Archive for ‘Scuola Pubblica’

11 Febbraio, 2012

Enrica Rigo, Maurizio Ricciardi, Il diritto d’accesso negato dalla meritocrazia

by gabriella

Tratto da Manifesto dell’11 febbraio 2012.

Bourdieu[…] In Italia, vi sono stati anni (non molti purtroppo) in cui nelle università vi erano, insieme agli altri, i figli degli operai. Vi è stata una generazione (o forse più d’una) per la quale “mobilità sociale” ha significato poter rivendicare con orgoglio di essere la prima o il primo laureato o diplomato in famiglia. Ma questo non ha nulla a che fare con “l’essersi fatti da soli”. È stato fatto dalla scuola pubblica, dall’università pubblica.

Sulla funzione che altrimenti l’istruzione ha anche nei sistemi democratici varrebbe la pena rileggersi le pagine di Pierre Bourdieu che mostrano come la monopolizzazione del capitale culturale è funzionale alla costruzione di gerarchie invalicabili, alla istituzionalizzazione di modi di dominazione che pretendono che i dominati riconoscano come giusta la propria subordinazione. Certo, sembra difficile immaginare di trovare i volumi di Bourdieu nella biblioteca privata di chi accusa gli studenti fuori corso (lavoratori?) di essere degli “sfigati” o i precari che non riescono a pagarsi l’affitto dei “cocchi di mamma”. Sono probabilmente spariti anche dalle biblioteche di molti “progressisti”. Non è raro, infatti, trovare in giornali del centro-sinistra le storie di successo di “giovani ricercatori meritevoli” che sono riusciti ad affermarsi “nonostante tutto”, magari all’estero, sia pure utilizzate per denunciare l’inadeguatezza del sistema italiano nel comprenderne il talento. Merito e talento vengono trattati come qualità “naturali”, legittimando esplicitamente la meritocrazia come capacità del sistema di saper riconoscere e premiare nella giusta misura chi è stato baciato dalla sorte con tali doti.

la scuola di EnricoMa se bisogna riconoscere una ricchezza all’istruzione pubblica italiana, questa è proprio la sua inclusività. Merito e eccellenza non sono doti “naturali”, ma il prodotto di un sistema che consente a Franti e Garrone di avere Derossi come compagno di banco (e si spera che almeno il libro Cuore sia stato letto da Monti a Martone). Nell’alimentare i falsi miti, il governo dei professori sembra voler realizzare la terrificante utopia negativa descritta da Michael Dunlop Young nel suo The Rise of Meritocracy, dove sono i secchioni a governare il mondo, in quanto ultima e più perfetta espressione di un mondo diviso prima in caste e poi in classi. È questo l’unico significato che bisogna tornare ad attribuire al termine meritocrazia. Ed era anche quello che gli attribuiva il vecchio laburista Young, tranne dover poi registrare con rammarico che il New Labour di Tony Blair la considerava un valore positivo.

Vice-ministro del governo Monti

Vice-ministro del governo Monti, nel gennaio 2012 Michel Martone dà dello “sfigato a chi laurea a 28 anni

Le esternazioni di Martone non sono gravi perché urtano la sensibilità di qualcuno. I passaggi politicamente eloquenti, quasi ignorati dalla stampa, sono quelli dove il sottosegretario loda i giovani figli di immigrati che scelgono gli istituti tecnici invece dei licei. Ovvero, che scelgono di “stare al proprio posto”Monti e Cancellieri sono ben consapevoli che il desiderio di un “posto fisso” può, in realtà, celare l’insidiosa aspirazione a uscire dalla subalternità a cui il precariato costringe in quanto condizione di vita. Il “posto fisso” contempla l’insidia del rifiuto e dell’indisponibilità al lavoro a ogni costo […].

Ma forse rimane un ultimo conmalcolmsiglio di lettura da dare ai professori e ai loro portaborse. Vi è un passaggio, nell’autobiografia di Malcom X, nel quale è descritta una conversazione tra il giovane Malcom e un suo professore di liceo. Interrogato su che lavoro vorrà fare, Malcom risponde senza rifletterci che vuole diventare avvocato. Il prof. Ostrowski, sorpreso, paterno e senza cattive intenzioni, lo esorta a essere realista. Gli spiega che “per il fatto di essere un negro” è meglio che pensi di fare il falegname. Certamente è in quel momento che il giovane Malcom diviene consapevole di cosa avrebbe fatto da grande.

1 Febbraio, 2012

Silvia di Fresco, Matteo Vescovi, L’arrestabile ascesa della scuola delle competenze. Alcune riflessioni sui cambiamenti in atto nel sistema scolastico italiano

by gabriella

Un’ottima ricognizione degli antefatti, delle mistificazioni e degli scopi inconfessabili di vent’anni di programmatico declino scolastico italiano. Bello anche il titolo che mi fa venire in mente la brechtiana “resistibile ascesa” di Hitler e la necessità che gli insegnanti italiani escano dal torpore inconsapevole che li ha avvinti e rifiutino di collaborare alla “soluzione finale”.

State pur tranquilli
ci saranno sempre
più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli

G. Gaber, La razza in estinzione

1. Società della conoscenza/società del controllo di Silvia Di Fresco

Sulle pagine della rivista «L’ospite ingrato» dedicata al tema della conoscenza, Sergio Bologna1, dopo aver sottolineato l’inefficacia dell’attuale sistema formativo, concludeva il suo articolo chiedendosi quale possa essere il futuro degli studi umanistici in un contesto in cui il lavoro, e il suo linguaggio, sono altamente dominati dalla tecnologia.

