Posts tagged ‘potere’

17 Aprile, 2014

Antonio Volpe, Liberazionismo senza liberazione?

by gabriella

Michel Foucault (im Pariser SPIEGEL-Büro am 09.12.1977)  SPIEGEL Bild-ArchivPartendo dalla teoria del potere di Foucault, ma anche mobilitando Camus e la pedagogia delle catastrofi, Volpe si chiede se sia possibile scindere vita e biopotere, se sia cioè possibile superare definitivamente il dominio e l’oppressione umana e non umana. Tratto da Asinus novus.

 

Il doppio legame fra vita e potere

Ne La volontà di sapere, com’è noto, Foucault delinea una concezione inedita del potere fissando non solo un metodo e un campo d’indagine completamente divergenti da quelli proposti fino ad allora da una lunga tradizione filosofica, ma pure una nuova “ontologia”, una nuova concezione della realtà basata su uno scontro di forze organizzate strategicamente attraverso le pratiche e i saperi che attraversa capillarmente la vita degli individui. Oltre che reticolare e continuo, il potere in Foucault non è estorsivo, come per esempio nelle teorie marxiste, ma creativo e produttivo. Non è calato dall’alto, né è l’effetto delle sole strutture economiche, ma coinvolge sullo stesso piano strategie di disciplinamento multiple, che investono ogni sfera della vita. La stessa soggettivazione del singolo è l’effetto di un processo di assoggettamento attraverso pratiche e giochi di verità senza il quale non si darebbe soggetto alcuno.

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17 Aprile, 2014

Bruno Montanari, Come si configura oggi il potere

by gabriella

potere-reteIn questo articolo, uscito sul Rasoio di Occam, il filosofo del diritto [Univ. di Catania e cattolica di Milano] illustra le trasformazioni contemporanee del lessico politico-giuridico nel quale la sequenza territorio – ordine – sistema è stata sostituita da quella di globalità – complessità – equilibrio. All’immagine piramidale del potere si è sostituita quella della rete, trama orizzontale e senza confini, determinata dalla forza dei suoi nodi [I lettori meno inclini ad addentrarsi nell’analisi filosofica, possono saltare la trattazione del punto 3].

1. Il comune cittadino, italiano e non solo, è quotidianamente sommerso da una cascata di notizie, che, per intensità di conseguenze, talora solo potenziali, appare somigliare ad un vero e proprio bombardamento. E del bombardamento, questo affluire incessante di notizie – eventi produce i suoi effetti più scontati: macerie.

macerie

macerie

Tra le macerie c’è chi continua a vivere e chi muore; nella esperienza che investe l’attuale ambiente sociale ciò che appare esser morto è l’idea stessa di società, di opinione pubblica, di diritto, di ordinamento giuridico, di legittimità istituzionale. Appaiono essere morte, cioè, quelle figure concettuali attraverso le quali il pensiero politico della “modernità” aveva stabilizzato la relazione tra gli uomini e il potere, imprimendo all’interpretazione di quest’ultimo una direzione sempre più “funzionale”, sostituendo via via gli aspetti “padronali”. Contemporaneamente, a supporto di una tale direzione, era emerso forte il consolidarsi di una idea di società come “opinione pubblica”, con la quale chi detiene il potere deve fare i conti[1].

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6 Marzo, 2014

Zygmunt Bauman, David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida

by gabriella

sesto potereTraggo da Micromega le recensioni di Carlo Formenti e Stefano Rodotà [e un estratto del libro] al saggio di Zygmunt Bauman e David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida,  Roma-Bari, Laterza, 2014.

 

Carlo Formenti, Sorvegliati e felici

Carlo

Carlo Formenti

Le preoccupazioni per l’uso intensivo dei media digitali come strumenti di sorveglianza pervasiva sono aumentate esponenzialmente dopo le rivelazioni della “gola profonda” Edward Snowden sulle pratiche di spionaggio messe in atto dai suoi ex datori di lavoro, la maggiore agenzia di sicurezza Usa, la NSA, ai danni dei cittadini americani e di tutti gli altri Paesi, nonché di capi di stato (anche alleati) e imprese pubbliche e private.

A mano a mano che Snowden rendeva noti nuovi documenti che denunciavano tali pratiche – intercettazioni di conversazioni telefoniche, email e quant’altro – i media sfoderavano gli immancabili riferimenti al romanzo 1984 di Orwell, o al Panopticon di Bentham, utilizzato da Michel Foucault come emblema di una modernità assurta a regno della sorveglianza e del controllo. Ora un libro a quattro mani di David Lyon e Zygmunt Bauman (si tratta di una conversazione a distanza, realizzata attraverso lo scambio di email) dal titolo Sesto Potere. La sorveglianza nella modernità liquida (Ed. Laterza) suggerisce una prospettiva diversa.

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12 Gennaio, 2014

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo

by gabriella

foucaultIn questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo  e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».

1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú  grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.

