Archive for ‘Filosofia’

26 Maggio, 2012

Gli intellettuali

by gabriella

Giuseppe Patella, Vita e morte dell’intellettuale postmoderno

«La tentazione di Siracusa»

Se consideriamo la attuale progressiva irrilevanza degli intellettuali, la loro scarsa influenza sui processi decisionali della società, la loro definitiva perdita di prestigio sociale, possiamo concluderne che gli intellettuali siano una classe già estinta o in avanzato processo di estinzione? A questa domanda è facile rispondere che è sotto gli occhi di tutti che nella società contemporanea sono cambiate molte delle condizioni che garantivano non solo la loro azione ma anche la loro sopravvivenza e, quindi, oggi quello che è in discussione è proprio la loro stessa ragion d’essere.

D’altra parte oggi è notoriamente venuta meno la stagione dell’impegno e con essa sembra essere tramontata anche l’epoca posta all’insegna di quella che Jacques Derrida ha chiamato la «tentazione di Siracusa», che si può intendere cioè come l’epoca dominata dalla tentazione ricorrente degli intellettuali di intervenire direttamente in politica, di consigliare i potenti e in qualche modo di deviare o condizionare il corso della storia.
Scrive infatti Derrida (2001, p. 9):

«Un filosofo crede di essere qualificato per illuminare con i suoi consigli politici un’arte o un potere di governare; si sente chiamato da un potente, dall’imperatore, dal sovrano, dal re, il principe o il tiranno, dal capo di Stato o il dittatore, il Duce o il Führer, dal Presidente o il Segretario generale del partito, di una Causa o di un Sindacato». In questa tentazione, in cui sono caduti tanto Platone nell’antichità quanto Heidegger nel Novecento, solo per fare due nomi, «si possono anche vedere le gesticolazioni, talvolta ingenue, talvolta colpevoli, di pensatori che hanno creduto o voluto, sino al secolo che è appena terminato, divenire gli ispiratori, i consiglieri, i teorici del sovrano, i maestri del pensiero dei padroni dell’epoca, i mentori di un potere conservatore o rivoluzionario» (p. 10).

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15 Maggio, 2012

Mario Perniola, La società dei simulacri nel tempo del governo dei peggiori. Oclocrazia

by gabriella

Ho aspettato trent’anni per ripubblicare questo libro, nonostante  le ripetute sollecitazioni di lettori e di editori. Infatti solo ora i fenomeni sociali descritti allora, al loro sorgere, il potere delle organizzazioni criminali e la decadenza del sapere, hanno raggiunto il loro momento culminante.

Si è così verificata un’inversione di tendenza: qualcuno si è finalmente accorto che la distruzione sistematica dell’eredità civile, culturale, morale ed estetica  dell’Occidente e dei criteri di legittimazione  elaborati attraverso più di due millenni, giova alla diffusione dell’ignoranza e della paura, sulle quali prosperano le mafie e il conformismo consumistico. E comincia ad avere il coraggio di dirlo e trova anche spazio in qualche quotidiano senza essere censurato dal timore dei capo-redattori e dei direttori dei giornali di vendere qualche copia in meno o di dispiacere ai loro padrini politici. Nel momento in cui l’amministrazione della giustizia e le istituzioni sanitarie, scolastiche ed accademiche collassano, si è manifestato finalmente il dubbio che il furore contro le aristocrazie scientifiche, intellettuali e burocratiche ha portato al trionfo delle oclocrazie, cioè al governo dei peggiori. Spacciare l’oclocrazia per democrazia è un errore fatale che gli antichi Greci non avrebbero mai commesso.

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14 Aprile, 2012

Armando Massarenti, Apologia di Leibniz

by gabriella

Secondo l’appassionata apologia di Massarenti, il meglio di Lebniz sarebbe nel suo insospettabile aristotelismo politico. Già, anche se non fosse un pensatore immenso, lo ameremmo per quella sua idea  «che stranamente non conforta potenti né monarchi né allora né oggi». 

«Quelli che hanno affermato che tutto va bene han detto una castroneria» spiega Pangloss al giovane Candide. «Bisognava dire che meglio di così non potrebbe andare». Distinzione sottile per dire che, nonostante l’esistenza del male, della malvagità umana, delle guerre di religione e di sciagure naturali come cataclismi, terremoti, tsunami, malattie, viviamo nel migliore dei mondi che Dio avrebbe potuto creare, il «migliore dei mondi possibili».