Il problema ovviamente non riguarda solo l’Italia e non coinvolge solo aspetti interni alla didattica, ma riguarda il modello di società che saremo in grado di immaginare per risolvere i giganteschi problemi ecologici e sociali che il pianeta si trova ad affrontare. È quella che recentemente Martha Nussbaum ha definito come «crisi dei saperi socratici» [Internazionale, 870, pp. 36-42], cioè di quei saperi che sviluppano competenze non misurabili come la capacità di confrontarsi e mettersi in discussione, di assumere il punto di vista dell’altro, di produrre soluzioni innovative (e non esecutive) rispetto ai contesti in cui sorgono i nostri problemi.

Saperi che rappresentano le finalità di un’educazione rivolta alla costruzione di una comunità democratica, all’interno della quale l’insegnamento di materie letterarie e scientifiche va salvaguardato rispetto a un’educazione schiacciata sui saperi tecnici e specialistici. Sostiene la Nussbaum che tali insegnamenti hanno persino una finalità economicistica indiretta in quanto

l’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte, creative. La letteratura e le arti stimolano queste facoltà. Quando mancano, la cultura aziendale perde colpi in fretta2.

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25 Gennaio, 2012

Gianfranco Marini, La qualità della scuola. Modelli scolastici a cronfronto

by gabriella

Liceo Darwin

La documentata ricognizione di Gianfranco Marini su cos’è e come si realizza la qualità nella scuola.

Il Problema
Quali indicazioni si possono trarre dal successo delle politiche di riforma scolastica che hanno portato avanti altri paesi? Non certo la dogmatica assunzione di forme da applicare meccanicamente alla realtà scolastica di un paese come l’Italia, ma possono certamente essere tratte indicazioni e linee guida generali su come si dovrebbe agire e anche criteri per valutare come si agisce.
In altre parole non si tratta di copiare i contenuti di qualche mirabolante e rivoluzionaria riforma scolastica realizzata da altri, ma di cercare di capire come essi abbiamo proceduto: non che cosa hanno fatto, ma come lo hanno fatto.

La riforma della Scuola in Finlandia
Interessanti spunti per riflettere su come sia possibile riformare un sistema scolastico, su quali siano le sfide politiche ed educative cui si va incontro e quali  le modalità più opportune per pianificare e attuare le riforme in termini di tempi e risorse, ci è offerto da un interessante articolo comparso su Oxydiane, “La riforma che ha cambiato la scuola in Finlandia“, in cui non trovo nessuna indicazione precisa relativa alla data di pubblicazione e all’autore.
L’articolo è puntuale e preciso e costituisce un ottimo punto di partenza per chi voglia ulteriormente approfondire l’argomento, grazie all’apparato di note, documentazione allegata, precisi riferimenti, con cui viene supporta la descrizione del processo riformatore finlandese.

