Archive for ‘Filosofia’

2 Luglio, 2014

Alberto Burgio, 2012, anno rousseauiano

by gabriella
A 250 anni dalla pubblicazione, il «Contrat social» mette in luce le intuizioni del filosofo sui dilemmi della democrazia borghese.

Il 2012 è un anniversario rousseauiano perfetto: Jean-Jacques nacque (a Ginevra) 300 anni fa e 250 anni sono trascorsi dalla pubblicazione del Contrat social e dell’Émile, le due opere che – insieme ai Discorsi e alle Confessioni – hanno consacrato il loro autore a una fama imperitura.

Teorie «empie e scandalose»

Rousseau è figura controversa per eccellenza. Uomo dei Lumi, «anticipò» secondo alcuni la temperie romantica. Amico di Diderot (e collaboratore dell’Encyclopédie), fu la bestia nera di tanti philosophes che non gli perdonarono le invettive contro la «civilizzazione» e i suoi miti progressisti. Padre della Rivoluzione e icona dei giacobini che ne vollero traslare le spoglie mortali nel Pantheon, è non di rado accusato di conservatorismo per la tenace nostalgia verso l’arcadia e la riverente attenzione alla lezione di Montesquieu.

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30 Giugno, 2014

Hobbes

by gabriella

 

Thomas Hobbes (1558 – 1679)

Whatsoever therefore is consequent to a time of Warre, where every man is Enemy to every man; the same is consequent to the time, wherein men live without other security, than what their own strength, and their own invention shall furnish them withall. In such condition, there is no place for Industry; because the fruit thereof is uncertain; and consequently no Culture of the Earth; no Navigation, nor use of the commodities that may be imported by Sea; no commodious Building; no Instruments of moving, and removing such things as require much force; no Knowledge of the face of the Earth; no account of Time; no Arts; no Letters; no Society; and which is worst of all, continuall feare, and danger of violent death; And the life of man, solitary, poore, nasty, brutish, and short.

T. Hobbes, Leviathan, I

Videolezioni: Gianfranco Marini, Hobbes

La figura di Hobbes e la sua ricezione

Homo homini lupus

Homo homini lupus

Il nesso colto da Thomas Hobbes tra paura e potere è un elemento di grande modernità: la paura è al centro del suo pensiero politico sia come paura reciproca tra gli uomini, secondo la formula homo homini lupus, sia come paura dei sudditi nei confronti del sovrano, raffigurato sotto la forma del mostruoso, biblico Leviatano. Così narrava Hobbes la propria nascita:

«E mia madre mise al mondo due gemelli: me stesso e la paura».

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29 Giugno, 2014

Il Rinascimento

by gabriella
Pico

Ignoto XVI secolo, Giovane con la medaglia (probabile ritratto di Pico)

Indice

1. Laicizzazione del sapere e critica del principio d’autorità
2. Una nuova filosofia della natura e dell’uomo

Audiolezione: Il Rinascimento

Per Rinascimento, quale categoria storiografica, si intende il periodo che va dal pieno trecento agli inizi del XVI secolo. Rinascimento fu anche la definizione che diedero di sé e della propria esperienza culturale gli uomini di lettere e di scienza che percepivano il proprio netto distacco dalla tradizione medievale, concepita come chiusa e oscurantista, e la volontà di tornare ai classici, depurati dalle letture posteriori. Si sviluppa per questo, il senso storico della prospettiva e la capacità di collocare le fonti nel contesto appropriato, attraverso un nuovo sguardo filologico.

