Archive for ‘Filosofia’

16 Settembre, 2012

Girolamo De Michele, Sulla pop-filosofia e la rinascita della filosofia

by gabriella

Può la filosofia continuare a vivere tenendosi a distanza dalla chiacchiera filosofica? Certo, se evita il vuoto della banalizzazione come il gergo della pura autocelebrazione baronale: «c’è molta spazzatura, nel campo della pop filosofia. Ma potremmo dire cosa diversa nel campo della “filosofia filosofante”?» Il peggior trash alligna tra quegli «ermeneuti che non riuscendo a trovare l’ago si cimentano in una interminabile fenomenologia del pagliaio, affabulatori per i quali basta che il discorso (o il monologo recitato agli yes men) filosofico non abbia per obiettivo incidere nella carne del mondo»; in breve la chiacchiera più perniciosa si annida tra gli effetti di potere dello sproloquio prezzolato, perché «la chiacchiera che sostituisce alla verifica il principio di autorità (o di autoaffermazione), ha sempre a che fare, presto o tardi, con una qualche forma di fascism0». Questa è l’opinione che oggi Girolamo ha affidato a Carmilla in uno scritto dei suoi migliori.

L’antefatto

Roberto Esposito ha argomentato questa estate contro la possibilità che la filosofia possa essere popular, ossia possa essere praticata secondo modalità pop. Col suo testo il professor Esposito ha avuto il merito di fornire un buon argomento contro la “pop filosofia”: confutato il quale, credo si possano fare alcune puntualizzazioni sulla pop filosofia, la sua pratica e la sua utilità. Scopo di questo mio intervento è dimostrare che i limiti della pop-filosofia coincidono con quelli di una diffusa e prevalente pratica (pseudo-)filosofica, e che c’è un reale (e urgente) bisogno di pop filosofia, non solo per il bene della filosofia: e, una volta fatto ciò, di liberarsi dall’inutile fardello di simili dibattiti.

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14 Settembre, 2012

Come l’ideologia naturalizza una costruzione culturale. L’esempio di Locke con il diritto di proprietà

by gabriella

Quello che segue è – nelle intenzioni se non nel risultato – un corsivo, sulla fondazione del diritto di proprietà in John Locke. Si tratta quindi di un testo un po’ strafottente o per lo meno non reverente verso il grande filosofo.

Naturalizzare il diritto di proprietà agganciandolo alla legge di natura (o lex divina) è stata una delle operazioni più brillanti del Locke filosofo politico, anche se altre sue magistrali elaborazioni come quella sul concetto di tolleranza (non estendibile agli intolleranti, cioè ai cattolici) e sul funzionamento dell’istituzione parlamentare godono da sempre di una attenzione maggiore.

Visto che vogliamo discutere di come una costruzione culturale viene fatta passare per legge eterna e inamovibile, potremmo ricordare le osservazioni di Foucault, Barthes e dei francofortesi, laddove viene chiarito che ciò che tra i filosofi passa per il “senso comune,” non è che la sedimentazione di un pensiero attivo, per sua natura sempre critico, che viene fatto decantare perdendo la caratteristica di negazione e trasferendo la nuova positività (e normatività) in un ambito che Barthes definiva “mitico” cioè immediato, evidente, naturale.

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10 Settembre, 2012

Alberto De Nicola, L’utopia neoliberale

by gabriella

Ogni crisi economica, qualora assuma dimensioni e profondità sistemiche, si presenta sempre come una crisi che interessa la razionalità di governo. Si è detto e ripetuto più volte che i governi stanno, quasi per paradosso, applicando ricette neoliberiste per far fronte alla stessa crisi del neoliberismo. Dietro questa apparente tautologia, questa accanita e forsennata insistenza, tuttavia, si nasconde un’incrinatura, una rottura, che riguarda direttamente il progetto neoliberale, i suoi modi di presentarsi come discorso egemonico e la sua forza di penetrare nel tessuto sociale, per ordinarlo. Per afferrare questo punto conviene fare un passo indietro e chiedersi quale fosse, se è mai esistita, un’utopia propria del neoliberalismo.


Utopia neoliberale

Karl Polanyi ha sostenuto che l’utopia del primo liberalismo economico si era presentata nell’idea dell’autoregolazione del mercato. La generalizzazione di questo principio organizzativo all’intera vita sociale, ha comportato effetti distruttivi tali da innescare una crisi di governo senza precedenti.

