Archive for ‘Filosofia’

1 Giugno, 2013

Giorgio Fazio, Il doppio volto dell’alienazione. La nuova teoria critica di Rahel Jaeggi

by gabriella

Nel primo artkippbilder-3icolo della rubrica Kippbilder. Attualità filosofica dalla Germania, ospitato dal Rasoio di Occam, la nuova teoria dell’alienazione proposta da Rahel Jaeggi in Entfremdung, Zur Aktualität eines sozial-philosophischen Problems.

antonioniIn questo testo del 2005, l’autrice ripensa in senso antiessenzialista  – e in ciò certamente più marxiano del Marx dei Manoscritti un’alienazione intesa non più come lontananza da una presunta autenticità originaria, ma come perdita di controllo da parte dei «soggetti – individuali o collettivi – sulle proprie azioni [e, dall’altra, come] l’impossibilità di questi soggetti d’identificarsi in maniera ricca di senso con ciò che fanno e con coloro con cui lo fanno». Congedandosi da Hegel ed Heidegger, Marcuse e Fromm, l’alienazione di Jaeggi si confronta così con i processi di soggettivazione e con le possibilità di autodeterminazione attivabili nella tarda modernità.

Al pari di altri termini fondamentali della letteratura filosofica del Novecento, anche il concetto di “alienazione” ha subito negli ultimi decenni un processo di progressivo eclissamento dal dibattito teorico e politico, che solo negli ultimi anni sembra, in parte, essersi arrestato. Questo processo di marginalizzazione risulta tanto più evidente quanto più si richiama alla memoria la centralità rivestita da questo concetto nel dibattito filosofico, politico e culturale del XX secolo. La critica dell’alienazione non è stata infatti soltanto uno dei capisaldi teorici del “marxismo occidentale” e della prima teoria critica francofortese, nonché, su un altro versante della filosofia novecentesca, dell’esistenzialismo tedesco e francese. Nella seconda metà del Novecento, questa modalità di critica filosofica delle forme di vita moderne è assurta a vessillo di un’intera stagione politica e culturale. Essa ha costituito la fonte d’ispirazione di opere letterarie, artistiche, cinematografiche ed è divenuta una lente di analisi politica, sociologica e psicologica che è entrata a far parte del linguaggio comune.

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1 Giugno, 2013

Aldo Marroni, Ospitalità

by gabriella

Una filosofia dell’ospitalità

klossowski[…] Quella di Klossowski può essere considerata un’inedita filosofia dell’ospitalità, soprattutto perché centrata su un’esperienza pervertita nella sua natura convenzionale, nella quale tale costume assume un senso essenziale ed enigmatico (Perniola 1990), ruotando su stessa con un movimento vizioso e impuro. Essa, tuttavia, non sorge sulla spinta di qualche fenomeno sociale di cui solo in questi ultimi tempi abbiamo costatato e vissuto gli aspetti più drammatici. Non è una teoria che cerca di interpretare i mutamenti apportati dall’avvento delle società multirazziali e multiculturali fornendone una giustificazione teorica a posteriori. Nelle sue conclusioni “impure”, tuttavia, sembra aprire un indiscutibile varco alla presenza di molte singolarità. Infatti, il concetto di ospitalità, proposto da Klossowski già a partire dai suoi esordi come pensatore e scrittore, prepara il terreno all’avvento di un sentire, a un pensiero pronto a revocare l’intoccabile centralità del soggetto cartesiano, a prendere atto serenamente della fine di concezioni forti e immutabili sulle quali l’Occidente ha innalzato le sue fondamenta culturali e il suo potere etnico. Intorno al tema dell’ospitalità è tuttavia necessario registrare subito due notevoli interventi di cui è opportuno dare qui brevemente conto, sia per l’apporto di idee, sia per far risaltare l’originalità della proposta del filosofo francese che, è bene ribadirlo, è improntata a un forte sentire filosofico.