L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:

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28 Dicembre, 2013

Il fascino dell’obbedienza

by gabriella
obbedienza

obbedienza

Le recensioni[alcuni stralci da quella pubblicata su Alfabeta2 e l’intero commento di Kainós] a Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, in cui Fabio Ciaramelli e Ugo Maria Olivieri si chiedono che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere e per quale ragione gli uomini cooperino alla propria stessa oppressione.

Gli autori trovano le risposte nel Discorso della servitù volontaria di La Boétie [e nel «disciplinamento» di Sorvegliare e punire] a cui riservo un commento in coda.

O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! […]
Colui che vi domina ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi, se voi stessi non foste d’accordo?

Etienne de La Boétie, Discours de la servitude volontarire

»Eppure solo pochi tra quanti da mezzo millennio si accostano a questo testo brevissimo e straordinario (militanti, eruditi, filosofi, scienziati politici) evitano la tentazione di chiamarsi fuori; brandendo e deviando quel «voi» – di cui dovrebbero farsi carico in prima persona – contro il bersaglio retorico di turno.

Che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere? Perché gli uomini lottano per la propria servitù come se si trattasse della propria salvezza? Partendo da una rilettura del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, il libro di Ciaramelli e Olivieri ne ricostruisce dapprima il contesto originario (il passaggio dalla tirannia antica alla tirannia moderna, resa possibile da raffinate tecnologie di disciplinamento sociale), per poi mostrarne l’inquietante attualità nella nostra epoca, caratterizzata dal dilagare della depressione tanto socio-economica che psichica. La servitù volontaria, denunciata da La Boétie, non dipende dagli sforzi del tiranno ma dall’attività stessa dei dominati che si rivelano gli artefici del proprio asservimento. Allo stesso modo il diffondersi di demotivazione, disinteresse e sfiducia appare un fenomeno che la società democratica può imputare soltanto a se stessa, ma proprio questa sua “responsabilità” può renderne possibile il superamento.

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3 Dicembre, 2013

Il potere

by gabriella

leviathanQuello del popolo «è più onesto fine che quello de’ grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso».

Niccolò Machiavelli, Il Principe

Potere come forza, potere come consenso

Da un punto di vista sociologico, il potere non è una cosa, ma una relazione tra individui. Max Weber lo definisce come la capacità di ottenere obbedienza:

Il potere – infatti – è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione [M. Weber, Economia e società].

A questa visione del potere come forza, cioè come capacità di ottenere un determinato comportamento anche contro la volontà degli individui, si aggiunge quella del potere come consenso, cioè come abilità (autorità) di suscitare consensoobbedienza nelle persone. Si tratta di una distinzione già anticipata da Machiavelli quando, nel Principe, si riferisce alle qualità del leone e delle volpe, metafore della forza e della persuasione.

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14 Novembre, 2013

Paolo Ercolani, Le metamorfosi del potere

by gabriella

leviathanParafrasando un celebre frammento di Eraclito, in cui il grande filosofo antico si riferiva alla natura, potremmo dire che l’epoca della società in rete, o della globalizzazione, è quella in cui il potere ha subito una trasformazione tanto poco percettibile quanto sostanziale e profonda: siamo infatti passati dal potere che nasconde, censura, manipola o coarta il flusso delle informazioni (o disinformazioni), a quello che ama nascondersi, trasfigurare i propri meccanismi di funzionamento e influenza, mascherare i luoghi del proprio abitare e operare. Lo scopo è sempre lo stesso, la perpetuazione del potere stesso, ma le modalità mutate debbono indurre a più di una riflessione. Dal Rasoio di Occam.

 

 

1. Luci e ombre

Il Potere che ama nascondersi è quello a cui non importa più se e quanto la popolazione possa o debba sapere, perché il suo essere nascosto, tale per cui non si sa bene chi lo detiene, da dove e con quali modalità di esercizio, gli consente comunque di attuare un dominio sulla pubblica opinione (nonché sulle menti e sui corpi degli individui), ancora più capzioso perché in grado di inserirsi nei meandri della mente collettiva e assurgere al rango di senso comune consolidato, pensiero unico difficilmente smentibile se non al prezzo di essere tacciati di follia o paranoia.

 A un livello squisitamente tecnico la questione non deve sorprendere più di tanto, se è vero che già Platone ci aveva insegnato che le malattie degli occhi, per cui essi finiscono col non riuscire più a vedere, sono di due tipi e hanno due cause:

«il passaggio dalla luce all’ombra e dall’ombra alla luce»[1].

 Tanto l’oscurità più totale, quanto un eccesso di luce producono degli esseri umani incapaci di pervenire alla distinzione chiara delle cose e quindi alla conoscenza, limitandoli bene che vada a una pallida percezione di ombre scambiate per oggetti reali. E qui entra in gioco la Rete, onnipotente e generosissima dispensatrice di informazioni infinite e di ogni genere, in cui è possibile rintracciare l’avallo a qualsiasi ipotesi anche strampalata e al suo contrario. Il risultato, ovviamente, è quello di una impossibilità di approssimarsi a delle verità nitide, abbagliati dalla troppa luce dell’«opulenza informativa» e dimentichi che il tutto confina paurosamente con il nulla.