C’è da chiedersi quale sia stata, invece, l’utopia incarnata dentro il discorso neoliberale a partire dalla metà degli anni Settanta. Come ci ha mostrato Foucault, lo spostamento di asse dal principio regolatore dello scambio a quello della concorrenza, ha mutato radicalmente la grammatica della governamentalità liberale.

Si potrebbe affermare che l’utopia specifica del neoliberalismo non sia stata tanto quella dell’autoregolazione, bensì quella della completa de-proletarizzazione del corpo sociale. Quando si dice de-proletarizzazione qui non si intende affatto l’idea che per i neoliberali non ci dovessero essere disuguaglianze, né rapporti di subordinazione e dipendenza, ma che questi rapporti, queste differenze non debbano in alcun modo essere pensati come rapporti di sfruttamento. Questo il punto: lo Stato deve intervenire attivamente affinché la società sia segnata da disuguaglianze, anche radicali, condizione questa necessaria al funzionamento del principio della concorrenza di tutti con tutti. Tuttavia, il problema per i neoliberali rimane quello di far fuori l’opposizione tra capitale e lavoro.

Facendo di tutti gli individui dei capitalisti, istituendo un capitalismo popolare, si eliminano le tare sociali del capitalismo, indipendentemente dalla salarizzazione crescente nell’economia. Un salariato che sia a sua volta anche un capitalista, non è più un proletario. (Bilger, citato da Foucault in Nascita della biopolitica)

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5 Settembre, 2012

Umberto Curi, Rivoluzione e riforma

by gabriella

Traggo dalle lezioni del caffé filosofico – ora tutte disponibili su YouTube e in gran parte riedite dalla Biblioteca di Repubblica – la precisazione storiografica di Umberto Curi sui concetti di rivoluzione e riforma. Di seguito, il video dell’intera lezione dedicata al Manifesto del partito comunista, alla visione degli oppressi e dell’oppressione di Marx e ad un profilo privato del filosofo.

Il termine rivoluzione entra nel lessico politico sostanzialmente tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento con una provenienza molto specifica. Esso infatti non nasce in un contesto politico, ma originariamente in un contesto di carattere scientifico. Com’è noto, De revolutionibus orbium coelestium è il titolo dell’opera di Copernico comparsa nel 1543. Revolutio vuol dire, per l’appunto, la descrizione del movimento ricorsivo di un corpo celeste attorno a un altro corpo.

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31 Agosto, 2012

Giorgio Agamben, Crisi e tempo presente.

by gabriella

agambenDue interventi di Giorgio Agamben su crisi, presente e futuro.

Il governo Monti invoca la crisi e lo stato di necessità, e sembra essere la sola via di uscita sia dalla catastrofe finanziaria che dalle forme indecenti che il potere aveva assunto in Italia; la chiamata di Monti era la sola via di uscita o potrebbe piuttosto fornire il pretesto per imporre una seria limitazione alle libertà democratiche? 

“Crisi” e “economia”  non sono oggi usati come  concetti, ma come parole d’ordine, che servono a imporre e a far accettare delle misure e delle restrizioni che la gente non ha alcun motivo di accettare. “Crisi” significa oggi soltanto “devi obbedire!”. Credo che sia evidente per tutti che la cosiddetta “crisi”  dura ormai  da decenni e  non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo nel nostro tempo. Ed è un funzionamento che non ha nulla di razionale.

Per capire quel che sta succedendo, occorre prendere alla lettera l’idea di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità,  una religione e la più feroce, implacabile e irrazionale religione che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua. Essa celebra un culto ininterrotto la cui liturgia è il lavoro e il cui oggetto è il denaro. Dio non è morto, è diventato Denaro.

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23 Agosto, 2012

Verso la concezione laica dello stato: Guglielmo di Ockham e Marsilio da Padova

by gabriella

Il filosofo francescano Guglielmo di Ockham e l’aristotelico Marsilio da Padova condividono lo stessa radicale obiezione a ogni supremazia dell’autorità religiosa su quella politica e, più in generale, a qualunque confusione tra regnum e sacerdotium.

Ockham (1288-1349), francescano, afferma l’autonomia reciproca della sfera religiosa e politica e, nella disputa con Giovanni XXII, che lo scomunicò, difende il principio della povertà evangelica e l’intepretazione letterale della regola francescana. La proprietà privata (proprietas) dei beni, come il diritto di esercitare il potere politico, non compaiono naturalmente nel mondo creato da Dio: in una società perfetta e non segnata dal peccato originale, il possesso (dominium) dei beni sarebbe stato comune all’intero genere umano e non si sarebbe avvertito il bisogno di un’autorità politica.