Il riferimento è, naturalmente, alla Teodicea, l’unica opera che Leibniz ha pubblicato in vita. ma è giusto che un pensatore così erudito e prodondo finisca per essere ricordato solo per la caricatura di Voltaire? In uno spiritoso dizionarietto dei luoghi comuni si legge che Leibniz scriveva cose del genere solo per confortare i monarchi. Con i quali, com’è noto, ebbe grandi frequentazioni in qualità di filosofo, diplomatico, linguista, storico, giurista, bibliotecario. Era anche fisico, geologo, matematico, logico, metafisico, e se non pubblicò molto di tali speculazioni – dice sempre il nostro vademecum flaubertiano – è perché sevivano a poco per confortare i potenti presso i quali amava soggiornare.

In realtà, in vita, oltre alla Teodicea egli pubblicò altri saggi, coem le Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee, o quello su alcuni «errori commessi» da Cartesio, e ultimo anche una confutazione sistematica del pensiero di Locke, intitolata Nuovi saggi sull’intelletto umano che poi non ha pubblicato avendo saputo della morte del padre del’empirismo. La propria idea di natura è espressa nella Monadologia, e pure questa ha suscitato commenti semiseri, anche da parte dei suoi più ingegnosi ammiratori, come Carlo Emilio Gadda che sulla metafisica leibniziana ha scritto la tesi di laurea: «la mia monade e il mio io sono delle baracche sconquassate rispetto alle pure sfere d’acciaio di Leibniz e hanno finestre e fessure».

Anche su un altro scrittore, Jorge Luis Borges, hanno avuto un duraturo effetto gli innumerevoli scambi epistolari, gli articoli brevi su problemi enormi (perché esiste qualcosa invece del nulla?), gli schizzi intellettuali buttati giù per puro divertimento del filosofo. Al punto che leggendo Leibniz, a volte sembri aprorpio di leggere Borges.

Leibniz è un autore modernissimo, che scrive nel pieno della rivoluzione scientifica e del trionfo del meccanicismo. Ma, come ha messo bene in luce Massimo Mugnai, uno dei più importanti studiosi del suo pensiero, la sua fantasia filosofica non ha freni inibitori, e il suo equilibrio, la sua chiarezza e il suo rigore si nutrono anche delle visioni che la Nuova Scienza sembra contraddire. Con i peripatetici gli piace fare il cartesiano, mentre con questi ultimi si diverte a recuperare finalismi ed entelechie.

Come per Cartesio, il suo lascito più duraturo riuguarda la matematica. Indipendentemente e quasi in contemporanea con Newton, è l’inventore del calcolo differenziale e integrale. A esso si lega uno dei suoi sogni più ambiziosi. Mentre affrontava un problema di logica, «come spinto da una necessità interna, a questa idea straordinaria: che doveva essere possibile costruire una caratteristica universale della ragione, mediante la quale, in qualisiasi dominio, tutte le verità si presenterebbero alla ragione in virtù di un metodo di calcolo, come nell’aritmetica o nell’algebra. Di conseguenza, quando sorgeranno controversie tra due filosofi, non sarà più necessaria una discussione; sarà sufficiente infatti che prendano in mano le penne, si siedano di fronte agli abachi e si dicano l’un l’altro “calculemus!”».

Tutta la logica era da reimpostare e Leibniz intuì che bisognava partire da un sistema binario. Come ci arrivo? Attraverso uno dei libri che dalla Cina giunsero in Europa dopo la spedizione di Matteo Ricci: gli I-Ching, il libro dei mutamenti, le cui figure, come nella logica che Leibniz vagheggiava – e che oggi fa funzionare i nostri computer – sono combinazioni di due soli elementi, le linee lunghe e le linee spezzate, equivalenti all’uno e allo zero. In quel sistema Leibniz vide una conferma della possibilità di comprendere la lingua che la mente divina parla nel libro della natura. Della «clavis universalis» e della «mathesis universalis», queste idee così metafisiche, rimane traccia nei simboli che usiamo ancora oggi quando facciamo dell’analisi matematica.

