Posts tagged ‘Keynes’

7 Aprile, 2013

John M. Keynes, L’investimento a breve termine e l’intuizione del conformismo

by gabriella

KeynesStralcio da un articolo di Emilio Carnevali, la premessa dedicata alla riflessione keynesiana sull’“intuizione del conformismo”, la dinamica dell’investimento a breve e della relativa necessità degli individui di collocarsi in posizione mediana rispetto al gruppo.

In un capitolo centrale della sua Teoria generale Keynes si sofferma ad indagare i fattori che ostacolano il predominio dell’«investimento bastato su genuine aspettative a lungo termine» nei moderni mercati di borsa.

«Chi cerca di realizzarlo», scrive il grande economista inglese, «deve certamente condurre giornate più laboriose e incorrere in rischi maggiori di chi si ingegna di individuare meglio della folla come la folla stessa si comporterà».

Ed è a questo punto che viene evocato l’ormai celebre esempio del concorso di bellezza per spiegare le dinamiche delle ondate speculative. L’investimento professionale è infatti paragonato a

«quei concorsi dei giornali, nei quali i concorrenti devono scegliere i sei volti più graziosi fra un centinaio di fotografie, e nei quali vince il premio il concorrente che si è più avvicinato, con la sua scelta, alla media fra tutte le risposte».

In pratica non è importante che un individuo scelga quali, fra tutte le ragazze, considera personalmente le più belle, ma quali egli ritenga possano essere considerate le più belle da tutti gli altri individui. E dal momento che tutti sono chiamati al medesimo ragionamento, nessuno esprimerà una preferenza personale ben ponderata, bensì una mera previsione del comportamento collettivo, sapendo che la scelta altrui non è autentica ma anch’essa basata su una “intuizione del conformismo”. È quel terzo grado – ma si potrebbe parlare anche di un quarto, quinto, ecc. grado – in cui, come ancora scrive Keynes, «la nostra intelligenza è rivolta ad indovinare come l’opinione media immagina che sia fatta l’opinione media medesima».

29 Gennaio, 2013

Amartia Sen, Infelicità delle istituzioni europee

by gabriella

senInvitato al Festival della scienza di Roma, dedicato quest’anno al tema della felicità, Amartia Sen ha parlato del ruolo dell’uguaglianza nel conseguimento di questo fine umano universale. Il suo intevento mi ha fatto tornare in mente quanto questo nesso sia presente alle culture popolari e codificato nella lingua, dal nostro “benestanti”, o “agiati”, ma anche “facoltosi” (di chi può realizzare i propri desideri), fino al francese “heureux”, che letteralmente suona appunto “i felici”.

Il tema “Felicità e disuguaglianze” suggerito dagli organizzatori di questo meraviglioso festival è molto più ampio di queste circostanze specifiche. Provo a fare il mio dovere parlando prima di una questione più ampia: il posto e la rilevanza della felicità non solo per la vita individuale ma anche per quella della società, per la vita sociale insomma. Ci rientreranno le disuguaglianze, perché in effetti parlerò di “Felicità e istituzioni sociali” – o di “Infelicità e istituzioni europee” – e in questo quadro più ampio, la disuguaglianza conta. Dopo un’analisi generale tornerò alla crisi economica europea per illustrare alcuni aspetti collegati al tema che mi era stato assegnato.

«O gente umana, per volar sù nata, perché a poco vento così cadi?» lamenta Dante nel canto XII del Purgatorio. Perché questo contrasto tra la vita limitata della maggior parte delle donne e degli uomini e le grandi imprese che riescono a compiere? La domanda posta all’inizio del Quattrocento è ancora attuale. Le nostre potenzialità di avere una vita buona, di essere appagati, felici, liberi di scegliere il tipo di vita che vogliamo, eccedono di lunga quelle che riusciamo a realizzare.