Solo nella società imperfetta che sorge dopo il peccato, la postestas appropriandi e la potestas istituiendi rectores sono legittime, anche se non coincidono con la perfezione che si lega alla povertà. La Chiesa dunque, e non il solo ordine francescano, deve essere povera, mentre il potere sulle cose e sugli uomini appartiene a Dio e non ad essa che deve rinunciare ad ogni forma di possesso perché «paupertas evangelica omne dominium et proprietatem excludit» [Opus nonanginta dierum, 23].

Marsilio (1275-1342), aristotelico, è d’accordo con lo stagirita nel riconoscere l’origine naturale dello stato che nasce dall’estensione della famiglia e del viallaggio. Tra le forme di governo possibili, egli sceglie la monarchia perché più adatta a far rispettare legittimamente la giustizia, ma il re non è il sovrano, sovrano è il popolo, esso infatti è il legislatore «cioè la causa efficiente prima e più vera  della legge».

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23 Agosto, 2012

Il radicalismo evangelico del XIV secolo

by gabriella

Traggo dal mai abbastanza lodato Il testo filosofico di Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli ed Emilio Zanette [Bruno Mondadori, 2000, vol. I, pp. 1190-1191], la storia dell’evangelismo radicale del XIV secolo e dell’elaborazione dottrinaria che doveva preparare la Riforma protestante e le rivolte contadine del ‘500, come la ribellione inglese del secolo successivo.

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19 Agosto, 2012

Nicola Gallerano, L’uso pubblico della storia. Bodei, Fine delle filosofie della storia?

by gabriella

Staccandosi dalla connotazione negativa che Jurgen Habermas aveva attribuito alla locuzione ‘uso pubblico della storia’, lo storico italiano Nicola Gallerano mostra come da sempre nell’operazione storiografica «la dimensione cognitiva si affianchi e si mescoli con quella affettiva, intrisa di valori, predilezioni, scelte non o pre-scientifiche». Nello specifico le rotture da cui è nata la contemporaneità hanno da una parte fatto perdere la fiducia ingenua di cui erano portatori gli storicismi classici e dall’altra hanno fatto emergere un bisogno di identità e di radicamento i cui effetti sono rintracciabili in una «ipertrofia dei riferimenti storici nel discorso pubblico».

Dall’Introduzione di Nicola Gallerano a L’uso pubblico della storia, F.Angeli, Milano, 1995, p. 7-8.

«Uso pubblico della storia» è una definizione che risale a Jurgen Habermas ed è stata da lui applicata alla «disputa tra gli storici» tedeschi [in G. E. Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Torino, Einaudi, 1987, pp. 102-103]. Per uso pubblico della storia Haberman intende un dibattito che è in ultima istanza etico e politico sul passato. Un dibattito che si svolge «in prima» e non già «in terza» persona, a sottolineare cioè che non si tratta di una disputa scientifica – che richiede appunto la “terza” persona – ma di un contesto che coinvolge direttamente memoria, identità individuali e collettive, giudizi politici sul presente e sul futuro.

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18 Agosto, 2012

Pierre Bayle, Pensieri sulla cometa

by gabriella

I brani seguenti sono tratti dai Pensieri sulla cometa (1682), testo polemico redatto da Pierre Bayle in occasione del passaggio di una cometa nel 1705 dedicata ad Halley, l’astronomo che ne calcolò l’orbita – che era stato sfruttato propagandisticamente dalla Chiesa cattolica e dalla cultura d’apparato per diffondere l’idea di imminenti castighi divini e instillare odio contro chi non si conformasse alla religione e alla visione del mondo dominanti.

Fingendosi «cattolico romano» e impegnato in un dialogo epistolare con un «dottore della Sorbona», Bayle affronta una lunga disamina delle cause psicologiche, politiche, filosofiche e storiche della mentalità che attribuiva all’ira di Dio fatti e prodigi naturali e nel corso dell’opera ne dissolve le premesse, descrivendo l’eticità di un mondo ateo e argomentando conclusivamente che la coscienza morale è più profonda e fondamentale di quella religiosa e confessionale e costituisce anzi, l’unica base della comunicazione e del confronto tra gli uomini.