Leibniz coltivava anche dei sogni «sociali». Scrisse un piano per la costruzione di una Società  delle Arti e delle Scienze in Germania e un abbozzo su società ed economia, nei quali sviluppava una ragionevole utopia: l’obiettivo primario dello stato deve essere quello di liberare i cittadini dalle fatiche del mondo fisico, perché «tutti possano costantemente sperimentare tutti i tipi di pensieri e idee innovatrici, proprie a loro stessi e agli altri, senza perdere tempo prezioso». La schiavitù del lavoro non migliora la produttività, produce solo ingiustizia. Ecco una bella idea, di quelle che stranamente con confortano potenti e monarchi, né allora né oggi.

18 Marzo, 2012

Leonardo Caffo, I-ACTION ed E-ACTION. Libero arbitrio e neuroscienze

by gabriella

In questo articolo del 2012 uscito su filosofia.it, Caffo discute i risultati di alcune ricerche in neuroscienze, in base alle quali l’azione umana sarebbe interamente prevedibile. Il filosofo sottolinea l’analogia tra linguaggio e azione, richiamando la distinzione chomskyana tra linguaggio interno ed esterno (I-language ed E-language), cioè tra la componente innata, individuale e quella esterna, relazionale, del linguaggio per mostrare che l’azione, come il linguaggio non è predicibile a partire dalla sua base neuronale.

1. Da tempo alcune questioni filosofiche riguardo la libertà sembrano essere inficiate dai progressi della ricerca scientifica in ambito neurologico. Recentemente, il neuroscienziato Eddy Nahmias, intervenendo sulle pagine del The New York Times, ha sollevato la classica domanda riguardo la fine delle questioni filosofiche sul libero arbitrio a causa delle neuroscienze. Già Wittgenstein  difese la tesi dei “linguaggi di vocabolari diversi” per scindere questioni filosofiche da questioni scientifiche in ambiti di discussione complessi come quelli inerenti le libertà individuali. Tuttavia oggi non sembra più sufficiente fare una distinzione ontologica dei linguaggi utilizzati in ambiti diversi; si rende invece indispensabile un’argomentazione che sia in grado di chiarire, una volta per tutte, le differenze tra questioni scientifiche e filosofiche per un argomento come quello della libertà.

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17 Marzo, 2012

Christoph Türcke, La società eccitata

by gabriella

Pubblicato il saggio del filosofo tedesco Christoph Türcke. Gli shock emotivi non producono la crisi, ma le condizioni per la difesa dell’ordine costituito. Un’importante analisi del capitalismo che ne fotografa però solo l’ambivalenza. Recensione di Benedetto Vecchi.

Ci sono dei libri che difficilmente cadono nel dimenticatoio. Possono anche non avere successo di pubblico, né di critica, ma le tesi che esprimono reggono all’usura determinata dall’imperante just in time dell’industria culturale. La società eccitata di Christoph Türcke è uno di questi libri (Bollati Boringhieri, pp. 352, euro 43).

Uscito nel 2002 in Germania, ha dovuto attendere dieci anni prima che fosse pubblicato da Bollati Boringhieri, che ha ritardato la sua uscita per la difficoltà del testo, al punto che il suo traduttore, Tommaso Cavallo, ha voluto spiegare le scelte fatte per termini del tedesco antico, del latino medievale. I problemi non nascono solo dai raffinati e talvolta arcaici lemmi scelti da Türcke, ma perché La società eccitata non nasconde mai l’ambizione di volere essere un’analisi puntale del capitalismo contemporaneo e, al tempo stesso, una resa dei conti con il marxismo tedesco occidentale del secondo dopoguerra, così fortemente condizionato dalla Scuola di Francoforte, dal principio speranza di Ernst Bloch o dalla messianica ricezione tedesca di Walter Benjamin.

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10 Marzo, 2012

Diogene di Sinope

by gabriella

Credo ch’io potrei vivere tra gli animali,
che sono così placidi e pieni di decoro.
Io li ho osservati tante volte e a lungo;
Non s’affannano, non gemono sulle loro condizioni,
Non stanno svegli al buio, per piangere sopra i loro peccati,
Non m’indignano discutendo i loro doveri verso Dio,
Nessuno è insoddisfatto, nessuno ha la mania infausta di possedere cose,
Nessuno si inginocchia innanzi all’altro, né ai suoi simili vissuti migliaia d’anni fa,
Nessuno è rispettabile tra loro, od infelice,
sulla terra intiera.

