
Da qualche anno, affrontando l’etica kantiana, propongo ai miei studenti un delicato quesito morale: è giusto prendere l’ascensore della scuola (l’uso è stato riservato dalla Preside al personale scolastico e alla disabilità motoria, ma molti studenti lo violano)? E’ libero chi lo fa?
Tra gli ottimi lavori di quest’anno c’è quello di Rita che insiste socraticamente sull’universalità della ragione umana e sulla possibilità di diventare autonomi obbedendo solo ad essa, dunque a se stessi. Tra quelli di due anni fa c’è quello di Lucrezia che osserva quanto sia difficile uscire dallo stato di minorità ed eterodirezione a causa della tutela educativa imposta da piccoli e diventata un’abitudine; quello di Sonia che scandisce con precisione la differenza tra massima e imperativo, cioè tra un comportamento che si impone per sé, necessariamente, e ciò che giova solo al singolo, e quello di Benedetta, che analizza non tanto la minorità diffusa e soffocante, ma la naturale libertà e razionalità dell’uomo, quale possibilità sempre (e per tutti) a portata di mano e da scegliere con coraggio.
Problema
Nella Risposta alla domanda Che cos’è l’Illuminismo, Kant oppone la minorità e l’eterodirezione al sapere e all’autonomia. Ma cosa vuol dire esattamente essere “autonomi”? Che rapporto c’è tra l’autonomia e il “fare di testa propria”? E’ autonomo chi agisce in base alla propria opinione?
Tenendo conto che, nella Critica della ragion pratica, Kant esprime questa relazione con il rapporto tra massime e imperativo categorico, esamina il caso dell’ascensore: nella nostra scuola è vietato agli studenti usare l’ascensore perché riservato agli insegnanti e a tutto il personale scolastico. Si tratta di una norma spesso disattesa. Perché alcuni studenti la violano? Con quale ragione? Si tratta di un comportamento autonomo, cioè libero, in senso proprio o no? Quale sarebbe il comportamento libero, rispetto al caso in questione?
Materiali
Commento alla Critica della ragion pratica e Risposta alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo”? in Kant, e Kant. L’educazione come umanizzazione.
Dall’anomia, che coincide con l’ignoranza e il male inteso socraticamente (laddove non si è liberi, né razionali), all’eteronomia, l’aver bisogno di essere guidati da un comando esterno (Dio, sovrano, padre) per scegliere ciò che è giusto (e nemmeno qui, naturalmente, si è liberi e razionali), all’autonomia: non aver bisogno di un essere superiore quando si conosca il proprio dovere (il che significa, quando si è in grado di pensare). 
Risponde Rita Ester D’Andola, 5E [a.s. 2017-18]
Nella Risposta alla domanda che cos’è l’Illuminismo Kant definisce “Illuminismo” l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità. Nello stato di minorità l’uomo non è autonomo ma eterodiretto; c’è infatti qualcun altro a guidarlo, qualcuno che pensa e ragiona per lui senza che lui si sforzi.
È un “modo comodo” di vivere, perché l’uomo, schiavo della sua pigrizia e viltà, si lascia guidare come un bambino sul girello, incapace di camminare con le proprie gambe. Uscire dallo stato di minorità significa quindi imparare a pensare secondo la propria ragione, in modo autonomo, libero. La ragione è unica, se si impara a pensare, si è liberi.
Nella Critica della Ragion Pratica Kant evidenzia la differenza fra massima, cioè un principio pratico individuale, dove il singolo segue un suo fine (per esempio: svegliarsi alle sei ogni mattina per andare a correre) e imperativo categorico che, invece, non segue un fine ma esprime la legge morale, secondo la formula del “ tu devi”. La legge morale è infatti universale (perché vale per tutti) e necessaria (valida in ogni caso) ed è basata sui principi di libertà e razionalità.
La norma che vieta agli studenti di prendere l’ascensore viene da loro stessi violata.
