Posts tagged ‘crisi economica’

20 Marzo, 2013

Antiper, 2060

by gabriella

areaglobaleNel novembre scorso, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE – o OECD in inglese -) ha pubblicato una previsione di lungo termine [1] su quello che ritiene sarà l’andamento della distribuzione della ricchezza prodotta a livello globale da qui al 2060. Lo studio, ovviamente, non tiene conto di fattori ed eventi che oggi non possono essere previsti in termini quantitativi anche se sono piuttosto prevedibili in quanto a possibilità di accadere (come, ad esempio, una serie di crack finanziari, forse altrettanto e più virulenti di quello del 2008). Possiamo dunque dire che lo studio costituisce una stima ottimistica degli andamenti globali che si determineranno nei prossimi 50 anni e che la previsione formulata dall’OCSE di una crescita globale media del 3% all’anno deve essere significativamente corretta al ribasso (anche se al momento nessuno è in grado di quantificare l’entità di tale correzione [2].

Lo studio costituisce una proiezione statica, basata sulle linee di tendenza che si possono intravvedere a partire dai dati storici (passato e presente). Del resto, è difficile valutare fattori che non sappiamo se e come si verificheranno; prendiamo, solo per fare un esempio, l’innalzamento relativo dei costi di produzione (e dei salari, in particolare) che può avvenire nelle “economie emergenti” o in altri contesti per effetto dello sviluppo delle lotte dei lavoratori e l’impatto che questo può avere sulla scelta, nei prossimi anni, dei paesi verso cui indirizzare gli investimenti diretti esteri di capitale (diciamo, per semplificare, le delocalizzazioni). Già adesso sono in atto varie tendenze a spostarsi da paesi come la Cina verso paesi come il Vietnam [3] e altri o, addirittura, a riportare alcune produzioni in “paesi centrali” (come gli USA [4]).

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29 Gennaio, 2013

Amartia Sen, Infelicità delle istituzioni europee

by gabriella

senInvitato al Festival della scienza di Roma, dedicato quest’anno al tema della felicità, Amartia Sen ha parlato del ruolo dell’uguaglianza nel conseguimento di questo fine umano universale. Il suo intevento mi ha fatto tornare in mente quanto questo nesso sia presente alle culture popolari e codificato nella lingua, dal nostro “benestanti”, o “agiati”, ma anche “facoltosi” (di chi può realizzare i propri desideri), fino al francese “heureux”, che letteralmente suona appunto “i felici”.

Il tema “Felicità e disuguaglianze” suggerito dagli organizzatori di questo meraviglioso festival è molto più ampio di queste circostanze specifiche. Provo a fare il mio dovere parlando prima di una questione più ampia: il posto e la rilevanza della felicità non solo per la vita individuale ma anche per quella della società, per la vita sociale insomma. Ci rientreranno le disuguaglianze, perché in effetti parlerò di “Felicità e istituzioni sociali” – o di “Infelicità e istituzioni europee” – e in questo quadro più ampio, la disuguaglianza conta. Dopo un’analisi generale tornerò alla crisi economica europea per illustrare alcuni aspetti collegati al tema che mi era stato assegnato.

«O gente umana, per volar sù nata, perché a poco vento così cadi?» lamenta Dante nel canto XII del Purgatorio. Perché questo contrasto tra la vita limitata della maggior parte delle donne e degli uomini e le grandi imprese che riescono a compiere? La domanda posta all’inizio del Quattrocento è ancora attuale. Le nostre potenzialità di avere una vita buona, di essere appagati, felici, liberi di scegliere il tipo di vita che vogliamo, eccedono di lunga quelle che riusciamo a realizzare.

La vulnerabilità umana deriva da svariate influenze, ma una delle fonti principali del nostro limite – e anche della nostra forza, dipende dalle circostanze – è che la nostra vita individuale dipende dalla natura della società in cui stiamo. La natura del problema è ben illustrata dalla crisi che ha colpito l’Europa negli ultimi anni, dalla sofferenza e dalle privazioni che incidono sulla vita in Italia e in Grecia, in Portogallo e in Gran Bretagna, in Francia e in Germania, in quasi tutta l’Europa. Non solo per l’Europa di oggi ma anche per quella futura, è un disastro dalle cause complesse e dobbiamo sondarne la genesi, l’accentuarsi e la persistenza.
Sarebbe difficile capire la condizione degli esseri umani coinvolti in questa tragedia senza studiare come ci abbia contribuito, in modi diversi, il malfunzionamento delle istituzioni che ne governano la vita: il ruolo dei mercati e delle istituzioni a essi collegati, ma anche delle istituzioni statali e delle autorità regionali.