I Pensieri sulla cometa, insieme al Dizionario storico critico (è accessibile in rete il testo in lingua originale) furono tra i primi strumenti di critica militante che i Lumi opposero alla superstizione, all’oscurantismo e all’uso strumentale della paura e della credulità popolare.

Né la tradizione generale, né l’unanime consenso degli uomini possono sostituirsi alla verità, altrimenti bisognerebbe anche ammettere che le superstizioni sugli auguri e sui prodigi, che i Romani avevano apprese dagli Etruschi, e tutte le sfrontatezze dei pagani sulle divinazioni, fossero altrettante verità incontestabili, visto che tutti ci credevano, come credevano ai presagi delle comete.

Pensieri sulla cometa, (Roma-Bari, Laterza, 1979, 45, p. 91)

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28 Luglio, 2012

Florence Gauthier, Robespierre théoricien du droit naturel à l’existence (Robespierre teorico del diritto naturale all’esistenza)

by gabriella

Traduco uno stralcio del volume che Florence Gauthier [Triomphe et mort du droit naturel en Révolution 1789-1795-1802, Paris, Presses Universitaires de France, 1992], docente all’Università di Paris VII, ha dedicato alla formazione del pensiero robespierriano e alla sua concezione della contraddizione tra libertà politica e potere economico. La traduzione è in coda all’originale.

 Io sfido il più scrupoloso difensore della proprietà a contestare questi principi, a meno di dichiarare apertamente che con questa parola (diritto illimitato di proprietà) intende il diritto di spogliare e d’assassinare i suoi simili. Come dunque si può pretendere che ogni regola sulla vendita del grano sia un attacco alla proprietà e rubricare questo sistema barbaro sotto il nome grazioso di libertà di commercio ? Perché le leggi non fermano la mano omicida del monopolista come quella dell’assassino ordinario? 

Robespierre, 2 dicembre 1792

La déclaration du droit à l’existence devint l’enjeu des luttes politiques de 1792 à 1795, mettant aux prises deux conceptions du droit naturel, deux projets de société, deux conceptions de la liberté, liberté politique ou liberté économique, deux conceptions du libéralisme de droit naturel. Robespierre fut un des principaux théoriciens du droit à l’existence à l’époque de la Révolution des droits de l’homme. Partant des principes du droit naturel d’une part, de l’expérience de la révolution d’autre part, il va peu à peu préciser son analyse de la contradiction entre le pouvoir économique et la liberté politique. Nous allons suivre son analyse à travers trois de ses interventions principales à ce sujet.

Avril 1791. « Sur la nécessité de révoquer les décrets qui attachent l’exercice des droits du citoyen à la contribution du marc d’argent ou d’un nombre déterminé de journées d’ouvrier ».

À la suite de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789, l’Assemblée constituante allait à plusieurs reprises violer sa propre constitution en refusant de reconnaître la citoyennetéou l’appartenance au genre humain, selon la conception de la philosophie du droit naturel – aux femmes, aux esclaves des colonies, et enfin à ceux qui vivaient du travail de leurs mains, en détachant, ici, la citoyenneté de la personne pour l’attacher à la richesse.

Robespierre intervenait une nouvelle fois, pour défendre le droit naturel attaché à la personne contre le système censitaire qui faisait dériver la citoyenneté des fortunes :

Pourquoi sommes-nous rassemblés dans ce temple des lois ? Sans doute pour rendre à la nation française l’exercice des droits imprescriptibles qui appartiennent à tous les hommes. Tel est l’objet de toute constitution politique. Elle est juste, elle est libre si elle le remplit, elle n’est qu’un attentat contre l’humanité, si elle le contrarie. [Robespierre, Œuvres complètes, Paris, t. VII, 1950, p. 161]

Robespierre s’appuyant sur les principes déclarés, fait la critique du suffrage censitaire d’un double point de vue : anticonstitutionnel, étant donné que la Déclaration des droits de 1789 est violée par ces dispositions qui renient la conception de la liberté en société ou la citoyenneté ; et antisocial. Il va de ce point vue donner une définition du peuple et de l’intérêt général, et caractériser la nature particulière du système censitaire, et celle universelle de la révolution des droits de l’homme. Les adversaires du droit naturel désignent le peuple par les termes méprisants suivants :

Le peuple ! des gens qui n’ont rien… des gens qui n’ont rien à perdre.

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