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12 Novembre, 2013

Leonardo Daddabbo, Il potere

by gabriella

Oltre il Leviatano 1. Hannah Arendt, potere, relazione, azione

Una nuova visione della politica

“Il potere scaturisce fra gli uomini quando agiscono assieme, e svanisce appena si disperdono” scrive Hannah Arendt in Vita activa (p. 147, edizione citata in bibliografia). Questa breve citazione è forse già sufficiente a spiegare la presenza di Arendt fra gli autori che hanno sperimentato, nella seconda metà del Novecento, nuovi modelli di pensiero politico. Il potere non è qui un comando proveniente dall’alto, ma un’attività generata dal basso, qualcosa che gli uomini fanno nascere agendo insieme. Ci troviamo di fronte a un pensiero che fonda la politica su elementi assai diversi da ogni precedente tradizione e afferma che la natura del politico può essere compresa solo ponendola in rapporto con la pluralità concreta degli uomini, con la loro capacità di stabilire relazioni, con le parole e le azioni che fanno apparire nel mondo qualcosa di nuovo. L’universo del Leviathan, fatto di obbedienza, rinuncia, autorità e gerarchia sembra quanto mai lontano.
Uno dei testi in cui questa impostazione si sviluppa è Vita activa (The human condition, 1958).

Vita activa

Nel termine ‘vita activa’ Arendt riassume le tre attività umane fondamentali: il lavoro, l’opera e l’azione. Il lavoro è l’attività che produce i mezzi necessari a mantenere e riprodurre la vita. Il rapporto tra lavoro e vita è però di tipo ciclico: lavorare produce ciò che permette di vivere, ma una volta riprodottasi, la vita è nuovamente pronta al lavoro. La causa del processo ciclico risiede nel metabolismo dei processi vitali, che obbliga gli uomini a una continua attività il cui unico scopo è quello di alimentare un processo biologico che non può essere interrotto. In ultima analisi, il movimento logorante, ripetitivo e senza fine del lavoro dipende dal fatto che gli uomini hanno un corpo:

“il corpo umano, nonostante la sua attività, è anche ripiegato su se stesso, non si concentra su nient’altro che sul suo essere vivo, e rimane imprigionato nel suo metabolismo” (Vita activa, p. 81).

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26 Luglio, 2013

Wagner

by gabriella

Wagner

Le puntate di Tutto Wagner di Stefano Catucci, [marzo-giugno 2013], dedicate a Richard Wagner da radiorai3 nel bicentenario della nascita e il sito dedicato alla sua musica perché, come ha osservato Catucci chiudendo le sue lezioni, «non possiamo non dirci wagneriani».

Rienzi

[Rienzi, der Letze der Tribunen]

La terza opera di Richard Wagner [1813-1883] è ispirata alla vicenda storica di Cola di Rienzo, il tribuno del popolo che nel ‘300 tentò di restaurare la repubblica romana. Rappresentata a Dresda nel 1842, col suo stile grand opéra fu un trionfo per il giovane compositore ancora sconosciuto.

La bellissima Ouverture diretta da Ion Marin

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20 Giugno, 2013

Eleonora de Conciliis, Elias Canetti e l’esperienza del potere

by gabriella

elias-canettiUno dei tre saggi di Eleonora de Conciliis su Elias Canetti pubblicati da Kainòs. Gli altri due sono: Identità e rifiuto: appunti per un’antropologia del postmoderno; Le metamorfosi della carne.

   Raggiungere l’immortalità è l’apice del potere.

Michel Foucault

Prologo

Come ben sanno coloro che studiano la sua opera a partire dagli specialismi di una disciplina (ad esempio provenendo dai recinti della germanistica, della filosofia politica, dell’antropologia o della sociologia), Elias Canetti non si lascia facilmente etichettare o imprigionare: la difficoltà principale incontrata dal lettore smaliziato, sia che prenda in esame la produzione narrativa – Auto da fé e l’autobiografia[1] –, sia che s’immerga nel freddo mare degli aforismi e dei saggi [2] o nei sofisticati giochi del suo teatro[3], sia, infine, che s’inoltri nella prismatica mole di Massa e potere[4], consiste nel dover immediatamente rinunciare tanto al proprio lessico concettuale, quanto ad ogni velleità d’interpretazione unitaria ed esaustiva. E questo non perché un’interpretazione non sia possibile, ma perché essa diventa tale solo a patto di non sovrapporre ai testi canettiani la miope gabbia definitoria di un singolo ‘campo’ accademico[5]: solo una sorta di libertà trasversale consente agli specialisti di leggere Canetti senza rimpicciolirsi, ovvero senza pagare un prezzo alla sciocca pretesa di ridurlo a se stessi.

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