Posts tagged ‘Spinoza’

17 Febbraio, 2024

Giordano Bruno

by gabriella
bruno

Giordano Bruno (1548 – 1600)

Ci sono infiniti mondi, dunque l’universo è senza centro, senza gerarchia. Le gerarchie terrene che si pretendono specchio delle celesti sono dunque senza fondamento.

L’uomo non è il fine del creato, non essendo diverso dagli altri viventi, se non per la mano e per la sua libertà.

Le ragioni del rogo del 17 febbraio 1600, 424 anni fa.

L’8 Febbraio 1600, dinanzi ai Cardinali inquisitori ed ai consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, Giordano Bruno fu costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza di condanna a morte. Alzatosi, indirizzò agli inquisitori l’ultima ammonizione:

Maiore forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam [Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla].

Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il Crocefisso, il 17 Febbraio, con la lingua in giova – inchiodata ad una tavoletta di legno – perché non potesse accusare i suoi carnefici, fu condotto in Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo; le sue ceneri gettate nel Tevere.

 

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26 Aprile, 2016

Spinoza

by gabriella
Spinoza

Baruch Spinoza (1632 – 1677)

Chi ricerca le vere cause dei miracoli e chi si studia di capire da saggio le cose naturali e non di meravigliarsene come uno stolto,
è ritenuto e proclamato ora eretico ora empio da quelli che il volgo adora come interpreti  della natura e degli dèi.
Essi sanno infatti che, tolta l’ignoranza, viene meno lo stupore,
l’unico mezzo che abbiano per sostener e difendere la loro autorità.

Etica, Parte II

Essere spinoziani è l’inizio essenziale del filosofare.

Georg Wilhelm Hegel

 

Indice

1. Il distacco dalla scolastica e il meccanicismo
2. Il fine della conoscenza e il metodo geometrico-matematico

2.1 Il De Intellectus Emendatione
2.2 Beni finiti e bene autentico
2.3 Le forme di conoscenza e il metodo

 

3. L’unicità della sostanza

3.1 Il concetto di sostanza
3.2 Le proprietà della sostanza

 

4. La concezione di Dio e il panteismo

4.1 Dio come natura naturans e natura naturata
4.2 La necessità della sostanza che è causa sui
4.3 Deus sive natura
4.4 Il rapporto tra Dio e il mondo: attributi e modi

 

5. Il determinismo e l’antifinalismo

5.1 Il determinismo
5.2 L’antifinalismo
5.3 La religione come pregiudizio

 

6. L’etica

6.1 Passioni e appetiti
6.2 Vivere da umani: liberarsi delle passioni tristi e coltivare la gioia

 

7. Il Trattato «forgiato all’Inferno»

 

 

1. Il distacco dalla scolastica e il meccanicismo

Nato ad Amsterdam il 24 novembre 1632 da una famiglia ebrea sefardita originaria del Portogallo, Baruch Spinoza è uno dei massimi razionalisti del XVII secolo.

Come Cartesio, Spinoza eredita dalla scolastica concetti e problematiche, in particolare la nozione di sostanza che concepisce come unica, in opposizione alla molteplicità delle sostanze aristoteliche.

Il distacco dalla scolastica è tuttavia evidente in entrambi: la fisica aristotelica era infatti modellata sulla biologia e il vivente serviva da paradigma per la comprensione dell’insieme della natura, concepito finalisticamente [tutto tende verso un fine e non c’è dunque nulla di contingente o casuale nel mondo].

La fisica moderna, invece, ha per modello la materia e le sue leggi. Interpreti della rivoluzione scientifica, Cartesio e Spinoza sostituiscono così al finalismo aristotelico un modello meccanicistico per il quale di ogni fenomeno si può dar conto attraverso gli urti della materia regolati da leggi.

Deus sive natura (Dio, cioè la natura)

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4 Novembre, 2015

Gilles Deleuze, J comme joie

by gabriella

In questa conversazione, inclusa nell’Abécédaire de Gilles Deleuze, la gioia è interpretata, spinozianamente, come realizzazione, pienezza, potenza, da non confondere con il potere che, per definizione, si oppone ad ogni realizzazione ed è dunque malevolo – forse per natura.