Alcune caratteristiche della scuola finlandese e del modo in cui è stata riformata
Consiglio la lettura dell’intero articolo e mi limito a sottolineare i punti che più mi interessano, anche in relazione alla attualità politica italiana e alla riforma nota come “La buona scuola
# scuola primaria comune fino a 16 anni articolata e della durata complessiva di nove anni, in cui si distinguono due segmenti: 6 + 3 anni (elementari e medie nostre) e scuola superiore di 3 anni
 scuole di dimensioni piccole / medie con un massimo di 300/500 alunni, in cui tutti si conoscono e la scuola è una effettiva comunità di apprendimento caratterizzata da un forte senso di appartenenza, l’opposto di quanto si è fatto in Italia con la riforma Gelmini;
 gradualità del processo di riforma che è attuata a “piccoli passi” e in tempi lunghi in quanto prende le sue mosse nel 1972 e si può dire portata a termine nel 2002
la riforma viene affrontata da un sistema politico e partitico che condivide gli obiettivi, è consapevole dell’importanza della formazione, gestisce in modo unitario il lungo processo di transizione, concordo sui tratti essenziali del processo di trasformazione della scuola ed è disposto a investire nell’istruzioneconsiderandola “strategica” per il paese;
la riforma non viene “pensata” e “attuata” a prescindere dagli operatori della scuola e ponendo questi di fronte al fatto compiuta, ma assumendo la “politica scolastica” come punto essenziale della riforma.Riformare non vuol dire calare dall’alto modelli di “buona scuola” preconfezionati a tavolino, ma guidare un processo pluriennale di costruzione collaborativa di un nuovo sistema partendo dal basso
importanza che viene data alla scuola intesa come ambiente di apprendimento dotato di tutti gli strumenti, gli spazi e le risorse necessarie all’apprendimento e insegnamento.
GERM e ARM?
Questione capitale è il modello di sistema educativo che si intende realizzare attraverso il processo di riforma, occorre averne una chiara visione per poter procedere con efficacia nell’attuare una riforma di un sistema così complesso come quello scolastico. La totale assenza di una simile visione complessiva, ha sempre brillato per la sua assenza, in tutte le pseudo – riforme portate avanti in questi ultimi anni dai governi italiani che infatti sono state caratterizzate da: incoerenza, pressapochismo, contraddittorietà, inconcludenza, etc. Basti pensare che nel giro di pochi anni il sistema di reclutamento dei docenti è stato cambiato 4 volte per cui ora esistono contemporaneamente, 4 tipologie di “aspiranti docenti”, tutti divenuti tali in pieno rispetto delle leggi emanate in materia dal ministero e tutti incerti sul loro futuro perché non si riesce a comporre in un quadro unitario la loro situazione normativa. Si leggo questa testimonianza di Carlo Mazza Galanti sulla follia del sistema d reclutamento dei docenti in Italia dal titolo significativo “Come farsi passare la voglia di diventare insegnanti
A livello internazionale si possono considerare prevalenti due diverse concezioni, radicalmente differenti, di cosa debba intendersi per “sistema educativo scolastico”. Si tratta dei Modelli GERM (Global Education Reform Movement) e ARM (Alternative Reform Movement), che cercherò di descrivere per sommi capi e che costituiscono il riferimento delle politiche educative dei paesi OCSE, con una netta prevalenza per la ricetta neoliberista del prescritta dal modello GERM.Il modello GERM
Il modello GERM è quello che equipara la scuola a un sistema produttivo e adotta le logiche dellagestione aziendale: valutazione docenti, studenti, accountability, test di misurazione, definizione di standard, adozione delle TIC, ecc. Sorge negli anni ’80 in U.S.A., Gran Bretagna, Australia, diviene ortodossia didattica nell’età di Reagan e della Thatcher, ispira la rifondazione delle scuole anglossassoni sulla base della competitività e della standardizzazione.
Il modello del mercato viene applicato alle istituzioni scolastiche che devono entrare in concorrenzatra loro, in questo modo sarebbero costrette a migliorare la loro offerta. Tassello fondamentale di questa concezione è la possibilità di misurare la qualità dell’istruzione offerta dalle singole scuole e perfino dai singoli docenti. Questo il contesto entro cui trovano collocazione le prassi valutative fondate sull’uso dei test.
Per meglio comprendere le caratteristiche del modello GERM consigli la lettura dell’articolo di Pasi Sahlberg Global Education Reform Movement is here!, che ha scritto anche un pezzo per The Guardian dall’inequivocabile titolo The PISA 2012 scores show the failure of “market based” education reform.
Tale prassi viene fatta propria dalle agenzie internazionali di valutazione, che su tale fondamento ideologico neoliberista costruiscono un sistema di monitoraggio e comparazione dei sistemi formativi, come quello OCSE – PISA la cui attenzione si focalizza però solo su alcune competenze: Literacy e Numeracy, escludendone completamente altre.
La strategia messa in atto da Invalsi con le sue prove di “valutazione” del successo scolastico, si basa su una strategia di accountability fondata sui test, che è estranea al nostro sistema scolastico e agli obiettivi che, a partire dal dettato costituzionale, essa da sempre persegue. Insomma pretendere di valutare la nostra scuola con i test Invalsi sarebbe come pretendere di misurare la distanza tra Roma e Milano in Chilogrammi. A proposito della validità scientifica dei test Invalsi segnalo uno dei tanti articoli del matematico Giorgio Israel a proposito della situazione della scuola italiana e dei test Invalsi, dal titolo La scuola e il crollo del buon senso

Il modello ARM
Il modello ARM (Alternative Research Movement) è più umanistico ed è fondato sulla autonomia delle istituzioni scolastiche con pochi standard nazionali e punta sulla formazione del personale docente e la sua autonomia in qualità di professionisti. Nel modello ARM si punta sulla collaborazione e non sulla competizione tra studenti, docenti e scuole, anzi tale idea è del tutto assente. Il modello ARM è quello scelto dalla scuola finlandese, caratteristiche principali del modello ARM in Finlandia sono:
– fiducia nei docenti e dirigenti che sono considerati professionisti di alto livello e che sono formati secondo percorsi chiari e affidabili;
– vengono incoraggiate a tutti i livelli (dirigenti, docenti, studenti) il pensiero critico, la creatività, l’immaginazione, la proposta di nuove soluzioni e idee;
– Finalità ultima dell’apprendimento e dell’insegnamento sono il piacere di apprendere, infondere curiosità e sviluppare lo sviluppo complessivo di chi apprende.

Cosa si può imparare dalla riforma scolastica finlandese?