Walt Whitman

La storia narra che Alessandro Magno, affascinato dalla possibilità di incontrare il filosofo, celebre per il suo autocontrollo e la sua assoluta indipendenza dalle cose e dal potere, gli chiese quale suo desiderio avrebbe potuto esaudire: Diogene gli chiese di spostarsi perchè gli faceva ombra. Alessandro rimase colpito dall’assoluta indifferenza e dalla mancanza di reverenza di un uomo che lo trattava da pari e ne colse, non senza fastidio, la superiorità: «Se non fossi Alessandro – disse – vorrei essere Diogene». Con questo comportamento verso l’autorità, che il filosofo condivide con molti altri, a partire da Socrate e Platone, Diogene si comporta da parresiastes, dice cioè la verità a costo della vita.

Molti aneddoti su Diogene riportano i suoi comportamenti paragonabili a quelli di un cane, e i suoi elogi alle virtù del cane. Non è noto se Diogene sia stato insultato con l’epiteto “cinico (da kynikos, l’aggettivo derivante da kyon, cane) ed abbia scelto di considerarlo un elogio, o se sia stato lui stesso a sceglierlo per sé.

Diogene riteneva, infatti, che gli esseri umani vivessero in modo artificiale e ipocrita e che dovessero studiare gli atteggiamenti del cane. Oltre a praticare in pubblico le fisiologiche funzioni corporee senza sentirsi a disagio, un cane mangerà di tutto e non si preoccuperà di dove dorme. I cani vivono nel presente senza ansietà, e non si occupano di filosofia astratta. Inoltre, sanno istintivamente chi è amico e chi è nemico. Al contrario degli uomini che o ingannano o sono ingannati, i cani riconoscono la verità.

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10 Marzo, 2012

10 marzo 1948, assassinio di Placido Rizzotto

by gabriella

Placido Rizzotto era un giovane contadino che, nell’immediato dopoguerra, dopo aver combattuto la guerra partigiana, scelse la via dell’impegno sindacale nella sua città natale, Corleone.

Una città che in quel periodo vedeva tante famiglie di contadini ridotte alla fame dalla prepotenza dei mafiosi e degli agrari. Ogni mattina, nella piazza centrale, si ripeteva il triste rito della designazione di coloro che sarebbero stati ammessi al lavoro: da un lato i contadini con il cappello in mano, dall’altro i campieri e i gabbeloti che li chiamavano ad uno ad uno, escludendo tutti quelli che avevano avuto il coraggio di chiedere il rispetto dei propri diritti di uomini e lavoratori.

Placido si ribella a questo stato di cose. Inizia a costituire delle cooperative e guida il movimento contadino per  l‘occupazione delle terre incolte, dando una possibilità di riscatto a se stesso e ai suoi compagni. Fu il padrino locale, Luciano Liggio, inquieto per le iniziative sempre più incisive di Placido, a farlo assassinare il 10 marzo 1948 in un’imboscata nelle campagne corleonesi. Aveva 34 anni.

Nel video seguente, la sua storia raccontata da Pippo Fava nell’ultima intervista rilasciata prima di essere, a sua volta, ucciso [la versione integrale qui e qui].

 

Nel 2009 il ritrovamento dei resti in una foiba di Roccabusambra, a Corleone, accanto a una cintura e a una moneta di 10 centesimi coniata negli anni Venti. Ieri (9 marzo 2012), a 64 anni dalla sua scomparsa, la polizia scientifica di Palermo è riuscita ad attribuire il frammento di una tibia al segretario della Camera del lavoro di Corleone, scomparso nel 1948.

Il discorso di Placido Rizzotto: pensare la «città giusta» in termini socratico-platonici

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25 Febbraio, 2012

Aut aut: il carnevale e la scuola della fine

by gabriella

Accadde in un teatro che le quinte presero fuoco.
Il Buffone uscì per avvertire il pubblico.
Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripeté l’avviso: la gente esultò ancora di più.
Così mi figuro che il mondo perirà
fra l’esultanza generale degli spiritosi che crederanno si tratti di uno scherzo.

Sören Kierkegaard, Diapsalmata (Aut-aut, Carte di A)

Martedi scorso alcuni studenti non si sono presentati a scuola, optando per il matinée di una discoteca locale. Tra di loro, c’è chi ha candidamente vergato sul libretto delle giustificazioni la causale “CARNEVALE”, facendola firmare ai genitori (immagino, senza eccessiva resistenza da parte loro).