Non esiste “potenza” cattiva – osserva Deleuze -, se è cattiva è il più basso grado di potenza e il più basso grado della potenza è il potere. Cos’è infatti la cattiveria? E’ impedire a qualcuno di fare ciò che può, di realizzare la sua “potenza”, così non c’è potenza cattiva, ci sono cattivi poteri – «il n’y a pas puissance mauvaise, il y a pouvoirs méchants» [3:05-3:36] -.

In questo senso, già in Spinoza, la gioia è resistenza, opposta all’impotenza e alle odierne passioni tristi.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=9UeYEzSaUOA&feature=related]

Evitiamo le passioni tristi: la rassegnazione, la cattiva coscienza, i sensi di colpa, tutti i sentimenti tristi – dice l’intervistatrice – e viviamo con la gioia al massimo della nostra potenza.

Dopo aver definito la potenza, Deleuze si chiede cos’è allora la tristezza, rispondendo che la tristezza è il separarsi da una potenza, una capacità di cui, a torto o a ragione, mi credevo capace. “Avrei potuto fare questo ma .. le circostanze .. o non era permesso..”. Allora questa è tristezza: bisognerebbe dire – nietzscheanamente – che ogni tristezza è un nostro difetto di potere. Non esiste “potenza” cattiva – osserva quindi Deleuze -, se è cattiva è il più basso grado di potenza e il più basso grado della potenza è il potere. Cos’è infatti la cattiveria? E’ impedire a qualcuno di fare ciò che può, di realizzare la sua “potenza”, così non c’è potenza cattiva, ci sono cattivi poteri. La confusione tra potenza e potere è rovinosa perché il potere separa sempre, la gente, ogni cosa. Il potere separa la gente da ciò che essa può.

15 Gennaio, 2012

Giulio Giorello sul copyleft: meglio hacker e pirati che burocrati e censori

by gabriella

«Le idee degli altri si intrecciano sin dall’origine alle nostre: le destano, le guidano, le precedono, le impongono», scriveva a metà del secolo XIX Carlo Cattaneo, e proprio questa è la «potenza delle menti associate»: nella scienza, ma anche nell’arte e nella tecnologia. Chi è mai l’autore del calcolo infinitesimale o del principio di conservazione dell’energia? E, come sottolineano Michele Boldrin e David Levine (Against Intellectual Monopoly, n.d.r.), lo stesso vale per le varie «tele-cose» (per esempio, il telegrafo, il telefono, «il telegrafo senza filo», cioè la radio, e la televisione) che hanno profondamente cambiato il nostro modo di vivere: quando si è poi dato a qualche conquista un nome, si è trattato spesso non di colui che aveva fornito il contributo maggiore, «ma di chi aveva l’istinto più acuto per il gioco del monopolio».

Un’ostinata difesa del controllo del «consumo» di una qualche idea non va necessariamente nella direzione della crescita scientifica ed economica. Anzi, è stata spesso la pirateria delle idee, sorella di quella delle navi, ad abbattere la vecchia censura statale ed ecclesiastica e ad aprire la strada all’innovazione. Le colonie del Nord America, e poi i neonati Stati Uniti, potevano riprodurre i libri editi nella madrepatria senza tener conto delle pretese di autori e stampatori, per non dire della libera traduzione di opere pubblicate in lingue diverse dall’inglese: un’assenza di vincoli che Benjamin Franklin, politico e inventore, definiva «una virtù inestimabile» per la nascente nazione americana. Oggi sarebbe considerato un hacker, se non pericoloso come Assange.

La tendenza, oggi globale, a rinforzare il copyright si basa su un equivoco di fondo, come ha scritto John Perry Barlow (autodefinitosi «seccatore elettronico ed ex allevatore di bestiame»): «Se rubo il vostro cavallo, non potete più cavalcare; ma se rubo la vostra informazione, voi ce l’avrete ancora». Farebbe sorridere chi rivendicasse in nome di Einstein la proprietà intellettuale di qualche formula della relatività.