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1 Giugno, 2013

Mario Perniola, Stranieri a se stessi

by gabriella

L’alternativa tra l’amore verso lo straniero e la paura nei suoi confronti, all’interno della quale resta prigioniero oggi il sentire occidentale, nasconde una realtà più sconvolgente: il fatto che il mondo occidentale sta diventando estraneo a se stesso. Ora, ci sono molti modi di provare un senso di estraneità nei confronti di se stessi, alcuni dei quali appartengono da tempo alla cultura occidentale. Per esempio la “mania”, di cui parlavano gli antichi greci distinguendone quattro specie (profetica, liberatoria, poetica ed amorosa). È indubbiamente una forma non patologica di estraneità nei confronti di se stessi, che ha esercitato un’enorme influenza attraverso i secoli. L’introduzione della nozione di inconscio nella cultura del Novecento ha poi aperto nuovi vastissimi orizzonti a questa problematica, accrescendo enormemente la conoscenza dei dispositivi profondi che operano occultamente nel modo di essere occidentale.

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29 Maggio, 2013

Gilles Deleuze, P comme professeur

by gabriella

Insegnare ed essere professore per Gilles Deleuze, in un frammento dell’intervista nota come L’Abécédaire de Gilles Deleuze, messa in onda da Arte dopo la sua morte (4 novembre 1995). La versione sottostante è sottotitolata in spagnolo.

 

Parnet: Oggi hai 64 anni e durante gli ultimi quaranta sei stato professore. Prima al Liceo, poi all’Università. Dunque quest’anno è il primo in cui le tue settimane sono senza lezioni. Ti mancano? Anche perché tu dicevi di aver tenuto con passione i tuoi corsi. Ti manca oggi, non tenere corsi?

Deleuze: No, per niente, per niente. E’ vero che ciò è stato la mia vita, una parte della mia vita molto importante. Ho amato profondamente fare lezione, però quanto sono andato in pensione sono stato felice perché avevo meno voglia di insegnare. E’ molto semplice la questione dell’insegnamento. Io credo che tenere lezioni sia .. ha il suo equivalente in altri campi .. ma credo che un corso sia qualcosa che si prepara moltissimo e questa è forse la ricetta di molte attività, se si vogliono cinque, dieci minuti o più di ispirazione, allora bisogna prepararsi molto, moltissimo, per avere questo momento. Allora io mi rendevo conto che più andavo avanti, più lo facevo, e amavo farlo, dovevo prepararmi molto per avere questi momenti d’ispirazione. E più andavo avanti e più dovevo prepararmi a lungo per avere un’ispirazione sempre più modesta. Quindi era ora (ride) e non mi è piaciuto affatto, perché fare lezione è qualcosa che ho amato più di altre cose di cui avevo meno bisogno. Allora ciò che mi resta è scrivere, non pone problemi, ma non mi piace affatto. Però ho amato profondamente fare lezione, si.

Parnet: E per esempio, quando dici “prepararsi molto”, quanto tempo ti prendeva prepararti?

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21 Maggio, 2013

Pensare il rapporto tra uomo e animale

by gabriella

uomo animaleUn bel saggio di Marco Maurizi, L’animale dialettico, sul rapporto uomo/natura, uomo/animale nella Scuola di Francoforte. Considerando la trattazione del passaggio dalle società di caccia e raccolta alle società stanziali e del prezzo che l’uomo paga in quella costruzione violenta de Sé chiamata educazione, questo articolo completa e spiega il precedente di Jared Diamond sulla sicurezza e socialità dei bambini delle società tradizionali.

L’affermazione del Sé è determinata dalla negazione dell’altro-da-sé e questo processo – che accompagna e sostiene, a un tempo, il processo di civilizzazione in senso ontogenetico e filogenetico – deve essere letto come trionfo e fallimento della cultura. Laddove questa infatti riesce ad estirpare ogni ricordo della natura da cui proviene, la cultura trionfa. Ma proprio in quanto rimuove – in senso psicoanalitico – il ricordo di ciò che essa, nonostante tutto, ancora è, fallisce il suo scopo: la costruzione di una società “umana”, laddove l’umano ha qui il senso di “civile”, cioè “non bestiale”.

Marco Maurizi

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19 Maggio, 2013

Marco Dotti, Testa ben piena o ben fatta? Il terzo istruito di Michel Serres

by gabriella

Serres

L’agile ricognizione del pensiero educativo di Michel Serres tratteggiata da Marco Dotti in occasione della traduzione italiana di Non è un mondo per vecchi per Bollati Boringhieri.