1. I tempi di una riforma scolastica
I tempi sono quelli lunghi e vanno gestiti da un ceto dirigente lungimirante, il contrario delle mille riforme che la scuola italiana ha dovuto subire e che si caratterizzano per i brevissimi tempi di incubazione e la totale incapacità di affrontare il problema in modo sistemico, limitandosi a intervenire solo in alcuni settori e senza curarsi della coerenza degli interventi con il sistema nel suo complesso. La riforma Gelmini è stata pensata in pochi mesi e attuata immediatamente con obiettivi prevalentemente finanziari (risparmiare). La Riforma Gelmini – Renzi, nota con quello che pare più uno slogan che un’idea per riformare la scuola (La Buona Scuola), viene considerata intoccabile e scodellata in pochi mesi all’opinione pubblica e ai soggetti che operano nella scuola, lasciati totalmente al di fuori del processo di elaborazione della riforma stessa, se si esclude la finzione di questionari online e siti web che somigliano più a brochure pubblicitarie che a luoghi di dibattito.
Prima Conclusione: per cambiare la scuola occorre una capacità progettuale sistemica e un lavoro pluridecennale graduale, coerente ma inesorabile che coinvolga attivamente tutti i soggetti in campo.
2. I luoghi della riforma della scuola
I luoghi della riforma della scuola sono le scuole intese come edifici, sono le aule intese come ambienti di apprendimento. L’opinione pubblica italiana, gli stessi docenti e studenti, non sono nemmeno lontanamente in grado di comprendere l’inadeguatezza dei luoghi in cui la comunità scolastica svolge il suo lavoro di apprendimento e insegnamento. Ricordo solo, per chi non lo sapesse, che circa la metàdelle scuole italiane non ha né il certificato di agibilità, né quello di prevenzione incendi e che il 40% degli edifici ha 40/50 anni di età. Il solo modo per avere un’idea precisa dell’arretratezza e del sottosviluppo italiani è quello di utilizzare video e immagini. Quindi lascio la parola a fotografie e filmati
2.1. Finlandia: Jyvaskyla, la capitale della scuola finlandese
Anche in Italia esiste qualche bella scuola, ma si tratta di rari casi, in Finlandia sono per la maggior parte come mostrano le fotografie. Si tratta di tre diverse scuole da me visitate durante un soggiorno ad Jyvaskyla nel 2009 in qualità di visitatore italiano del sistema scolastico finlandese, ho visitato tutte le scuole della cittadina.
Atrio della Scuola media Vaajakumpu
Scuola media Vaajakumpu: sala professori
Liceo Cygnaeus: sala professori
istituto Viitaniemi: una delle sale mensa
Un articolo (in inglese) in cui si approfondisce la concezione della scuola come progettazione di Ambienti di apprendimento e non di fatiscenti edifici di stanze vuote come in Italia, si può leggere sul sito dellaOECD: Conference in Finland on Tomorrow’s Learning Environment


2.2. La Scuola Danese: Hellerup
In questo filmato dell’Indire viene presentata una scuola tipo danese: la scuola di Hellerup:

2.3. La scuola Svedese
Il polo creativo di Stoccolma in questo studio dell’Indire: la scuola di Vittra – Telefonplan.

2.4. La scuola Australiana

In Australia le scuole sono quasi tutte private, nelle scuole pubbliche ci va chi non può permettersi la scuola privata. Questo che vedete presentata nel filmato è l’edificio che ospita l’unico liceo pubblico diMelbourne. In Australia si sta passando al sistema “open classrooms” aule aperte, in pratica non esistono aule e tutti gli studenti ricevono, da una decina d’anni a questa parte, il laptop dalla scuola. La didattica è basata sull’online learning.

2.5. La Scuola Italiana?
Tutti noi abbiamo esperienza di quale sia la condizione disastrosa degli edifici scolastici in Italia, si consideri però che non si tratta solo di inadeguatezza dal punto di vista della sicurezza, semplicemente la maggioranza degli edifici scolastici italiani non sono scuole, non sono nemmeno ambienti di apprendimento, sono stanze delle stanze vuote del tutto inadeguate alle esigenze della didattica del XXI secolo. Nel mio istituto, per esempio, non si possono nemmeno spostare i banchi. devono restare disposti su tre colonne per motivi di sicurezza, in caso si debba evacuare velocemente la scuola.

3. Mercato versus Comunità

Mentre il modello anglosassone è fondato sull’idea di competitività e concorrenza declinate a tutti i livelli e assunte come principale garanzia della crescita della qualità della formazione, il modello ARM attuato in Finlandia  è fondato sull’idea di comunità e della formazione come ricerca e costruzione collaborativa della conoscenza e del percorso didattico. L’aspetto più interessante di questa prospettiva, è che lastessa riforma è stata attuata come un processo collaborativo di costruzione del nuovo sistema scolastico, processo di cui i docenti e studenti sono stati protagonisti. Questi alcuni spunti interessanti propri di questo modo di procedere:
# Consenso e fiducia della popolazione sul modo di operare dei governi e sugli effettivi obiettivi della riforma, finalizzata a trasformare il sistema economico del paese in una “economia della conoscenza“;
Estrema gradualità della riforma: pur prevedendo un mutamento drastico del sistema scolastico, l’attuazione della riforma si è sviluppata in un arco di 20/30 anni consentendo di assorbire gradualmente le novità
# Negoziazione di ogni passo della riforma con i soggetti chiamati in causa e condivisione degli obiettivi;
Clima di fiducia reciproca tra famiglie, docenti, studenti, dirigenti e autorità politica, non esiste un sistema di valutazione esterno degli studenti, delle scuole, dei docenti;
graduale ricambio del corpo docente con pensionamento degli insegnanti formati nel modo tradizionale e immissione di nuovi docenti formati diversamente e secondo un profilo differente da quello tradizionale
# Creazione attraverso la collaborazione tra i docenti di un nuovo curricolo per la scuola

LINKOGRAFIA
Carlo Mazza Galanti, Come farsi passare la voglia di diventare insegnanti“Germ
Fedinando Imposimato, Difendete la scuola pubblica
Giorgio IsraelLa scuola e il crollo del buon senso
OxydianeLa riforma che ha cambiato la scuola in Finlandia
OECDConference in Finland on Tomorrow’s Learning Environment
Pasi Sahlberg
Global Education Reform Movement is here!
The PISA 2012 scores show the failure of “market based” education reform

15 Gennaio, 2012

Salvio Intravaia, La dispersione e l’insuccesso scolastico oggi

by gabriella

Nelle statistiche vanno sotto le voci di dispersione e insuccesso: ma il fenomeno sta diventando un vero allarme per la scuola italiana. I numeri negli anni crescono, e il ministero pensa a organizzare azioni di recupero [aggiornamento del del 15 novembre: “pensa di organizzare azioni di recupero tagliando i fondi per il miglioramento dell’offerta formativa” (ddl. stabilità), cioè quei fondi utilizzati dalle scuole per organizzare corsi di recupero e attività di rimotivazione allo studio.