Secondo Kant questo comportamento, definibile come ‘non etico’, è dovuto al fatto che gli studenti, pensando di essere liberi, seguono la loro massima di voler prendere l’ ascensore come se fosse una legge morale di tutti. Infatti un mondo dove ognuno segue i propri ideali, le proprie massime pensando a se stesso invece che agli altri è il mondo dell’ “homo economicus”, cioè dell’uomo che segue i suoi interessi personali, senza curarsi del vicino: è un mondo non etico, ed è la realtà in cui viviamo.
Rispetto al caso in questione sarebbe libero e etico non chi lo prende pensando di essere libero, ma né chi non lo prende solo perché pensa di fare la cosa giusta “seguendo le regole”, senza rifletterci; ma è etico chi non lo prende perché conosce la forma della legge e riflette sui contenuti, formandosi una propria idea nel rispetto della legge (non prendo l’ ascensore perché IO so che non è giusto, non perché qualcun altro mi ha detto di non farlo.)
Risponde Lucrezia Cassiani, 5D [a.s. 2015-16]

Stato di minorità
Nella Risposta alla domanda Che cos’è l’Illuminismo?, Kant oppone la minorità e l’eterodirezione al sapere e all’autonomia. Intanto è opportuno definire cosa intende Kant con questi termini: con minorità identifica uno stato di debolezza e fragilità che va inteso come un bisogno di aiuto, un bisogno di essere guidati da altri, usando quindi non la propria ragione, ma quella di altri.
Kant ironizza, infatti, su quanto sia bello essere minorenne e quindi non avere responsabilità né pensieri su quello che si deve o non si deve fare. Il minorenne è quindi eterodiretto, cioè guidato da altri, ad un comportamento giusto per altri. Questo stato di minorità non va inteso però come un fatto di età, infatti anche un adulto potrebbe essere ancora in questo stato. E’ dunque difficile uscire da questa minorità, cioè dal bisogno di essere eterodiretti che più che un bisogno è un’abitudine che inducono in noi da piccoli e da cui non è facile uscire, in quanto essendo abituati a pensare con la testa di un altro, la ragione in noi non viene sviluppata.
Per raggiungere l’autonomia, infatti, è necessario imparare a pensare ed essere liberi di pensare con la propria testa: è inutile infatti seguire leggi e prescrizioni dettati da altri se non si ha una legge morale che si imponga alla nostra ragione.

Eterodirezione
Nella Religione nei limiti della sola ragione, Kant parla della morale, partendo dalla distinzione tra religione rivelata e religione naturale. La prima può essere associata al concetto di eterodirezione: infatti la religione rivelata è quella per cui riconosciamo come legge solo qualcosa che ci è imposto dall’alto; la religione naturale viene invece da noi. Ognuno di noi ha infatti delle massime, cioè dei principi d’azione personali che il singolo rispetta perché sono appunto obiettivi che interessano lui stesso. L’imperativo categorico è invece un’azione necessaria per se stessa.
Per avere un comportamento etico e morale bisogna fondere insieme questi due termini e quindi fare in modo che la massima che adottiamo corrisponda all’imperativo categorico, cioè a un comportamento giusto, utile non solo a me, ma anche ad altri.
Secondo Kant, il comportamento da tenere rispetto all’ascensore, sarebbe che gli studenti che vogliono prendere l’ascensore imparino a pensare e a ragionare sul problema e a chiedersi perché è loro vietato. Dopo essere arrivato a una conclusione, si dovrebbero far presenti a chi ha posto questa regola obiezioni razionali e quindi fare un uso pubblico della ragione, cercando di esporre le ragioni per cui siamo d’accordo oppure no.
La parola chiave del ragionamento di Kant è libertà. Per avere un comportamento giusto, l’uomo deve, infatti, essere libero e pensare con la propria testa.
Sonia Giombini, 5D [a.s. 2015-16]
Nella Risposta alla domanda Che cos’è l’Illuminismo?, Kant sostiene che con l’Illuminismo l’uomo si è appropriato della facoltà a lui propria, cioè l’intelletto, ponendosi così al centro della conoscenza. L’autore oppone quindi la minorità e l’eterodirezione, momenti di stallo caratteristici della precedente epoca, al sapere e all’autonomia, che invece vengono sviluppati durante l’Illuminismo, grazie alle rivendicazioni dell’intelletto.