Nel ventiseiesimo capitolo del primo libro dei Saggi, Michel de Montaigne scriveva:

«Non c’è ragazzo delle classi medie che non possa dirsi più sapiente di me, che non so nemmeno quanto basta a interrogarlo sulla sua prima lezione».Montaigne

Che cosa accadrebbe, si chiedeva Montaigne, se a quella lezione si fosse in qualche modo costretti? Non ci si troverebbe – «assai scioccamente», puntualizzava – vincolati a una costrizione ancora più grande? Non saremmo costretti a servirci di «qualche argomento di discorso più generale, in base al quale esaminare l’ingegno naturale dei ragazzi: lezione sconosciuta tanto a loro quanto a me»?

Il saggio che Montaigne pone al centro della sua idea di educazione è ricordato soprattutto per un’altra affermazione, che ha assunto il ruolo di massima e come ogni massima ha subito il non sempre fausto destino di essere più citata, che compresa. Montaigne affermava, infatti, che è meglio una testa ben fatta, che una testa ben piena.

Parlando di «tête bien faite» e contrapponendola alla «tête bien pleine» intendeva riferirsi prima di tutti al precettore, all’insegnante e, per estensione, anche al ragazzo che dovrebbe essere assecondato nel desiderio. Altrimenti, scrive, concludendo la propria dissertazione, «non si fanno che asini carichi di libri». Ma che cos’è un «asino carico di libri»?

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9 Maggio, 2013

Francescomaria Tedesco, Kafka il dio delle talpe

by gabriella

Talpa europaea“Bisogna sdraiarsi per terra fra gli animali per essere salvati”.

Così Elias Canetti traduceva in un lampo di antropologia filosofica l’interpretazione di un sogno che Franz Kafka diede per Felice, nel quale le spiegava che se non si fosse sdraiata non sarebbe sopravvissuta all’‘angoscia della posizione eretta’, così la chiama Kafka. Sdraiarsi per terra in mezzo agli animali significa non solo ‘scendere dal livello umano a quello bestiale, ma non rappresentare più un bersaglio facilmente individuabile. La posizione eretta è la posizione del potere, ma è anche (o forse proprio per questo) la posizione della vulnerabilità. Kafka usava, nella sua relazione con il potere, questo escamotage: farsi piccolo piccolo, immedesimarsi con gli esseri più minuscoli, oppure fare della propria magrezza lo stigma della sua resistenza, o sarebbe meglio dire ostinatezza.

In una lettera a Max Brod del 1904, Kafka ventunenne descrive l’incontro tra lui e il suo cane, e una talpa. Il cane, incuriosito dalla talpa, le saltava addosso. La talpa terrorizzata emetteva un sibilo, uno ‘cs, css’. Secondo Canetti, che riporta l’episodio in un breve testo tratto dall’Altro processo e di recente ripubblicato in Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione (Adelphi, Milano 2013), a un certo punto Kafka si immedesimerebbe nella talpa, rispondendo a quel suo modo di metamorfarsi in ciò che è piccolo:

“Cs, css, grida la talpa, e in virtù del suo grido lui, che sta a guardare, si trasforma in talpa, e senza dover temere il cane, che è suo schiavo, sente che cosa vuol dire essere talpa” (p. 43).

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9 Maggio, 2013

Daniele Balicco, Pietro Bianchi, Interpretazioni del capitalismo contemporaneo/ 2. David Harvey

by gabriella

david-harveyLa seconda voce dedicata alle interpretazioni del capitalismo contemporaneo da Balicco e Bianchi, pubblicata da Le parole e le cose. La prima, sul pensiero di Fredric Jameson, è accessibile qui. Di Harvey è disponibile Breve storia del neoliberismo.

Molto diversa rispetto a quella di Jameson – che resta, nella solo apparente bulimia teorica, un marxista occidentale standard – l’impostazione teorica di David Harvey. A dire il vero, il suo percorso intellettuale è così particolare da poter essere considerato quasi un unicum all’interno delle vicende del marxismo internazionale di fine secolo. Non soltanto perché il suo ambito disciplinare – la geografia – lo colloca in una posizione strutturalmente eterodossa rispetto alla tradizione marxista, ma anche per il relativo isolamento che caratterizzerà buona parte della sua vita intellettuale, fino all’indubbio successo degli ultimi anni.