13/01/2012
la Repubblica

La lotta alla dispersione scolastica sarà una delle 10 priorità del governo Monti per la scuola. Lo ha assicurato il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, illustrando le linee guida del suo dicastero in commissione Cultura alla Camera. Il “recupero delle aree scolastiche più compromesse” attraverso “interventi specifici di rafforzamento delle conoscenze e competenze irrinunciabili, ai fini della riduzione dell’insuccesso formativo, della dispersione e dell’abbandono scolastico”, è considerato uno degli obiettivi strategici per rafforzare il sistema di istruzione nazionale.

Per evitare fughe premature dalle scuole di ogni ordine e grado, che consegnano al mondo del lavoro giovani con scarse capacità di imporsi per i bassi livelli di istruzione  –  al massimo il diploma di terza media e non più in formazione, come avviene per i Neet  -, si può pensare “all’apertura delle scuole per tutto l’arco della giornata e al supporto di personale esperto, attuati in sinergia con il ministero della Coesione territoriale per l’immediato recupero della capacità di spesa delle regioni meridionali più carenti”.

Ma cosa si intende per dispersione e insuccesso? E quali sono i numeri che le descrivono? Ogni anno sono oltre 400 mila gli studenti della scuola secondaria che vanno incontro ad una bocciatura, abbandonano i banchi di scuola facendo perdere le proprie tracce o non vengono neppure scrutinati per le troppe assenze. L’ultima rilevazione sulla dispersione effettuata dal ministero, allora della Pubblica istruzione, risale all’anno scolastico 2004/2005. Da allora, il silenzio più assoluto. E oggi? La dispersione scolastica complessiva  –  somma di bocciati e abbandoni  –  si è addirittura incrementata. Sei anni fa, alla media si contava il 2,7 per cento di bocciati e l’11,4 per cento al superiore. Il tasso di abbandono era pari allo 0,2 per cento alla media e all’1,5 al superiore. In totale, tra abbandoni “non formalizzati” e bocciature si contavano 2,9 “dispersi” su cento alunni alla media e 12,9 “dispersi”, sempre su cento, al superiore.

Nel 2011, la situazione si è aggravata: alla media la sola quota di bocciati sale al 4,6 per cento e al 12,7 per cento al superiore. Ma occorre sommare la quota di non scrutinati, e quindi bocciati, per le troppe assenze che nel 2004/2005 venivano contabilizzati fra i bocciati: 0,7 per cento alla media e 1,3 per cento al superiore. Se si aggiungono gli abbandoni “senza lasciare traccia”  –  0,2 per cento alla scuola media e 0,9 al superiore  –  la dispersione sale al 5,5 per cento alla media e al 14,9 al superiore: e sono 434mila studenti. L’allarme del ministro è più che appropriato.

3 Dicembre, 2011

Frank McCourt, Ehi Prof!

by gabriella

Il terzo libro di Frank McCourt, uscito per Adelphi, si inserisce degnamente nella letteratura tragicomica dedicata alla scuola. Segnalo due passaggi che, anche fossero gli unici, meriterebbero la lettura: «Com’è che ci hai messo tanto?» (a pubblicare un libro, ndr) «Insegnavo. Ecco com’è!», «i ragazzi bisogna tenerli occupati, sennò c’è il rischio che si mettano a pensare»: effettivamente, quando li terremo impegnati a prepararsi per i test INVALSI il rischio sarà pienamente scongiurato.

In Ehi, Prof, McCourt parla della sua vita da professore. Trentamila ore di insegnamento racchiuse in aneddoti, dialoghi, scontri. Un insieme di tanti episodi che riproducono il clima delle aule dove ha lavorato, con il coro di voci, quelle dei suoi dodicimila allievi sempre in sottofondo. Il protagonista è un docente davvero particolare, a tratti bizzarro, sempre indeciso sulla scelta del suo mestiere, allergico alla burocrazia, incapace di ingraziarsi i superiori. La paura di aver sbagliato tutto, di essere, alla fine, solo “un ciarlatano” [quanto ti capisco Frank, ndr.] è sempre dietro l’angolo. Intanto gli anni passano e McCourt continua a lavorare nelle scuole, tra alti e bassi, delusioni e gioie, non smette di cercare un rapporto diverso, diretto con i suoi studenti. Ma la passione che anima questo mick (come venivano chiamati gi irlandesi), anche se non viene mai direttamente dichiarata, appare in controluce quasi in ogni pagina. E, alla fine, sarà proprio uno de suoi ragazzi a dirgli “Ehi professore. Lei dovrebbe scrivere un libro, sa?” Esattamente quello che farà il suo vecchio insegnante.