Giordano

Giordano Bruno  (1548 – 1600)

L’idea della dignitas hominis, il possesso di una dignità superiore a quella di ogni altro essere, enunciata da Pico della Mirandola, portava a rifiutare l’immobilità della tradizione, e a proporsi obiettivi ambiziosi e del tutto nuovi, sul piano della conoscenza ma anche degli assetti costituiti della società – emblematica in proposito la figura di Giordano Bruno. Le gerarchie considerate legittime e riflettenti un ordine cosmico fondato sulla centralità di Dio vengono messe in questione e si affacciano prospettive inedite che troveranno piena espressione nella modernità. Centrale, in questo contesto, è lo spirito delle correnti di riforma che oppongono al mondo chiuso di un potere ecclesiastico arroccato nel godimento delle sue rendite e dei suoi onori, un’idea del valore morale e religioso dei comportamenti umani non dato una volta per tutte ed esteriormente misurabile, ma da conquistare individualmente e misurabile col metro interiore della coscienza.

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28 Giugno, 2014

Leibniz

by gabriella
Gottfried Wilhelm von Leibniz

Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646 – 1716)

Indice

1. Il ritorno ad Aristotele
2. La logica

2.1 Il principio di non contraddizione e il principio di ragion sufficiente
2.2 Il Dio di Leibniz e la natura della libertà umana

 

3. La metafisica dell’infinitesimale

3.1 La sostanza individuale: dall’organismo alla monade
3.2 Le caratteristiche della monade

 

4. La risposta di Leibniz a Locke e i principi di un nuovo innatismo

 

1. Il ritorno ad Aristotele

L’affascinante complessità della figura di Leibniz – ingegno precocissimo e multiforme applicato ai campi più svariati del sapere, dalla matematica alla logica, dalla metafisica alla linguistica – sembra discostarsi sensibilmente dal solco della filosofia post-cartesiana.

Se Descartes aveva ripudiato la propria formazione scolastica, Leibniz rivendica la necessità di restare, almeno in certa misura, fedeli ad Aristotele, e a 15 anni già si chiede se non sia opportuno reintrodurre in metafisica le vecchie e screditate forme sostanziali.

Con esse, una parte consistente dei concetti scolastici, che sembravano ormai condannati all’abbandono, torna a penetrare nel pensiero moderno. Nelle mani di Leibniz, tuttavia, essi concorrono a formare un sistema nuovo, originale e coerente, cui nella sostanza – se non nel vocabolario – non si può negare il carattere di modernità. Un esempio si trova nei fondamentali principi logici leibniziani.

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26 Giugno, 2014

Massimo Recalcati, Insegnare significa parlare ai muri

by gabriella
Jacque Lacan

Jacques Lacan (1901 – 1981)

Perché la parola «che si indirizza ai muri ha la proprietà di ripercuotersi» e perché in ogni vero insegnamento non è il maestro che parla, ma qualcosa [ça parle] e tuttavia è la sua voce che ricordiamo … se sa tenerci svegli. Una meditazione sull’insegnamento di Jacques Lacan, nell’interpretazione di Massimo Recalcati. Repubblica, 2 giugno 2014.

Qualcosa sembra accomunare l’esperienza dell’insegnamento a qualunque livello essa avvenga, dalle scuole elementari sino all’Università e oltre. Ogni insegnante, a suo modo, ne ha fatto esperienza sulla sua pelle: ha parlato ai muri. L’insegnamento porta con sé, sempre, una inevitabile esperienza di solitudine nonostante in esso si tratti di trasmettere un sapere, di farlo circolare, di condividerlo con altri. Parlare ai muri è la condizione strutturale di ogni insegnamento perché in ogni insegnamento è in gioco un’impossibilità. Quale? Quella di una trasmissione integrale, senza resti, trasparente del sapere.

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25 Giugno, 2014

Governo, potere e critica in Michel Foucault

by gabriella

Michel Foucault (1926 – 1984)

Ricordare Foucault, nel trentennale della morte.

Che cos’è la critica? E’ l’arte di non essere eccessivamente governati.

