Posts tagged ‘identità’

4 Agosto, 2015

La logica del derby

by gabriella
Georg Simmel (

Georg Simmel (1858 – 1918)

La rivalità tra simili e la logica del campanilismo nel gioco di identità e differenza che Simmel definì la «tragedia dell’inezia». Il commento è di Roberto Escobar, Metamorfosi della paura, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 170-171.

L’intolleranza e l’avversione sono scatenate con maggior violenza quando le differenze sono appunto piccole, e dunque all’interno d’una generale rassomiglianza. […]. Il contrasto che nasca all’interno d’un qualche rapporto d’unità e “vicinanza”, osserva, è di solito tanto radicale e violento da apparire sproporzionato.

Lo stesso accade per l’odio reciproco fra stati confinanti, per razze che convivano nello stesso territorio.  Il motivo di questa sorprendente accentuazione emotiva dell’antagonismo dipende dalla circostanza che gli uomini sono esseri caratterizzati da differenze. Quando queste siano nette, la «totalità» d’un individuo tende a non «associarsi» a quella d’un altro.

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5 Luglio, 2015

Annalucia Accardo, Alessandro Portelli, Il negro domestico. Psicologia di un nemico interno

by gabriella
ex schiavo davanti alla sua casa in Texas nel 1939

Ex schiavo davanti alla sua casa in Texas nel 1939

Le dinamiche dell’identità e del riconoscimento nella figura dell’house slavelo schiavo domestico per cui Malcolm X aveva coniato l’espressione «negro da cortile».

Gotta stay on the good side
Of the devil and with God,
Don’t know which one I land up with
When they put me in the sod.

Devo tenermi buoni
sia il diavolo sia Dio:
non so con quale andrò a finire
quando mi metteranno sotto terra.

Elma Stucker, An Egg in each basket, in The Big Gate, 1976

 

Introduzione

Denmark Vesey (1767 - 1822)

Denmark Vesey (1767 – 1822)

Nel 1822 a Charleston, South Carolina, ebbe luogo uno dei più importanti tentativi di rivolta di schiavi e neri liberi [ricordato, dal nome del suo ispiratore, come la «rivolta di Denmark Vesey»]. Uno dei leader della rivolta, lo schiavo Peter Poyas, dava le seguenti istruzioni agli altri giurati:

«Stai attento a non dire niente a quegli schiavi domestici che ricevono doni di giacche smesse e roba del genere dai padroni, о ci tradiranno» [Killens 1970: 52].

Peter Poyas non aveva torto: come scrivono i giudici di Charleston, «quasi mai si era cercato di reclutare servi domestici, verso i quali non c’era fiducia», proprio uno di questi, un certo Peter Devany [«uno house slave nel cuore, nell’anima e nel cervello» lo chiama John Oliver Killens] che corse ad avvertire il padrone e le autorità, facendo fallire il progetto [Starobin 1970: xvi].

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29 Maggio, 2015

Media e società. Esercitazione per la seconda prova

by gabriella

Ci esercitiamo alla seconda prova, stendendo lo schema dell’elaborato seguente:

insegnante addormentataImmaginate di spostare o togliere improvvisamente molte pareti che nella nostra società separano stanze, uffici e case, unendo così, da un momento all’altro, molte situazioni precedentemente separate. In tal caso, le distinzioni tra i nostri sé pubblici e privati e tra i vari sé che proiettiamo nelle diverse situazioni forse non scomparirebbero del tutto, ma certo cambierebbero. Saremmo ancora capaci di agire in modo diverso con differenti persone, saremmo molto meno capaci di segregare gli incontri. Non potremmo svolgere ruoli molto diversi in situazioni diverse, perché la segregazione spaziale delle situazioni non esisterebbe più in modo chiaro.

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30 Settembre, 2013

Aldo Carotenuto, Identità e ipseità. Il principium individuationis

by gabriella

carotenuto trattato psicologia personalitàTratto da Trattato di psicologia della personalità, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1991, pp. 242-251.

[O]gni lavoro psico­logico [è] un compito interminabile. In questo secondo me si cela il fascino della psicologia del profondo: la psiche non è mai statica ma è un elemento continuamente cangiante, come la vita stessa, del resto. Infatti, solo la rigidità, psichica e fisica, è morte. È per questo moti­vo che utilizziamo la felice espressione di psicologia dinamica, una definizione assai più pregnante rispetto al termine psicoanalisi o psicologia analitica, perché corrisponde alla realtà della psiche, che è dynamis, movimento. Rimanda quindi a una concezione del­l’uomo come essere in continua evoluzione: il che rappresenta la nostra più grande libertà al confronto di un’esistenza legata al destino, il passato o a un’immodificabile eredità genetica.

[…]

Principium individuationis: una teleologia dell’esistenza

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Carl Gustav Jung

È spontaneo a questo punto chiedersi quale possa essere la via per conquistare un certo margine di libero arbitrio rispetto ai condi­zionamenti interni ed esterni. Il tema costituisce il punto cardine della teoria di Jung: nel suo concetto di inconscio è insita l’idea di una pulsione alla realizzazione della personalità individuale, per cui l’uomo è naturalmente proteso a emanciparsi dai valori collettivi e quindi a conquistare una sua soggettività. A tale processo Jung dà il nome di individuazione. Sono parte integrante di questo modello tutti gli altri concetti junghiani che abbiamo già avuto modo di trat­tate, anzi possiamo affermare che l’individuazione è il contenitore teorico che racchiude, organizza, e dirige in una dinamica finalistica le dìverse parti del sistema junghiano.