Walzer dell'ubriaco

Theodor Roethke, Il walzer di mio papà

[tratto dalla recensione del Sole24Ore] Le tragicomiche avventure del prof. vengono scandite dai racconti di piccoli avvenimenti, come se tre decenni fossero dipinti con pennellate veloci, vibranti, dai colori intensi. Sono pagine cariche di ironia, la vera cifra stilistica di questo narratore. Con una prosa concisa, semplice, efficacissima, conduce il lettore nel mondo della scuola americana, dove gli studenti sembrano già parti di una catena di montaggio e dove “i ragazzi bisogna tenerli occupati, sennò c’è il rischio che si mettano a pensare”. E allora, ecco le avventure e le disavventure del professore irlandese, da quando rischia di venire licenziato, al suo primo giorno di lavoro, perché raccoglie da terra il panino di uno studente e se lo mangia, a quando lo troviamo intento a far declamare ai suoi allievi una serie di ricette culinarie di ogni parte del mondo, mentre altri compagni, accompagnano la descrizione di ogni pietanza con gli strumenti musicali più adatti.

Nella quarta di copertina si legge:

«Frank McCourt racconta come si combatte il disastro scolastico – che non è, ahinoi, solo quello del presidente Ike Heisenhower – e come sul mutuo soccorso che c’è tra i due lati della cattedra si possa fondare il senso della vita […]».

Tra i molti episodi toccanti, scelgo la storia di Ken, ragazzo coreano che odiava suo padre. L’antefatto è la lettura in classe della poesia di Theodor Roethke, Il valzer di mio papà, il cui soggetto è il rientro a casa ubriaco di un padre lavoratore che prima di mettere a letto il figlioletto, lo coinvolge in una danza intorno al tavolo di cucina, mentre gli batte il tempo sulla fronte con una mano sporca e ferita. Anni dopo, dalla sua stanza di college, il ragazzo invia una lettera al vecchio prof. per raccontargli cosa gli resta di quella poesia:

Ken era un ragazzo coreano che odiava il padre. Raccontò alla classe che era stato costretto a prendere lezioni di pianoforte anche se a casa il piano non lo avevano. Il padre lo obbligava a esercitarsi sul tavolo di cucina e se gli veniva il sospetto che non facesse le scale a dovere, lo bacchettava sulle dita con una spatola. Stessa cosa per sua sorella di sei anni. Quando ebbero abbastanza soldi per comprarsi un pianoforte vero e la

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1 Novembre, 2011

Francesco Codello, Irene Stella, Liberi di imparare

by gabriella

Questo libro ha l’ambizione di inserirsi nella tradizione pedagogica antiautoritaria, da Neill a Illich. Sono dunque andata a sentire la presentazione … Qui l’introduzione del libro, qui un articolo di Irene Stella e, qui una parte del libro che tratta il tema dei voti.

♦♦♦

Eravamo una ventina e la minuscola libreria non ci conteneva tutti, così ci siamo spostati nella sala thé di un bar vicino. Introduzione della coautrice accattivante; il dibattito prende subito una piega: si tratta di capire se esperienze di pedagogia libertaria esistono o sono possibili nella scuola pubblica statale o se la scuola libertaria propugnata da Francesco Codello e Irene Stella sia un’altra scuola della retta per pochi e dei voucher, che auspica e si prefigge il ridimensionamento della scuola pubblica.

Anche alla luce della struttura del libro e delle interviste che contiene, credo che la coautrice non si aspettasse di dover rispondere a domande di questo genere, ma di dover convincere piuttosto il proprio pubblico che dell’autoritarismo, della valutazione e della rigida programmazione si può fare a meno. Irene Stella parte infatti dalla forte convinzione che la scuola pubblica non possa ospitare esperienze di libertà e che gli insegnanti che ci lavorano non siano spinti a rinnovare le proprie conoscenze, metodi e proposte didattiche (memorabile il suo “gli insegnanti che lavorano in queste scuole non stanno a scuola per più di 3 giorni a settimana, sono talmente impegnati a migliorare il proprio insegnamento che non potrebbero sopportare un carico di lavoro maggiore”. Già, è quella cosa che facciamo aggiungengendo alle 18 ore di cattedra un numero infinito di ore di studio di cui ormai non si ricorda nemmeno chi, per statuto, dovrebbe difendere la categoria).

Per quanto mi riguarda, credo che le migliori esperienze pedagogiche non valgano la perdita di una scuola democratica e genuinamente di massa, quale è stata quella statale fino a poco tempo fa. Scuole per pochi, di eccellente qualità, sono già presenti, soprattutto all’estero, dove la tradizione della pedagogia di classe, della scuola lockeana del gentleman contrapposta a quella del volgo (working school) ha già 3 secoli di storia (e l’home schooling indicato dalla scuola libertaria ne è la diretta continuazione).

La scuola italiana manca completamente di questa esperienza storica, mentre ha avuto i suoi momenti di gloria nell’alfabetizzazione popolare postunitaria e nella scolarizzazione di massa degli anni ’60, realtà che potevano essere duramente criticate da maestri come Dolci e don Milani proprio perchè erano opportunità reali che si volevano autentiche e accessibili a tutti (vale a dire che don Milani, in particolare, criticava lo scuola pubblica proprio perché si aspettava che facesse ciò che non faceva e che questa aspettativa era legittima perchè poggiava su principi e finalità codificati nella carta costituzionale).

Irene ha iniziato e concluso indicando nell’autostima e nella libertà i due cardini della scuola democratica. La scuola repubblicana in effetti ne ha altri due: cittadinanza e ugualianza. L’autostima e l’antiautoritarismo cerchiamo di ottenerli in questa scuola rattoppata mentre cerchiamo di insegnare a pensare a tutti quelli che entrano.