Michel Foucault

Paolo Napoli, Il governo e la critica

Il contesto della ricerca di Foucault

In Qu’est-ce que la critique? [in «Bulletin de la Société Française de Philosophie», avril-juin 1990, 2, p. 35-63; trad. it. Illuminismo e critica, Roma, Donzelli, 1997] é descritta la storia di una virtù e sono spiegate le forme e le ragioni del suo valore permanente. Con felice agilità d’argomenti Michel Foucault invita il lettore a un’incontro originale con l’idea di critica costringendolo a superare entusiasmi e diffidenze che non di rado accompagnano la parola. La critica non appare lo strumento di un’egemonia intellettuale che segna il privilegio di una casta, quella dei critici appunto, é invece una forma di vita che caratterizza l’autonomia etica di ogni individuo, il lavoro progettuale di un’esistenza. Sottratta alla rigidità del metodo, essa resta esperienza pratica in cui concepire l’esercizio della libertà.

A questa nuova visione contribuisce Foucault quando nel maggio 1978 si trova alla Sorbona  […]. Tuttavia per capire il contesto in cui matura in Foucault l’idea di «critica», occorre considerare due elementi: uno occasionale, l’altro più determinante. Il primo è l’incontro con la cultura buddista […] La pratica della meditazione, quale ricerca dell’unione tra il corpo e l’anima, viene avvicinata sulla scorta di una categoria assai pregnante come quella di «governo». Mentre nella pratica dello zen il rappporto col sé mira a una attenuazione della presenza dell’io, lo sforzo delle tecniche cristiane consiste nell’esaltare la presa sul soggetto, nel raggiungere la sua verità più profonda grazie a una strategia globale di goveno dell’uomo.  Ma lo zen in realtà è solo l’occasione per attualizzare un problema che percorre da cima a fondo le lezioni al Collège de France a partire dal 1978: la questione del governo.

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17 Giugno, 2014

Gilles Deleuze, Foucault

by gabriella

Foucault2Il kantismo di Foucault nelle lezioni a lui dedicate da Deleuze a un anno dalla sua morte: egli non era interessato allo studio delle formazioni storiche, sottolinea infatti Deleuze, ma a quello delle condizioni di possibilità della loro esistenza. Uno stralcio da Il sapere. Corso su Michel Foucault, in corso di pubblicazione per Ombre Corte e anticipato da Alfabeta2.

Il primo periodo di Foucault, direi da Storia della follia a Sorvegliare e punire, ruota attorno agli elementi che ci permetteranno di definire l’“archivio”. Senza dubbio l’archivio ha qualcosa a che fare con la storia, ha per oggetto una formazione storica. Gli archivi rinviano a formazioni storiche. A prima vista, questi sembrano solo giri di parole che non ci fanno fare passi avanti. L’archivio è sempre l’archivio di una formazione. Che cos’è una formazione storica? Foucault in L’uso dei piaceri, dunque in uno dei suoi ultimi libri, afferma che i suoi lavori sono “studi di ‘storia’”, “ma non lavori di ‘storico’”1.

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13 Giugno, 2014

Jacques Derrida, Qu’est-ce que la déconstruction?

by gabriella
Jaacques Derrida (

Jaacques Derrida (1930 – 2004)

Da un’intervista registrata il 30 giugno 1992 e rimasta inedita fino alla sua inclusione nel numero monografico dedicato al filosofo da Le Monde, in occasione della morte (8 ottobre 2004). Traduzione mia.

Comme quiconque essaie d’’être philosophe, je voudrais bien ne renoncer ni au présent
ni à penser la présence du présent, –ni à l’’expérience de ce qui nous les
dérobe, en nous les donnant.

Jacques Derrida, La philosophie comme acte de résistance

Il faut entendre ce terme de « déconstruction » non pas au sens de dissoudre ou de détruire, mais d’’analyser les structures sédimentées qui forment l’’élément discursif, la discursivité philosophique dans lequel nous pensons. Cela passe par la langue, par la culture occidentale, par l’’ensemble de ce qui définit notre appartenance à cette histoire de la philosophie. Le mot « déconstruction » existait déjà en français, mais son usage était très rare. Il m’’a servi d’abord à traduire des mots, l’’un venant de Heidegger, qui parlait de « destruction», l’’autre venant de Freud, qui parlait de « dissociation ». Mais très vite, naturellement, j’ai essayé de marquer en quoi, sous le même mot, ce que j’appelais déconstruction n’’était pas simplement heideggérien ni freudien. J’’ai consacré pas mal de travaux à marquer à la fois une certaine dette à l’’égard de Freud, de Heidegger, et une certaine inflexion de ce que j’’ai appelé déconstruction. Je ne peux donc pas expliquer ce que c’’est que la déconstruction, pour moi, sans recontextualiser les choses.

