Posts tagged ‘Paolo Virno’

4 Ottobre, 2022

La natura umana 2. Linguaggio, indeterminatezza, neotenia

by gabriella

Arnold Gehlen (1904 – 1976)

La seconda parte della lezione sulla natura umana, dedicata a una panoramica storica delle concezioni antropologiche note come «tradizione della modestia» che, da Pico a Gehlen definisce l’uomo per sottrazione, più che per il possesso di specifiche qualità. Qui la prima parte.

Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai […]. Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto.

Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

Indice

1. L’animale linguistico

1. L’animale linguistico

Secondo Chomsky, la natura umana «dal Cro-Magnon in avanti» sarebbe caratterizzata da tratti stabili, il principale dei quali è la facoltà di linguaggio.

Oltre alle obiezioni di Foucault, dalle scienze sociali si obietta a Chomsky che una facoltà articolata in una grammatica, in strutture profonde e regole universali non è più una facoltà, ma una superlingua universale.

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20 Settembre, 2022

Esiste una natura umana?

by gabriella

Blaise Pascal (1623 – 1662)

La prima parte della lezione sulla natura umana dedicata a tre dibattiti filosofici: quello cinquecentesco Montaigne, Las Casas e Oviedo, quello seicentesco tra Cartesio e Pascal e quello contemporaneo di Eindhoven tra Chomsky e Foucault. Qui la seconda parte.

Ho una gran paura che questa natura [la natura umana]
sia anch’essa un primo costume, così come il costume è una seconda natura […]. Il costume è la nostra natura.

Blaise Pascal, Pensée,

Indice

1. Montaigne
2. Las Casas vs Oviedo
3. Pascal vs Cartesio
4. Il dibattito di Eindhoven

      4.1 Chomsky
      4.2 Foucault

 

1. L’uomo ha una «natura»?

Un modo classico per argomentare intorno all’esistenza o meno di una «natura umana» è quello di comparare comportamenti e costumi di persone appartenenti a culture diverse.

Se, infatti, si riesce a dimostrare l’esistenza di invarianti, cioè di tratti e modi di fare universali, che non cambiano nel tempo o nello spazio, allora è possibile (ma non necessario) parlare di un modo di essere dell’uomo, di una sua «natura» appunto, che sarebbe a monte, verrebbe prima, di qualunque tratto culturale. Se, invece, questa uniformità non si può rintracciare in alcun modo, viene a cadere anche l’ipotesi che prima di immergersi in una cultura particolare, un individuo abbia delle caratteristiche che condivide con ogni altro essere umano e che prescindono dal condizionamento culturale.

Per questa ragione, le prime osservazioni intorno all’esistenza della «natura umana» iniziano nell’incontro con l’alterità culturale: con i barbari da parte dei Greci e con gli indigeni da parte dei conquistadores.

 

1.1 Montaigne 

Hans Staden, Cannibalismo in Brasile (1557)

L’incontro con le popolazioni americane e le civiltà precolombiane del Messico e del Perù nel ‘500 agì da autentico choc culturale sulla mentalità europea.

Ai resoconti di viaggio e ai trattati etnografici dei primi esploratori e missionari seguirono le riflessioni di giurisiti, teologi, filosofi e moralisti tese a inquadrare in categorie politico-religiose, l’incontro-scontro con quelle popolazioni diverse da noi.

Le posizioni iniziali, motivate da consistenti interessi economici, furono decisamente etnocentriche: gli europei si considerarono cioè i rappresentanti dell’unica civiltà e religione universale, quella cristiana, di fronte a un’umanità guardata come inferiore e barbara.

Alla formazione di questo giudizio (o, più propriamente, pregiudizio), contribuirono le descrizioni dei costumi e delle pratiche delle popolazioni caraibiche, più arretrate di quelle incontrate poi dai conquistadores sul territorio americano.

Il nome stesso, Caraibi, significa infatti in spagnolo “cannibali“, e dipinge in modo inconfondibile il senso di disprezzo e di estraneità degli europei rispetto alle popolazioni autoctone.

Gli indigeni americani non furono dunque riconosciuti come portatori di una cultura, per quanto diversa dalla nostra, ma giudicati sul metro della civiltà europea come “selvaggi”, esseri semi-ferini da trattare senza scrupoli eccessivi.

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14 Marzo, 2020

Marx

by gabriella

Un percorso guidato al pensiero e alla figura di Karl Marx.

Una filosofia che trova nel proletariato le sue armi materiali,
così come il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali.