 

Perché boccio l’home schooling

13 Ottobre, 2011

Ilvo Diamanti, Ragazzi studiate! Meglio precari oggi che servi per sempre

by gabriella

Anche se Diamanti ha scritto testi migliori, di questo articolo ha scelto bene il titolo. Parola d’ordine: studiare per sé, non per “altro”, non per il voto, né per i genitori, non per il lavoro, né per il “rilancio del paese”. Studiare per essere magari precari, ma non  servi.

La settimana prossima riprenderò a insegnare. A Urbino. Dopo molti mesi di assenza forzata. Insegnare, d’altronde, è un privilegio. Come leggere e studiare. Molte persone lo fanno “gratuitamente”. Per curiosità, interesse. E per piacere. Io vengo stipendiato, per farlo. E ho la fortuna di incontrare i giovani – ogni anno diversi. (Spesso, mi viene in mente il protagonista de “Il Sipario ducale”, scritto da Paolo Volponi. Ambientato a Urbino. Un anziano intellettuale anarchico, che, a volte, attendeva l’uscita degli studenti del liceo e si perdeva in mezzo a loro. Per sentirsi giovane. E libero).

Dedicherò il mio corso, come avviene da alcuni anni, al tema dell’opinione pubblica. In particolar modo, al rapporto tra opinione pubblica e democrazia rappresentativa. Mi interrogherò, dunque, sulla coerenza e sulla concorrenza fra i sondaggi e le elezioni. Tra il marketing politico e la partecipazione. Argomenti, mi rendo conto, che non offriranno agli studenti competenze utili, spendibili, sul mercato del lavoro. Non serviranno loro a cercare e a trovare un impiego, domani. Neppure a farsi largo nel mercato politico. Gran parte del ceto politico non è certo stato reclutato in base alla competenza. Né alla conoscenza dei meccanismi e delle regole della democrazia. Eppure, mi sento di dire che studiare queste cose, al pari delle altre che si insegnano all’università e a scuola, è importante. Lo dico echeggiando l’esortazione  –  l’invettiva  –  amara che ho lanciato oltre un mese fa 1.

Cari ragazzi e ragazze, cari giovani: studiate. Soprattutto  –  anche se non solo  –  nella scuola pubblica. Ma anche quando non siete a scuola. Quando siete a casa vostra o in autobus. Seduti in piazza o ai giardini. Studiate. Leggete. Per curiosità, interesse. E per piacere. Per piacere. Anche se non vi aiuterà a trovare un lavoro. Tanto meno a ottenere un reddito alto. Anche se le conoscenze che apprenderete a scuola vi sembreranno, talora, in-attuali e im-praticabili. In-utili. Nel lavoro e anche fuori, spesso, contano di più altre “conoscenze” e parentele. E i media propagandano altri modelli. Veline, tronisti, “amici” e “figli-di”…  Studiate. Gli esempi diversi e contrari sono molti. Non c’è bisogno di rammentare le parole di Steve Jobs, che esortava a inseguire i desideri. A essere folli. Guardatevi intorno. Tanti ce l’hanno fatta. Tanti giovani  –  intermittenti e flessibili  –  sono convinti di farcela. E ce la faranno. Nonostante i giovani  –  e le innovazioni  –  in Italia facciano paura.

Studiate. Soprattutto nella scuola pubblica. Anche se i vostri insegnanti, maestri, professori non godono di grande prestigio sociale. E guadagnano meno, spesso molto meno, di un artigiano, commerciante, libero professionista… Anche se alcuni di loro non fanno molto per farsi amare e per farvi amare la loro disciplina. E, in generale, l’insegnamento. Anche se la scuola pubblica non ha più risorse per offrire strumenti didattici adeguati e aggiornati. Anzi, semplicemente: non ha più un euro. Ragazzi: studiate. Nella scuola pubblica – che è di tutti, aperta a tutti. Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Anzi: proprio per questo. Per non arrendersi a chi vi vorrebbe più furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Non rassegnatevi. A chi vi vorrebbe opportunisti e docili. E senza sogni. Studiate. Meglio precari oggi che servi per sempre.

tratto da: http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2011/10/12/news/ragazzi_studiate-23110142/?ref=HREC2-3

17 Settembre, 2011

Stefano Sinibaldi, Le parole della scuola: Dirigente/Preside, eccellenze

by gabriella

Tratto da: Il potere delle parole

Dirigente / Preside

Si è passati dalla denominazione, per il responsabile di un istituto scolastico, di direttore o preside, a seconda del tipo di scuola, a quella di dirigente. Nella materna è rimasta, peraltro poco usata, la definizione di coordinatore. Questa equiparazione nominale al dirigente d’azienda mette inevitabilmente l’accento sulla volontà di considerare anche la scuola, come già fatto in altri campi, appunto un’azienda. La priorità diventa quindi il bilancio, si vuole evidenziare che il dirigente di un istituto dovrà essere principalmente attento alla gestione economica e che i fruitori saranno suoi ‘clienti’!

La parola preside, invece, contiene in sé l’idea di una persona che presiede un collegio di rappresentanti di tutti gli elementi dell’istituto (studenti, docenti, personale ausiliario, genitori) e che, quindi, prende le decisioni, d’accordo con loro. Non manca poi la radice di presidio cioè l’idea di tutela, controllo quindi dell’andamento dell’apprendimento e salvaguardia della crescita completa di tutti gli studenti come priorità assoluta.