La vulnerabilità umana deriva da svariate influenze, ma una delle fonti principali del nostro limite – e anche della nostra forza, dipende dalle circostanze – è che la nostra vita individuale dipende dalla natura della società in cui stiamo. La natura del problema è ben illustrata dalla crisi che ha colpito l’Europa negli ultimi anni, dalla sofferenza e dalle privazioni che incidono sulla vita in Italia e in Grecia, in Portogallo e in Gran Bretagna, in Francia e in Germania, in quasi tutta l’Europa. Non solo per l’Europa di oggi ma anche per quella futura, è un disastro dalle cause complesse e dobbiamo sondarne la genesi, l’accentuarsi e la persistenza.
Sarebbe difficile capire la condizione degli esseri umani coinvolti in questa tragedia senza studiare come ci abbia contribuito, in modi diversi, il malfunzionamento delle istituzioni che ne governano la vita: il ruolo dei mercati e delle istituzioni a essi collegati, ma anche delle istituzioni statali e delle autorità regionali.

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7 Novembre, 2012

Roberto Petrini, Matematica e Autisme-economie

by gabriella

La crisi economica ha riaperto la questione del rapporto tra matematica ed economia. La teoria mainstream ha fondato l’“equilibrio del sistema” su complesse costruzioni matematiche. Ma è incappata in clamorosi scivoloni: l’economia, infatti, non è una scienza esatta, ma una scienza storico-sociale.

Nel giugno del 2000 un gruppo di studenti di economia pubblicò sul web una petizione. I capi d’accusa che il documento formulava contro il modello di insegnamento dell’economia erano due: a) l’assenza di realismo; b. l’uso incontrollato e fine a se stesso della matematica. Il risultato – scrivevano gli studenti – era che l’economia stava correndo il rischio di diventare una scienza «autistica»: di qui l’esigenza impellente di bloccare questa nefasta tendenza. Da quell’appello nacque un vero e proprio movimento dal nome suggestivo ed evocativo: «Autisme-Economie».

Ma non sono solo gli studenti a denunciare il disagio dell’eccesso di matematizzazione dell’economia: già nel settembre del 1988, in una lettera a “Repubblica”, i maggiori economisti italiani lanciarono un severo ammonimento: “Economisti di varia tendenza e provenienza”, scrissero Paolo Sylos Labini, Giorgio Fuà, Giacomo Becattini, Onorato Castellino, Sergio Ricossa, Siro Lombardini e Orlando D’Alauro,

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2 Novembre, 2012

Luigi Cavallaro, Una Repubblica fondata sull’ozio

by gabriella

Questo bell’articolo di Luigi  Cavallaro  spiega attraverso la logica economica, spesso controintuitiva, la natura ideologica dei concetti di risparmio e austerità e prende posizione nel dibattito critico a favore di Keynes (qui la tesi contraria).

Risparmio, austerità. Il mantra dell’Unione Europea ha valore per gestire un bilancio familiare, ma non indica nessuna possibile uscita dalla crisi. Un percorso di lettura a partire da un volume dell’economista greco Yanis Varoufakis.

«Ha una ricetta per salvare le casse dello stato?», chiesero una volta ad Alberto Sordi. «È una ricetta semplicissima», rispose l’Albertone nazionale: «Si chiama risparmio. Si prendono i conti dello stato e si dice per esempio: tu, magistrato, guadagni un milione al mese di meno; tu, deputato, due milioni di meno; tu, ministero, devi diminuire le spese per la carta, il telefono, le automobili (il che sarebbe anche positivo per il traffico e l’inquinamento), e così via, informando mensilmente gli italiani, alla televisione e sui giornali, dei risparmi ottenuti. Allora si potrebbero chiedere sacrifici a tutti: diventerebbe una gara a chi è più bravo».

Era il 1995 e c’era ancora la lira, ma quella ricetta di politica economica ha lasciato il segno. Si dovrebbe chiamarla Sordinomics, in omaggio alla lingua madre della «scienza triste», perché non c’è dubbio che ad essa si ispirano le prescrizioni dell’Unione europea e, qui da noi, il loro esecutore (alias l’esecutivo) e i suoi tanti corifei, che non mancano un solo giorno d’informarci non solo dei risparmi ottenuti, ma soprattutto di quelli che si potrebbero ottenere se solo non avessimo sul groppone una «casta» di nullafacenti affamati e corporativi.