Karl Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico

Indice 

1. Dalla comprensione della realtà alla sua trasformazione

1.1 Il compito della filosofia nel giovane Marx
1.2 La demistificazione di Hegel e del liberalismo
1.3 Emancipazione politica ed emancipazione umana

 

2. Lavoro, alienazione, riappropriazione
3. La concezione materialistica della storia e il comunismo
4. Il Capitale
5. La morte e il lascito marxiano

 

Approfondimenti, integrazioni: Cultura e anticultura del lavoro (Loescher);

Karl Marx ( 1818 - 1883)

Karl Marx ( 1818 – 1883)

ll 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell’epoca nostra […]. Non è possibile misurare la gravità della perdita che questa morte rappresenta per il proletariato militante d’Europa e d’America, nonché per la scienza storica. Non si tarderà a sentire il vuoto lasciato dalla scomparsa di questo titano.

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10 Ottobre, 2013

Paolo Virno, Doppia negazione e variabilità del senso

by gabriella

PAOLO VIRNOOriginariamente pubblicato nella “Rivista Italiana di Filosofia del linguaggio” (2013) Vol. 7, n. 2, pp. 222-225.

Nel corso di un dialogo malinconico o concitato, una donna dice all’uomo fino ad allora prediletto ‘non è che non ti amo’. Per nulla lusingato, costui coglie al volo due verità filosofiche. La prima è che la doppia negazione non equivale mai all’affermazione di cui sembra fare le veci. Incolmabile è la distanza logica e sentimentale che separa lo spinoso ‘non è che non ti amo’ dal rassicurante ‘ti amo’. Una volta introdotta, la coppia di ‘no’ consecutivi non può essere eliminata mediante la sua traduzione in uno schietto ‘sì’: l’enunciato ‘non (non p)’ ha ormai spostato l’asse del discorso, adombrando un significato ulteriore, eterogeneo e spesso stridente rispetto a quello espresso da ‘p’. La seconda verità filosofica, con cui entra in confidenza l’uomo turbato, è che la negazione di una negazione non descrive alcunché, ma costituisce una azione. Parassitario e superfluo dal punto di vista cognitivo, ‘non è che non ti amo’ ha però un formidabile valore pragmatico. Anziché offrire il resoconto di uno stato di cose già delineato, ne instaura uno nuovo e imprevisto. L’uomo non si domanda se le parole ascoltate corrispondano o meno alla realtà, bensì che cosa stia facendo la donna nel pronunciarle, ovvero quale sia la realtà che proprio il suo speech act produce. Le due verità si implicano a vicenda, così da formare una sorta di circolo. Lo scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’ cessa di essere misterioso soltanto se si riconosce che dire ‘non (non p)’ è una azione; e viceversa, l’azione che si compie dicendo ‘non (non p)’ diventa intelligibile soltanto se si tiene presente l’esistenza di uno scarto semantico tra ‘non (non p)’ e ‘p’.

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3 Gennaio, 2013

Paolo Virno, Della capacità di dire come NON stanno le cose

by gabriella

Vale, come sempre, la pena di ascoltare dalla voce di Paolo Virno, cosa significa dire no, prendere le distanze dal presente e in che misura questa capacità è propria di “noialtri, animali linguistici”. Questa imperdibile lezione, dal titolo L’azione innovativa. L’animale umano e la logica del cambiamento, è stata tenuta dal filosofo napoletano il 7 ottobre 2011 alla Fondazione del Collegio San Carlo di Modena.

Di seguito, la trascrizione dei primi dieci minuti audio.

Grazie a voi per la pazienza che avrete nell’ascoltare queste riflessioni sulla difficoltà di dire di no. La difficoltà di dire di no è un bel titolo di un filosofo tedesco, più interessante di Habermas e dunque non tradotto in italiano, che vorrei adottare per queste riflessioni. Io non ho molta confidenza con il termine “utopia”, raramente mi è capitato di usare questa parola, non ho molta confidenza con l’utopia. Questo è uno svantaggio perché con i concetti con cui non si ha confidenza si rischia la goffaggine e l’esitazione, però può essere anche un vantaggio, nel senso di guardare a questo oggetto teorico, l’utopia, con occhi sgombri da un eccesso di letture e di pregiudizi.

Io vi propongo, come nostra morale provvisoria in quest’incontro, di considerare l’utopia – non è l’unica definizione possibile, diciamo pure che non è la migliore – come la possibilità da parte di noialtri, viventi che hanno il linguaggio, di prendere le distanze dal presente. Ossia di essere in qualche modo, non per merito eccezionali, non in virtù di esperienze stravaganti, ma fisiologicamente, per come noi siamo perlopiù, di essere inattuali. Questo vuol dire credo, guadagnare una distanza dal presente, eludere quell’eterno presente che la tradizione vuole essere tipica – chissà se poi è vero o no – di Dio e degli animali non linguistici. Gli animali non linguistici e – ma su questo non saprei cosa dire, anche Dio – non hanno alcuna forma di inattualità, sono perfettamente attuali, il che detto altrimenti, significa che sono racchiusi, incastrati da un eterno presente.

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