Dai dati sulla dispersione scolastica e sulle difficoltà d’apprendimento nei tre cicli di studi sappiamo che il 50% degli studenti italiani non raggiunge gli obiettivi formativi: compie cioè 19 anni (diplomandosi o meno) senza aver imparato a comprendere un testo, a cogliere un rapporto di causalità, a tenere insieme più fattori esplicativi di un fenomeno.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=-TptXUUs4Ak]

9 Febbraio, 2012

Vita di Tommaso Campanella

by gabriella

Tommaso Campanella (1568 – 1639)

Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia;
ond’or m’accorgo con quanta armonia

Possanza, Senno, Amor m’insegnò Temi
Questi principii son veri e sopremi
della scoverta gran filosofia

rimedio contra la trina bugia
sotto cui tu piangendo, o mondo, fremi.
Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,
ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,

tutti a que’ tre gran mali sottostanno che nel cieco amor proprio,
figlio degno d’ignoranza, radice e fomento hanno.

Dunque a diveller l’ignoranza io vegno.

La vita di Tommaso Campanella, il pensiero, la ribellione contro la tirannide, gli atti della tortura a cui fu sottoposto per oltre un anno.

Nella poesia filosofica che Campanella titolò Delle radici de’ gran mali del mondo, le tre primalità, Potenza, Sapienza e Amore che Temi (themis), la giustizia, indica al filosofo, sono il rimedio contro la trina bugia della tirannide (quale falsa possanza), della sofistica (in quanto falsa scienza) e dell’ipocrisia (quale falso amore), dalla quale vengono tutti i mali del mondo e che è a sua volta radicata nell’amore di sé, generato dall’ignoranza.

 

Vita di Fra’ Tommaso

Contro l’ignoranza, platonica origine di ogni carenza umana, era venuto dunque battersi il calabrese Giovan Domenico Campanella (1568-1639), nato in una famiglia poverissima ed entrato ragazzo nell’ordine domenicano dove aveva potuto studiare, acquisendo una profonda sapienza filosofica. Nel contesto periferico ed emarginato della terra d’origine era maturata in Campanella l’idea di una congiura contro l’autorità politica e religiosa che egli sentiva al tramonto, dietro l’incalzare di grandi sconvolgimenti naturali e politici. Nell’attesa di quegli eventi straordinari, il filosofo si prefisse di realizzare subito un nuovo ordine: una repubblica fraterna che abolendo proprietà e gerarchie consuetudinarie, laiche ed ecclesiastiche, riaffermasse l’eguaglianza e la giustizia.

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23 Gennaio, 2012

Michel Foucault, Il parresiastes e il coraggio della verità

by gabriella

La verità è un fatto di giustizia, non solo di forma logica.

[…] quando un filosofo si rivolge a un sovrano, a un tiranno, e gli dice che la sua tirannide è pericolosa e spiacevole, perché la tirannide è incompatibile con la giustizia, in quel caso il filosofo dice la verità, crede di stare dicendo la verità, e ancor più, corre un rischio (giacché il tiranno può adirarsi, può punirlo, può esiliarlo, può ucciderlo). Fu questa esattamente la situazione in cui si trovò Platone con Dionigi di Siracusa – sulla quale ci sono interessantissimi riferimenti nella Lettera settima di Platone, e anche nella Vita di Dionigi di Plutarco.
Quindi, come vedete, il parresiastes è qualcuno che corre un rischio. Naturalmente, non è sempre il rischio della vita. Quando, per esempio, qualcuno vede un amico che sta commettendo un errore e rischia di incorrere nelle sue ire dicendogli che sta sbagliando, costui sta agendo da parresiastes. In tal caso, certo, non rischia la vita, ma può irritare l’amico coi suoi rilievi, e conseguentemente l’amicizia può risentirne. Se, in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, o perché può condurre ad uno scandalo politico, egli sta usando la parresia. La parresia dunque è legata al coraggio di fronte al pericolo: essa richiede propriamente il coraggio di dire la verità a dispetto di un qualche pericolo. E nella sua forma estrema, dire la verità diventa un «gioco» di vita o di morte». Michel Foucault, Discourse and Truth. The Problematization of Parresia, 1985; trad. it. Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli, Roma, 1996, p. 7.

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