[incipit non presente nell’articolo di Le Monde, ma illustrativo dell’intenzione specificamente politica del pensiero di Derrida, ndr.]

«Come chiunque cerchi d’essere filosofo, non vorrei rinunciare né al presente, né a pensare il presente come presenza, né all’esperienza di ciò che ce lo deruba, dandocelo». Jacques Derrida, La filosofia come atto di resistenza

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5 Giugno, 2014

Enrico Terrone, Ancora sul realismo

by gabriella
Franca-DAgostini

Franca D’Agostini

Un saggio critico del postmodernismo dedicato da un nuovorealista al saggio di Franca D’Agostini Realismo? Una questione non controversa. Utile per la ricostruzione dei riferimenti classici del dibattito aperto dal Nuovo Realismo, se si riesce a tollerare lo stile polemico di una rissa accademica. Tratto da Micromega,

“Proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni”

Realismo? Una questione non controversa di Franca D’Agostini (Bollati Boringhieri, 2013) consta di una pars destruens e di una pars construens. Nella prima, si sostiene che il Nuovo Realismo non porta da nessuna parte. Nella seconda, si stabilisce qual è il realismo realmente nuovo di cui sarebbe invece proficuo discutere.

Secondo D’Agostini, il dibattito innescato dall’articolo di Maurizio Ferraris, “Manifesto del Nuovo Realismo” (8 agosto 2011) è viziato da un “fraintendimento capitale”, che consiste nella “sistematica confusione fra realismo metodologico e realismo metafisico (p. 19). D’Agostini identifica il realismo metafisico con la tesi per cui

“qualcosa è reale, o anche: esistono fatti” (p. 166),

e ritiene che si tratti di una tesi “non controversa”, che nessuno ha mai preteso di mettere seriamente in discussione. Per capire come mai, basti considerare quel passo della Metafisica in cui Aristotele osserva che per un vero antirealista metafisico non farebbe nessuna differenza andare a Megara o buttarsi in un pozzo; dato che per tutte le persone sane di mente l’alternativa fra Megara e il pozzo è cospicua, se ne inferisce che non ci sono antirealisti metafisici (o, perlomeno, se ci sono, hanno gravi problemi mentali e farebbero meglio a curarsi invece che partecipare a un dibattito filosofico).

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14 Maggio, 2014

Valeria Pinto, Valutare e punire

by gabriella

pintoValutare e punire. Una critica della cultura della valutazione, Cronopio, Napoli, 2012.

 

I presupposti cognitivisti della valutazione

[…] l’identificazione – assunta spesso del tutto ingenuamente – della conoscenza con i processi computazionali, ovvero con quella che si può ben chiamare una considerazione disincarnata e disincarnante della conoscenza, una certa idea cognitivista. Essa distacca la conoscenza dai processi materiali e soggettivi che la materiano, distillando da un lato una conoscenza meramente funzionale e dall’altro dei portatori di conoscenza sempre più alieni (e alienati) dalla (e nella) conoscenza che ‘supportano’: soggetti neu(t)rali e neu(t)ralizzati, da rendere anzi sempre più tali, cioè sempre meno coinvolti e capaci di interferire con la conoscenza che sono chiamati a produrre. Si tratta di un’idea letteralmente ingegneristica della conoscenza, legata alla progettazione di ‘sistemi esperti’ e guidata dal principio metodico per il quale conoscere qualcosa vuol dire essere in grado di riprodurlo, ovvero essere sempre in grado di delucidare il proprio operato.