Per farmaci, musica e film le cose vanno però diversamente. Se compro un cd e poi lo riproduco, magari per il piacere degli amici, sono già un fuorilegge — e negli Usa rischio di trovarmi i federali in casa! Come ha scritto Lawrence Lessig, è un’ossessione «tanto squilibrata da motivare misure drastiche anche quando il bene su cui viene assegnato un diritto di proprietà è qualcosa che nessuno ha individualmente creato». E siamo poi così convinti che la fatica e l’interesse economico degli autori siano efficacemente «tutelati» da formule burocratiche? Il primo emendamento della Costituzione Usa dichiara che «il Congresso non farà mai alcuna legge che limiti la libertà d’espressione». Le legislazioni europee non sono sempre altrettanto nette; ma non dovremmo esigere, come voleva Spinoza, che uno Stato sia innanzitutto il garante della libertà dei singoli individui? O con Milton, che le buone idee possano essere legalmente vendute senza che nessuna burocrazia le tormenti «con dazi e gabelle»?

Non si tratta, ovviamente, di abolire con un colpo di spugna la proprietà intellettuale (il titolo del libro di Boldrin e Levine non inganni; tra l’altro l’editore in quarta pagina esibisce il suo copyright), ma di proporre modalità che garantiscano chi lavora nella stampa o nella rete e al tempo stesso impediscano che, sotto il pretesto della proprietà intellettuale, si favoriscano monopoli che inevitabilmente bloccherebbero lo stesso dibattito delle idee.

Anzitutto il proprietario di un qualsiasi copyright non dovrebbe usare gli strumenti di protezione dei suoi legittimi interessi per controllare gli impieghi del suo «prodotto» una volta che sia stato legalmente comprato da altri. Certo, è materia che va regolata caso per caso con sobrio empirismo, secondo la logica del contratto privato e non secondo quella di un pervasivo controllo dello Stato. E in un momento come questo, in cui è forte la tentazione di «normalizzare» la rete trasformandola da forum aperto di discussione a succursale «ad alta velocità» della ormai «vecchia» televisione, e spesso si confondono il ruolo del politico con quello del manager privato di una grande compagnia (il nostro Paese lo sa bene), mi sembra più interessante rischiare l’accusa di pirateria, mettendosi dalla parte di Franklin, che finire come quei monopolisti cinesi che sotto la dinastia Ming vedevano nelle esplorazioni condotte dai loro più audaci navigatori una minaccia alla «società» (ovvero alla brama di controllare il commercio), fino a ottenere che l’autorità imperiale le vietasse del tutto. Il motto dei Ming pare fosse «mantenere la rotta». Il nostro, invece, è: meglio pirati o hacker che questo o quel Grande Timoniere.

http://lettura.corriere.it/copyright-e-copyleft/

6 Luglio, 2011

Augusto Illuminati, Il saper fare che cancella il comando e l’obbedienza

by gabriella

La recensione di Illuminati a Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza di Gilles Deleuze uscita su deleuzeIl Manifesto del 24 novembre 2007. Ho linkato al testo le lezioni di Deleuze, reperibili dal portale WebDeleuze.com anche nella traduzione italiana.

Dal punto di vista autoriale e proprietario incerto è lo statuto di questo Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza di Gilles Deleuze, curato e prefato da Aldo Pardi per Ombre Corte (pp. 202, euro 18,50) – versione italiana della sbobinatura, reperibile in rete (www.webdeleuze.com), delle lezioni dedicate a Spinoza (gennaio 1978; novembre 1980-marzo 1981) – ma che meraviglia di immediatezza filosofica e di efficacia didattica.

Naturalmente viene spontaneo raffrontarla con i grandi testi consacrati negli anni ’60 dallo stesso Deleuze all’Olandese nonché al complementare Nietzsche. Qui è più evidente per un verso il confronto con la tradizione accademica più innovativa (Martial Gueroult e Ferdinand Alquié), per l’altro un corpo a corpo con il testo che consente una trasmissione impagabile al pubblico, con un’esplicita traduzione esistenziale e politica dei luoghi più astratti dell’ontologia, anzi con l’assunzione tutta politica della dimensione ontologica.

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