Kant scrive che la maggior parte delle persone non è in grado di superare la minorità, poiché i tutori tendono a inculcare idee nel minorenne, senza lasciarlo pensare e quindi essere libero, così che una volta arrivato agli ostacoli della maturità, l’individuo non sarà in grado di affrontarli.

L’ignoranza della legge morale perpetua l’uomo nello stato di stallo che è la minorità
In opposizione alla minorità, cioè l’incapacità di usare il proprio intelletto, troviamo l’autonomia, che non significa agire in base al bene del singolo, ma agire in base a ciò che è giusto. Qui subentra l’etica kantiana, secondo la quale l’individuo non rispetta la legge morale perché gli viene imposta, ma la segue perché conosce il bene e il proprio dovere: “tu devi”. Solo così, secondo Kant, l’uomo è libero: esso conosce la legge morale perché tale legge è generale e universale e se non la segue sceglie di anteporre il proprio bene alla morale, facendo così il male.
Questa scelta che l’uomo fa non è da confondere con la massima, che è la determinazione della volontà del singolo, questa infatti è subordinata alla legge morale, perché essendo individuale non può valere per tutti e per ognuno e non è dunque universale, né necessaria. Proprio per questa subordinazione alla legge morale, la massima è diversa dal male.
L’imperativo categorico, al contrario della massima, è un dovere sotto forma di obbligazione e non ha come obiettivo un fine particolare, ma dichiara necessaria l’azione per se stessa. Detto ciò, è possibile spiegare la questione dell’ascensore. Seguendo la legge morale, gli studenti dovrebbero capire che è giusto lasciare libero l’ascensore, senza essere obbligati da leggi scritte. Gli studenti che violano questa regola, non lo fanno per difendere a loro autonomia, ma perché non (ri)conoscono la legge morale e la vedono solo come un’imposizione ingiusta, rimanendo così in quella fase di stallo che è la minorità.
Benedetta Scarabattoli 5D [a.s. 2015-16]
Nella “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”, Kant chiarisce il concetto di minorità inteso dal filosofo come il mancato utilizzo della ragione, il mancato coraggio di usare l’intelletto se non guidati e quindi l’abbandono ai pregiudizi e all’opinione della massa sociale, che considera solo il singolo (eterodirezione) considerandosi in tal modo “autonoma”. Ma si è davvero autonomi nell’agire secondo opinioni individuali? E cosa si intende per “autonomia” e “libertà”?
Nella Critica della ragion pratica, Kant riflette sulla relazione tra massime (principi pratici, determinazioni individuali per cui agisco per un fine) e imperativi, doveri che per Kant siamo in grado di riconoscere e che distingue in: ipotetici (azione come mezzo per il raggiungimento di un fine) e categorici ( azione necessaria a sé stessa). Mi soffermerei proprio sulla definizione di imperativo categorico: quando parliamo di azione necessaria per sé stessa, noi sappiamo che in etica kantiana, siamo noi stessi ad essere in grado di scegliere l’azione giusta, questo perché liberi e razionali. Questa facoltà nasce dalla legge morale che è in noi: kantianamente diremo che davanti una legge che vale per la sua forma più che per ciò che prescrive, noi siamo in grado di capirla e seguirla non perché è posta come obbligo a cui devo rispettare, ma perché siamo noi stessi a riconoscerla come tale (tu devi).
Trasportando ad oggi questa visione kantiana, potremmo analizzare molte problematiche: una di queste, in un contesto scolastico, è l’utilizzo o meno dell’ascensore. Sappiamo che l’utilizzo di quest’ultimo è vietato agli studenti e non invece ad insegnanti e personale. E’ giusto questo? E’ una limitazione alla nostra libertà? Credo che secondo lo stesso Kant, anche se la stragrande maggioranza non è d’accordo, questo sia invece giusto. Forse il problema principale sta nel fatto che, nella nostra minorità, consideriamo una legge come una limitazione, senza ragionare sul perché della sua esistenza. Se sono kantiano, non mi sarà difficile capire che io, come persona dotata di razionalità, scelgo nella totale libertà di non utilizzare l’ascensore, perché potrei causare danno a chi ne ha bisogno, non considerando la differenza sostanziale tra il numero di studenti rispetto al numero di insegnanti e personale.