Sganciata dalle percezioni corporee, depurata dalle sensazioni e dai sentimenti, dalle fantasie come dai desideri e dai bisogni concreti, dalle aspettative come dalle rinunce, svincolata cioè dall’accidentalità e caoticità dei contenuti di cui è intessuta e del tutto aliena dalla capacità di formulare giudizi, interpretare e determinare svolte o decidere alcunché, questa idea di conoscenza si sposa fino a combaciarvi con le esigenze di controllo funzionale attive negli approcci di tipo sistemico. È un’idea di conoscenza concepita interamente sotto il segno della esecuzione, dell’ubbidienza senza sforzo e senza tentennamenti a un sistema di regole definito in anticipo, dall’esterno e dall’alto.
Le considerazioni di tipo sistemico sono divenute ormai un modello privilegiato per trattare le questioni della conoscenza e della sua organizzazione soprattutto a livello istituzionale, grazie alla loro efficacia in fatto di gestione e progettazione di realtà complesse. Le esigenze di ottimizzazione che la valutazione persegue si intrecciano qui con il principio fondamentale del rendere più lineari e definite le funzionalità di sistema. Ora, in un sistema non meccanico ma ‘socio-tecnico’ qual è il sistema della conoscenza, il maggior elemento di variabilità, divergenza e attrito è rappresentato dalle individualità che lo compongono. Un’esigenza di sistema prioritaria è quindi quella di depurare per quanto possibile i soggetti in gioco dal potenziale di disturbo o ‘rumore’ implicito in ciò che eccede la loro funzione di portatori indifferenti e fungibili della conoscenza. A quest’opera di neutralizzazione e contenimento necessaria all’autoconservazione del sistema la valutazione mette a disposizione la sua capacità di portare in luce, estrarre, rendere trasparente il sapere tacito, cioè trattenuto e/o disperso (due cose che non sono affatto opposte tra di loro) dai suoi possessori.

 

La recensione di Eleonora de Conciliis, da Kainós.

In un’epoca di conformismo gregario travestito da individualismo radical chic, e in un’università, come quella italiana, giunta a sua volta ad uno snodo epocale (ovvero alla definitiva trasformazione in agenzia formativa tra le altre, che vende saperi spendibili su un mercato del lavoro cognitivo ormai tragicamente saturo), Valeria Pinto, che in quest’università insegna come professore associato di filosofia teoretica, ha deciso di prendere posizione – una posizione abbastanza solitaria e quindi scomoda, per non dire paradossale, visto che il suo libro, foucaultiano fin dal titolo e documentato con un’acribia ironicamente coniugata all’impegno teorico, attacca frontalmente la logica della valutazione che ha generato il decreto ministeriale in virtù del quale la stessa Pinto dovrà essere valutata per accedere, o almeno aspirare al ruolo di professore ordinario.

Poiché mi sono formata nella stessa università nella quale si è formata e attualmente insegna Valeria Pinto (la “Federico II” di Napoli), e poiché sono reduce da un’animata discussione intorno a questi temi svoltasi nella sede della casa editrice che l’ha pubblicato (Cronopio), la mia recensione, più che illustrare il contenuto del volume (già ampiamente recensito su quotidiani e riviste) sarà una riflessione su quell’incontro ed anche – in parte – un dialogo con coloro che colà sono intervenuti.

Ciò premesso, il principale merito genealogico di questo libro rischiosamente ‘militante’ ma, come vedremo, assolutamente impolitico, consiste nel mostrare fino a che punto ciò che sembra ormai a molti docenti (universitari e non) qualcosa di assolutamente naturale, apriorico e indiscutibile – la docimologia quantitativa, il sistema dell’istruzione come sistema di servizio per un’utenza e, dulcis in fundo, le famose mediane dell’abilitazione scientifica nazionale – sia in realtà qualcosa di costruito, artificiale, storico, per non dire basso e volgare: allo sguardo illuminante e indocile della critica 1, la sacra triade ‘trasparenza, valutazione e merito’ non appare affatto come natura, ma come storia, così come storica e impura è la logica concorrenziale che si è innestata nelle menti dei valutatori.

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