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22 Ottobre, 2011

Vladimiro Giacché, La crisi spiegata da Karl Marx

by gabriella

Un mondo spiegato a partire dalla centralità del capitale finanziario che stringe nella sua morsa l’economia. È questa la lettura dominante della crisi, relegata a incidente di percorso del capitalismo. Spiegazione che può essere smontata a partire dagli scritti di Marx dedicati al tema e che sono stati raccolti in un volume da oggi in libreria di cui pubblichiamo brani dell’introduzione.

La spiegazione della crisi attuale come una crisi finanziaria che ha contagiato l’economia reale è oggi largamente prevalente. Si tratta della versione contemporanea della concezione, ben nota a Marx, secondo cui la crisi sarebbe dovuta «all’eccesso di speculazioni e all’abuso del credito». Precisamente questa spiegazione della crisi era stata sostenuta dalla commissione incaricata dalla Camera dei Comuni inglese di redigere un rapporto sulla crisi del 1857. Marx contestava questo punto di vista: «la speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell’osservatore superficiale come causa della crisi».

Oltre ogni limite

Per Marx i motivi per cui le crisi si presentano come crisi creditizie e monetarie sono senz’altro radicati in alcune caratteristiche di fondo del funzionamento dell’economia capitalistica. Ma le crisi non sono in primo luogo creditizie e monetarie: alla loro base si trova la sovrapproduzione di capitale e di merci. Il fatto è che per Marx il credito è uno dei principali strumenti attraverso cui il capitale tenta di superare i propri limiti. Infatti, grazie al credito i «limiti del consumo vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione, che da un lato accresce il consumo di reddito da parte degli operai e dei capitalisti, d’altro lato si identifica con l’intensificazione del consumo produttivo». Inoltre il credito «spinge la produzione capitalistica al di là dei suoi limiti» anche nel senso di porre a disposizione della produzione «tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società, nella misura in cui esso non è stato già attivamente investito».

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12 Luglio, 2011

Debito pubblico, i meccanismi

by gabriella

Per capire i meccanismi dell’aumento del debito pubblico (sulla Grecia si è sentita raccontare per mesi la fiaba che  “vivevano al di sopra delle loro possibilità”), può essere utile questo articolo del Sole di oggi che racconta come venerdì scorso abbiamo piazzato i nostri BTp (Buoni del Tesoro poliennali) al 6%, poi sceso al 5,80% (nel 2008, prima della crisi, pagavamo il 4,40%), raggiungendo il massimo differenziale di sempre dai bond tedeschi (spread) che ha toccato 318 punti (la Germania oggi paga il 2, 62%).

Se allo strangolamento bancario tradizionale (se sei povero rischio a prestarti denaro, dunque mi paghi un interesse più alto) si aggiungono i giudizi di rating (autentiche profezie che si autoavverano), le scommesse speculative (i CDS sono assicurazioni che garantiscono gli investitori dal rischio e muovono enormi capitali sulle poste a loro convenienti, facendo, di nuovo avverare ciò che “temono”) e le compravendite al ribasso (cioè gli attacchi speculativi veri e propri), sarà facile capire perchè una manovra finanziaria da 40 miliardi (che taglia, comme al solito, pensioni, sanità e scuola) risulta insufficiente dopo un week end .. nero.

Insomma, pensioni, ospedali e scuola sono al tappeto, ma lo sono non certo perchè spendevamo troppo per farle funzionare (secondo una logica da “bilancio familiare”), ma perchè la logica monetarista a cui immoliamo il benessere sociale, funziona in questo modo.

Leggendo l’articolo del Sole si avrà l’impressione che ciò che sta succedendo sia sacrosanto e che tutto funzioni perfettamente, ma non bisogna farci caso, basta avere i giusti anticorpi al loro approccio “Titanic”.

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