Kant ci spinge ad andare oltre, a soffermarci sul concetto di libertà, molto spesso travisato: trasgredire leggi perchè le considero un limite, non significa essere liberi, ma semplicemente essere superficiali e schiavi dell’opinione. Kant invece ci chiama ad essere razionali, liberi pur conformandoci alle leggi, perché è importante esercitare il sapere aude, il coraggio della ragione.
Risponde Chiara Maria Russo, 5F [a.s. 2013-14]
Secondo Kant, noi acquistiamo coscienza della libertà proprio perché prima di tutto abbiamo coscienza del dovere. L’imperativo categorico (ovvero la determinazione di una volontà in quanto tale, che prescinde dagli effetti che essa può ottenere) mi comanda, in sostanza, la libertà. Noi conosciamo prima la legge morale e poi, da questa deduciamo la libertà. Ciò significa che se compio un atto sbagliato, so che quello che ho fatto è male. Se devo rispettare la regola di non prendere l’ascensore a scuola, ma non lo faccio, sono consapevole che avrei dovuto,e quindi avrei anche potuto, rispettare tale regola (Devi dunque puoi).
Secondo il punto di vista socratico-kantiano, una volta che conosco, posso esercitare la mia libertà. La libertà infatti, sta nell’affrancarsi della ragione dalla mia volontà (cioè da una volontà solo individuale non ancora elevata all’universale). Il comportamento libero, dunque, si configura nel non essere condizionato dalla massima, ma nell’elevarsi al dovere.
Nel caso concreto preso in esame, quindi, chi viola la norma di non usare l’ascensore segue esclusivamente la propria massima. Tale comportamento può apparire libero, ma in realtà non lo è affatto poiché tale azione dimostra che la ragione non è riuscita a dominare e ad uscire dal vincolo della propria volontà. Infatti, non c’è un comportamento razionale che mi spinge a riflettere sulla norma, ma un semplice soddisfacimento del mio volere attuale.
L’imperativo categorico mi ordinerebbe di non prendere l’ascensore. Razionalmente, infatti, se ognuno degli studenti lo usasse, (“Guarda le tue azioni nell’ottica universale”) risulterebbe inutilizzabile a chi davvero ne ha bisogno (insegnanti/persone diversamente abili…) e deve spostarsi più volte all’interno della scuola.
25 Febbraio 2014 at 19:31
Grazie prof! Sono contenta che il mio lavoro le sia piaciuto!
25 Febbraio 2014 at 19:33
Sono felice anch’io dei tuoi risultati, Chiara.
28 Febbraio 2014 at 20:49
Grazie Chiara,
l’esemplificazione scelta ha reso comprensibili concetti non semplici.
E grazie alla tua prof che attraverso il sito ne rende partecipe un pubblico più vasto.
Bruno Martina
28 Febbraio 2014 at 21:46
Mi associo agli applausi per Chiara: è sempre stata così, va in profondità con la massima naturalezza e quando spiega ciò che ha capito tutto sembra semplice 🙂
19 Aprile 2016 at 15:28
Complimenti per il suo blog che seguo regolarmente. Spesso non condivido le sue opinioni ma apprezzo il modo in cui insegna ai suoi studenti a pensare criticamente.
Ho avuto la fortuna di aver un professore di filosofia al liceo, il prof. Giovanni Fornero, che come lei era straordinario nella capacita’ di trasmettere la sua passione per il ragionamento stringato ed essenziale e ancora oggi ne sento i benefici.
Oreste Gallo
24 Aprile 2016 at 07:40
La ringrazio per il giudizio lusinghiero e per aver colto dalla lettura dei commenti i miei obiettivi didattici che condivido con molti colleghi, filosofi e non. Nell’applicazione è facile sbagliare: discuta pure le posizioni che non condivide, potrebbe aiutarmi a uscire da un angolo cieco in cui potrei essere impigliata senza accorgermene.
