
Stefano Mancuso, Direttore del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale di Firenze
Quando parliamo di vita, racconta Mancuso, prima di tutto pensiamo a noi stessi, e poi agli animali. Eppure si stima che tra il 95 per cento e il 99,5 per cento della biomassa del pianeta sia composta da piante. Se si osserva la questione della vita in questi termini, la presenza animale (compresa la nostra) è ininfluente.
Tuttavia il mondo vegetale ha sempre suscitato scarsa attenzione: nella Bibbia, Noè salva dal diluvio universale una coppia di ogni specie animale ma si dimentica dei vegetali. Eppure è il ramoscello d’ulivo portato da una colomba a segnalargli che il diluvio è finito. Eppure la prima cosa che fa, terminato il diluvio, è piantare l’albero della vite.
Aristotele riteneva il mondo vegetale più vicino al mondo inorganico che a quello animale: le piante non possono muoversi né sentire, dice, e dunque non sono “animate”. Poi ci ripensa, perché dopotutto sono in grado di riprodursi, e decide che sì, non sono proprio inanimate, ma quasi. Noi la pensiamo più o meno ancora come Aristotele.
Le piante sono organismi pionieri. Usano pochissima energia, e ne producono più di quanta ne consumano. Sono autotrofe, cioè energeticamente autosufficienti, perché la loro sopravvivenza in termini di nutrimento non dipende da altri esseri viventi. Le piante da fiore (angiosperme) sono la grande maggioranza e sono apparse sul pianeta dopo l’apparizione dei mammiferi. Sono organismi molto moderni ed evoluti. Sono molto, molto diverse da noi su due dimensioni fondamentali: lo spazio e il tempo.
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