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20 Giugno, 2013

Eleonora de Conciliis, Elias Canetti e l’esperienza del potere

by gabriella

elias-canettiUno dei tre saggi di Eleonora de Conciliis su Elias Canetti pubblicati da Kainòs. Gli altri due sono: Identità e rifiuto: appunti per un’antropologia del postmoderno; Le metamorfosi della carne.

   Raggiungere l’immortalità è l’apice del potere.

Michel Foucault

Prologo

Come ben sanno coloro che studiano la sua opera a partire dagli specialismi di una disciplina (ad esempio provenendo dai recinti della germanistica, della filosofia politica, dell’antropologia o della sociologia), Elias Canetti non si lascia facilmente etichettare o imprigionare: la difficoltà principale incontrata dal lettore smaliziato, sia che prenda in esame la produzione narrativa – Auto da fé e l’autobiografia[1] –, sia che s’immerga nel freddo mare degli aforismi e dei saggi [2] o nei sofisticati giochi del suo teatro[3], sia, infine, che s’inoltri nella prismatica mole di Massa e potere[4], consiste nel dover immediatamente rinunciare tanto al proprio lessico concettuale, quanto ad ogni velleità d’interpretazione unitaria ed esaustiva. E questo non perché un’interpretazione non sia possibile, ma perché essa diventa tale solo a patto di non sovrapporre ai testi canettiani la miope gabbia definitoria di un singolo ‘campo’ accademico[5]: solo una sorta di libertà trasversale consente agli specialisti di leggere Canetti senza rimpicciolirsi, ovvero senza pagare un prezzo alla sciocca pretesa di ridurlo a se stessi.

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1 Giugno, 2013

Monica Centanni, Xenos

by gabriella

Chi posso in generale riconoscere come mio nemico? Evidentemente soltanto colui che mi può mettere in questione […] E chi può mettermi realmente in questione? Solo io stesso. O mio fratello. Ecco. L’Altro è mio fratello. L’Altro si rivela fratello mio, e  il fratello mio nemico. […] Ci si classifica attraverso il proprio nemico. […] Il nemico è la figura del nostro proprio problema.

Carl Schmitt, Il nomos della terra

27 Marzo, 2013

Riccardo Antoniucci, Intervista a Marc Crépon su Jacques Derrida

by gabriella

JacquesDerridaDal Rasoio di Occam, l’intervista di Riccardo Antoniucci a Marc Crépon, direttore dell’École Normale Supérieure, a margine del convegno sul pensiero politico di Jacques Derrida, tenutosi ad Atene dal 24 al 26 gennaio 2013.

Professor Crépon, la prima domanda che vorrei porle, e che, trattandosi di una questione sul senso, non è aliena da una certa “bêtise”, riguarda proprio i due aggettivi con cui si è voluto qualificare il pensiero di Derrida durante questo convegno: “politico” ed “etico”. Possiamo tentare di chiarire meglio il nesso esistente tra il pensiero di Derrida e i campi descritti dai due termini. “Pensiero politico” e “pensiero della politica” non sono la stessa cosa, ovviamente. Eppure, di solito, un pensiero non è detto “politico” se non è anche riconosciuto, parallelamente, come “pensiero della politica”, o del politico. Cioè come pensiero delle condizioni e delle tecniche proprie all’azione politica in un contesto storico determinato. Per cui spesso la “filosofia politica” si riduce a una serie di riflessioni su problemi che sono posti dall’attualità della pratica di governo o dell’amministrazione della società. Tuttavia, questo parallelismo non sembra operativo nel pensiero di Derrida: la sua riflessione, senza essere stata “condizionata” da temi provenienti dal dibattito politico, li ha piuttosto “rilanciati”, riverberati, in un’altra forma; addirittura, in alcuni casi, li trasformati, passandoli al filtro del suo singolare approccio filosofico. Per esempio, ha rilanciato il problema della democrazia attraverso il concetto di ospitalità. Insomma, il pensiero di Derrida si presenta come un caso singolare di pensiero. che non è un pen siero della politica. La sua battaglia, dunque, si muove piuttosto nell’elemento della filosofia politica oppure della “politica della filosofia”, che non si interessa delle pratiche concrete di governo?

Marc Crépon – È vero che nell’opera di Derrida non si trova una riflessione sviluppata intorno alle forme di governo. Eppure, la possibilità di qualificare il suo pensiero come “politico” è innegabile, a dispetto di tutte le riserve che impone l’idea stessa di “qualificazione” in generale. Ed è innegabile almeno per due ragioni. La prima è che, se è vero che, a partire dai tre grandi libri del 1967 (1), uno dei fili conduttori del suo pensiero è stata la decostruzione del soggetto sovrano, era allora inevitabile che Derrida incrociasse la questione della sovranità in sé, nella sua accezione politica.

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