 

Nel paese delle banane

In effetti, è una constatazione di senso comune supporre che un individuo che si sia indebitato oltre il limite consentitogli dal proprio reddito debba ridurre i propri consumi e risparmiare di più per ripagare gli interessi e il capitale preso a prestito. Ma non sempre il senso comune equivale al buon senso: in generale, anzi, è sbagliato ritenere che ciò che vale per l’individuo singolo debba valere per la società nel suo complesso. Lo spiegò magistralmente Keynes nel 1930, nel corso di un’audizione al Macmillan Committee, ricorrendo ad un paradosso che né il compianto Sordi, né i corifei del governo, né il governo stesso (per non dire dei suoi mandanti europei) debbono aver compreso.

Supponiamo – disse all’incirca Keynes – che si dia una comunità che possieda solo piantagioni di banane. Il lavoro dei suoi membri consiste solo nel coltivarle: essi producono banane e consumano banane, in una quantità tale da garantire l’equilibrio tra le remunerazioni dei lavoratori occupati e il prezzo delle banane vendute. In questo Eden, viene improvvisamente lanciata una campagna per il risparmio: «Se non diminuiamo il consumo delle banane, ipotecheremo il benessere delle generazioni future», ammoniscono alcuni, e altri di rincalzo: «Stiamo distruggendo la capacità del pianeta di produrre banane, di questo passo non dureremo!». I lavoratori sono tipi un po’ bonaccioni e si fidano: il consumo delle banane prenderà quindi a diminuire. Ma siccome sul mercato l’offerta di banane è rimasta nel frattempo invariata, il prezzo di esse scenderà, consentendo ai lavoratori di acquistare esattamente la stessa quantità di banane di prima e per giunta pagandole di meno. A questo punto i lavoratori (e specialmente il loro partito, che è fatto persone altrettanto bonaccione) si convincono che sta andando tutto benissimo: la campagna per il risparmio non solo preserverà le generazioni future e lo stesso pianeta dai rischi di un consumo eccessivo e imprevidente, ma ha pure ridotto il costo della vita: cosa desiderare di meglio?

Sfortunatamente, non siamo ancora alla fine della storia. La diminuzione del prezzo delle banane, infatti, ha causato perdite gravissime agli imprenditori che conducono le piantagioni. Costoro allora cercheranno di rifarsi e allo scopo negozieranno con i sindacati dei lavoratori riduzioni del salario e licenziamenti collettivi. Non riusciranno però a evitare le perdite, perché riducendo le loro spese in salari ridurranno anche i redditi dei lavoratori e la loro possibilità di consumare banane. Il prezzo delle banane scenderà così di nuovo e da capo si avvierà un altro ciclo di perdite, riduzioni dei salari e licenziamenti, fino a quando tutti resteranno senza lavoro, la produzione delle banane si interromperà definitivamente e l’intera popolazione morirà di fame.

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29 Ottobre, 2012

Claus Peter Ortlieb, La sinistra keynesiana e i suoi desideri

by gabriella

Ortlieb offre una convincente analisi delle ragioni per cui le politiche pro-sociali che vorrebbero riportare i livelli di redistribuzione al periodo precedente la rivoluzione neoliberale, sono impraticabili, prendendo posizione nel dibattito critico contro Keynes.

In Germania, stavolta, saranno guai per i ricchi. La coalizione “Per una ripartizione equa” ha lanciato un’iniziativa, chiamando, non senza una certa audacia grammaticale, ad una giornata d’azione nazionale:

“C’è una via d’uscita alla crisi economica e finanziaria: redistribuzione! Noi non vogliamo più soffrire per la mancanza di prestazioni sociali e di servizi pubblici, e non vogliamo che la grande maggioranza della popolazione venga penalizzata. E’ piuttosto la ricchezza eccessiva, e la speculazione finanziaria, che deve essere tassata. Non si tratta solo di denaro, ma anche di solidarietà concreta in questa nostra società.”

In tal modo, la coalizione reclama un’imposta permanente sulle fortune eccessive dei contribuenti eccezionali, alfine di “finanziare in tutta equità la spesa pubblica e sociale indispensabile e ridurre il debito”, senza dimenticare la “lotta costante contro l’evasione fiscale ed i paradisi fiscali, ed in favore della tassazione delle transazioni finanziarie, contro la speculazione e contro la povertà, dappertutto nel mondo”.

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