, nonché l’enigmatico cranio trovato in Ciad e battezzato Sahelanthropus tchadensis, risalente a quasi sette milioni di anni fa.
Orrorin tugenensis
Sahelanthropus-tchadensis
Orrorin tugenensis sarebbe uno dei primi ominidi adattati all’andatura bipede. I femori degli ominidi e quelli delle grandi scimmie si sono evoluti in differenti direzioni da una morfologia più primitiva e Orrorin si situa in un punto intermedio tra le scimmie del Miocene e le australopitecine.
Ciò delinea uno scenario evolutivo un po’ diverso da quello comunemente accettato. I primi ominidi bipedi, tra cui Orrorin, si sarebbero evoluti dalle precedenti grandi scimmie del Miocene ancora prevalentemente arboricole, ma che possedevano già in larga parte la stazione eretta. Ciò confermerebbe che nelle grandi scimmie attuali l’anatomia del femore ha seguito un adattamento successivo e legato alla sospensione ai rami degli alberi.
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