7 Luglio 2018 at 19:42
C’e’ un lato dei ragionamenti di Kant che mi piacerebbe discutere, riferendomi alle mie esperienze.
La mia impressione (basata sulle mie esperienze) e’ che la liberta’ sia data, oltre che dalla capacita’ di scegliere, dall’energia che internamente ci muove e fa si’ che agiamo e prendiamo iniziative.
So di non riuscire a spiegarmi fino in fondo, ma ho fatto esperienza di due diverse cose – l’azione (intendo anche l’azione di pensare) che in qualche modo io mi costringo a fare e l’azione che sembra sorgere spontanea e organizzarsi in maniera autonoma (automatica?) senza uno sforzo da parte dell”io” (quello a cui mi sono riferito nel caso precedente: “io mi costringo”).
Mi pare che la liberta’ consista anche nella presenza della seconda condizione in cui agisco. Infatti in questa seconda condizione da una parte le mie azioni sono molto piu’ efficaci, da un’altra il pensiero si organizza in modi piu’ complessi rispetto all’organizzazione della prima condizione (e quindi coglie anche la realta’ in maniera piu’ vasta) e da un’altra ancora le idee che mi vengono in mente, che poi portano ad iniziative, sono diverse, anche esse piu’ complesse e di qualita’ migliore che nella prima condizione.
Ho notato talvolta (in questo momento ho presente in mente un solo caso, ma mi pare che ce ne siano stati anche altri) che scegliere la cosa “giusta” (nel senso discusso nel post che sto commentando, la cosa dettata dalla ragione, opposta al mio interesse) mi abbia fatto passare dalla seconda alla prima condizione. Sparito l’impulso ad agire, sparite le idee, ristretta la mia concezione del mondo, la mia visione delle cose ridotta in maniera tale da perdere in maniera netta la visione piu’ complessa che e’ possibile altrimenti (come se non esistesse piu’).
E’ possibile che una conoscenza della psicologia possa spiegare cio’ che mi succede. Quello che mi interessa adesso e’ questo: mi pare che Kant trascuri queste cose, e invece mi paiono importanti.
8 Luglio 2018 at 13:10
Non so se un avvicinamento al problema (confesso che ho qualche difficoltà ad inquadrarlo) si trovi negli scritti pedagogici, dove il tema della libertà è affrontato da Kant in termini più psicologici.
Ti lascio un link: https://gabriellagiudici.it/kant-2/
8 Luglio 2018 at 22:40
Ho scritto in maniera forse incomprensibile, ma e’ il meglio che posso fare in questo momento. Renderlo piu’ preciso mi sara’ possibile (spero) con il tempo e le letture. Tempo e letture possono anche mostrarmi se i miei ragionamenti sono rilevanti (bisogna avere chiaro per esempio se Kant considerava in questo contesto una definizione limitata di liberta’ e se l’idea di liberta’ che ho in mente adesso – che comprende l’accesso alle proprie risorse mentali – e’ sensata ed in tema).
Credo comunque di aver scritto esperienze vere (non frutto di fantasia).
Detto questo provo a sintetizzare il concetto che ho in mente. Le scelte che facciamo agiscono sulla nostra psiche in maniere che noi non controlliamo; la nostra liberta’ dipende anche dal funzionamento delle parti della psiche che non controlliamo.
Questa sintesi lascia da parte l’analisi dei fenomeni – che credo veri – sull’analisi e la descrizione sicuramente si puo’ fare meglio di come ho fatto finora. Ma devo riflettere un po’ per trovare un buon modo, e’ difficile trasmettere le proprie esperienze personali e in questo momento la rilevanza di quello che ho provato la vedo forse solo io.
Grazie per il link 🙂
9 Luglio 2018 at 16:49
Grazie delle precisazioni Giovanni, per capire dovrei conoscere molto meglio Kant e provare a trasporre l’idea di libertà di cui parli in termini psicologici in un linguaggio chiaro ad un filosofo del 700. Al momento non sono in grado, .. è un lavoro da storico delle idee.