Dirigente non a caso fa pensare ad una persona che guida un’istituzione secondo una sua insindacabile o quantomeno personale visione e che deve rispondere esclusivamente ad una persona, il titolare, in questo caso a colui che l’ha incaricato. Preferisco chiamare il direttore di qualsiasi istituto scolastico preside.

Eccellenze

Il termine nel suo uso più recente è nato per la scuola. Si intenderebbe ricercare e promuovere l’emergere di elementi che si distinguano per particolari qualità. E’ funzionale al convincimento che si deve costruire una propria personale fortuna. ‘Io creo un mio benessere sorpassando altri che l’avranno minore’.

L’espressione ultimamente si è molto diffusa specialmente nella pubblicità dove, chiaramente, tutti i prodotti sono stati subito definiti eccellenze nel loro campo. Ogni attività, ogni azienda, perfino le scuole si definiscono “d’eccellenza” annullando di fatto la valenza della già ambigua definizione.

Sono convinto che, per il vero progresso di una nazione negli interessi della sua popolazione, sia fondamentale il livello di cultura generale ed è su questo che bisognerebbe appuntare l’attenzione e gli investimenti partendo dalla scuola. Da questa solida piattaforma possono poi fiorire anche soggetti che, particolarmente dotati ma, specialmente, consci della loro responsabilità sociale, possano operare per la crescita di tutta la comunità.

Questo termine, invece, che ha un significato di ‘innalzarsi da’, ‘sorpassare’, veicola un messaggio di competitività e di supposta maggiore conoscenza. Conoscenza che dovrebbe essere calata dal cielo per riuscire a svilupparsi in una scuola sempre più priva di mezzi. Leonardo da Vinci è diventato Leonardo anche e soprattutto perché è vissuto in un’epoca di fervore culturale e si è formato in un ambiente come quello della Firenze dell’epoca. Oggi non so come si possa favorire lo sviluppo di piccoli geni in una scuola di sostanziale e coltivata ignoranza. Se in classe, ad esempio, mi trovo, per il programma di matematica, 2 elementi su 24 che capiscono al volo e potrebbero andare molto più avanti, che devo fare, abbandonare gli altri 22? Se qualcuno riesce a seguire, meglio! Altrimenti, pazienza!

Oppure, per favorire la nascita di eccellenze, devo solo elogiarli, dare voti alti e spedirli a fare qualche gara con altri primi della classe? Allora, forse, si vuole stimolare l’emulazione. Temo, però, che così sarà il resto della classe ad escludere e isolare i due, incattivendo fin d’ora i presunti futuri capi. Mi sembra si insista sulla esaltazione della competizione.

Si vogliono creare tipi competitivi funzionali a coloro che la competizione non avranno bisogno di affrontarla mai, né loro né i loro figli, sapendo bene che la gerarchia e, quindi i privilegi, si decidono in modi diversi dalla competenza e dalla bravura. Non mancano certo gli esempi, da noi, in Italia, sono anche troppi. Inoltre si vuole far accettare fin dai primi anni di vita sociale che è giusto che alcuni ricevano più di altri perché sono migliori, ‘’eccellono’’.

Educazione/Istruzione/Apprendimento

Dedico un capitolo all’argomento, qui voglio solo accennare alla scelta del termine ‘Apprendimento’ invece di Educazione o Istruzione. Questo per chiarire e tener sempre presente che il soggetto è colui, studente, adulto, persona in recupero che sta percorrendo una strada di crescita. Egli sceglie e articola intorno agli insegnamenti forniti una sua individuale via, generando, in uno scambio reciproco, l’arricchimento anche dei docenti.

(7 settembre 2011)

4 Settembre, 2011

Salvatore Natoli, Lavoro e operosità. Scuola e senso del dovere

by gabriella

Ieri sera (3 settembre 2011) Salvatore Natoli ha tenuto una lezione magistrale all’Oicos festival di Assisi e Bastia (PG) sul tema dell’agire (il titolo del suo discorso era Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio).

La sua riflessione si è incentrata sul ruolo dell’azione e del lavoro nella costruzione di soggettività, a partire dall’equivoco di fondo in cui si muove la nostra società nella quale alla perdita di senso del lavoro (non lavoro per me e per un’utilità che mi è subito evidente, ma per “altro”, un altro eternamente mediato dal denato e dalla divisione sociale dei compiti) si lega, per reazione, l‘incremento dell’operosità (quella “motilità” che secondo Natoli scambiamo per attività) e del sanzionamento dell’inefficienza.

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23 Agosto, 2011

Michael Wesch, La scuola nella società informazionale

by gabriella

Sulle vere domande che la scuola e gli insegnanti del XXI secolo dovrebbero farsi, vale a dire, cosa deve essere la scuola in una società informazionale, come insegnare a leggere la realtà in un mondo in sovraccarico informativo, come intercettare i gusti e le passioni dei nostri studenti e via dicendo, mi è invece stato utile un post inviato da Michael Wesch (Kansas State University) alla mailing list dell’Institute for Distributed Creativity (distributedcreativity.org) (ho aggiunto io il neretto, per facilitare la lettura). Il video seguente ne anticipa alcune:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=jrXpitAlva0]

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