Harvey compie la sua formazione all’Università di Cambridge; le sue prime ricerche di geografia storica riguardano la coltivazione del luppolo nel Kent del XIX Secolo. Anche il suo primo lavoro importante, Explanation in Geography8, pubblicato nel 1969, è relativamente tradizionale. Tuttavia già in questi primi anni di apprendistato si nota un bisogno positivista di dare respiro sistematico ad un disciplina, come la geografia, ancora chiusa in quello che Harvey definisce «eccezionalismo», ovvero la tendenza a concepire i propri oggetti di studio come una sequenza di casi particolari sprovvisti di una qualsivoglia legge universale9. La svolta, allo stesso tempo politica e accademica, avviene nel 1970 con il trasferimento negli Stati Uniti, alla Johns Hopkins University di Baltimora. Qui Harvey inizia a lavorare in un dipartimento interdisciplinare che amplia i suoi punti di riferimento teorici ben oltre i confini della geografia; incontra un milieu teorico già orientato verso tematiche radicali, il movimento contro la guerra del Vietnam e una città che può essere considerata un laboratorio di sviluppo urbano contemporaneo per le vertiginose ineguaglianze sociali che produce.

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5 Maggio, 2013

Vincenzo Vitiello, De Amicitia. Derrida critico di Schmitt

by gabriella

JacquesDerridaSchmittTraggo dal Centro studi Campostrini questo studio sul confronto di Derrida con Carl Schmitt.

È in Politiques de l’amitié [1], ancor più che in Spectres de Marx[2], che l’orientamento politico, direi: la ‘destinazione’ politica, della filosofia di Derrida, anche delle analisi teoriche più astratte ed apparentemente lontane da ciò che si è soliti indicare col termine ‘politica’ – un singolare che a Derrida non piaceva, come già il titolo del libro rileva –, ha trovato la sua più convinta espressione. La politica, infatti, non è stata per il filosofo francese un tema di riflessione accanto ad altri; è stata anzitutto fonte di ‘responsabilità’. Lo attesta il confronto con Schmitt, che di questo libro costituisce la struttura portante, la cui motivazione originaria è nella dichiarata ‘esigenza’ di comprendere perché

«questo giurista ipertradizionalista della destra cattolica»

ha suscitato tanta simpatia

«in certi circoli del pensiero politico di sinistra».

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5 Maggio, 2013

Marc Crépon, Kafka e Derrida: l’origine della legge

by gabriella

JacquesDerridaSul fondamento della legge e dell’autorità in Jacques Derrida e Franz Kafka, dal Rasoio di Occam.

Les lois se maintiennent en crédit, non par ce qu’elles sont justes, mais par ce qu’elles sont lois. C’est le fondement mystique de leur autorité ; elles n’en ont point d’autre. (…) Quiconque leur obéit parce qu’elles sont justes, ne leur obéit pas justement par où il doit.

Montaigne, Essays, III, 13

L’un dit que l’essence de la justice est l’autorité du législateur, l’autre la commodité du souverain; et c’est le plus sûr: rien, suivant la seule raison, n’est juste en soi; tout branle avec le temps. La coutume fait toute l’équité, par cette seule raison qu’elle est reçue; c’est le fondement mystique de son autorité. Qui la ramène à son principe, l’anéantit.

Pascal, Pensées, 294

Quando ci si interroga sulla relazione tra diritto e letteratura, viene subito in mente un terzo termine, senza che si sappia in anticipo quale statuto accordare alla cosa che designa: se quello di una disciplina, di un sapere o di un ordine del discorso. È la filosofia. Da lungo tempo essa riflette sia sull’uno che sull’altra: esiste una “filosofia della letteratura” come esiste una “filosofia del diritto”. Ma, soprattutto, una delle sue domande ricorrenti essendo l’origine della legge, la filosofia ha sempre fatto ricorso a delle “finzioni” per tentare di dare risposta a questo enigma. Limitandoci a due esempi, è il caso della novella di Rousseau sull’uscita dallo stato di natura, nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini. E vale lo stesso per il modo in cui Freud rende conto dell’origine della colpa, del divieto e della legge – quindi di tutte le istituzioni morali e giuridiche – in Totem e tabù, con la sua storia dell’orda primordiale e del parricidio. Subito sorge una domanda, tuttavia: questi testi possono ritenersi “letterari”? Qual è il loro statuto? E chi è in grado di stabilirlo? A quale tribunale devono sottomettersi perché sia emesso il verdetto? A quello dei giuristi, a quello dei teorici della letteratura, a quello dei filosofi o degli psicanalisti?

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